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Brevi note intorno al nuovo reato di immigrazione clandestina

Il legislatore, nell’ambito del recente provvedimento normativo inerente la sicurezza e il contrasto all’immigrazione clandestina(legge 94/2009), introduce nel corpo del T.U. dell’Immigrazione la nuova contravvenzione di “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, la quale stabilisce che “salvo che il fatto costituisce più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato,in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’art.1 della legge 28 maggio 2007, n.68, è punito con l’ammenda da 5000 a 10000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’art.162 del codice penale”.

Questa fattispecie criminosa punisce il mero ingresso illegale e/o l’intrattenimento nel territorio italiano al di fuori dei limiti e dei flussi migratori stabiliti ogni anno e dovrebbe annoverarsi, quindi, tra i reati a consumazione anticipata e, in particolare, tra i reati “ostacolo” (vedi sui reati ostacolo la sentenza della Corte Costituzionale n.236 del 27 giugno 2008).

Il reato punisce il sol fatto dell’ingresso e/o la permanenza in Italia per cui si incriminerebbe una condotta, di tipo attivo od omissivo, permanente violativa di un dovere di obbedienza ossia l’obbligo di non entrare nel territorio italiano se non rispettando le regole stabilite dall’ordinamento. Proprio su questo punto si pone il problema di valutare se il comportamento incriminato sia adeguato rispetto al principio di offensività nonché rispetto al principio di materialità, principi, questi, che riposano implicitamente all’art.25 della Carta Costituzionale.

La norma sembrerebbe incriminare il mero status di clandestino senza lesione di alcun bene giuridico. Tuttavia dai lavori preparatori sembra emergere la volontà di incriminare a monte la condotta di ingresso illegale in quanto premessa necessaria, secondo l’id quod plerumque accidit, per la commissione di ulteriori reati.

Analizziamo ora, in particolare, le condotte incriminate dal legislatore.

Per comprendere quali specifici comportamenti rientrano nel nuovo reato occorre richiamare la disciplina inerente l’ingresso degli stranieri quale determinata dal T.U. dell’immigrazione. L’ingresso nel territorio italiano deve avvenire, salvi i casi di forza maggiore, attraverso i valichi di frontiera ed è consentito ai cittadini appartenenti a paesi non appartenenti all’area U.E. in possesso di:

1) passaporto valido;

2) visto d’ingresso. Il ministro degli Esteri definisce le varie tipologie di visti e le modalità di concessione. In alcuni casi, invece, non è necessario il visto d’ingresso quando sussistono appositi accordi internazionali che ne escludono la necessità. La procedura del rilascio dei visti d’ingressi è subordinato a varie condizioni ossia alla disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per tutta la permanenza del soggiorno e la liceità ovvero temporaneità del soggiorno. L’entità dei mezzi di sussistenza è determinata dal ministero degli Interni con apposito decreto. Per quanto riguarda, invece, il soggiorno in Italia per motivi di lavoro l’ingresso degli stranieri è determinato e consentito secondo quote determinate.

Pertanto rientrano tra le condotte incriminate:

1) l’ingresso senza passaporto o documento equivalente;

2) l’entrata senza visto nei casi in cui esso sia necessario;

3) il passaggio in Italia non attraverso i valichi di frontiera salvi i casi di forza maggiore.

Per quanto attiene, invece, ai comportamenti di “intrattenimento” irregolare i documenti che, in base al T.U., legittimano la permanenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi di soggiorno (art.5 T.U.) e la carta di soggiorno per gli stranieri stabilizzati (art.9 t.u.). Una volta fatto ingresso nel territorio italico lo straniero deve fare richiesta di permesso di soggiorno al Questore entro otto giorni dal suo ingresso ed è rilasciato per le attività previste dalla normativa sui visti d’ingresso (art.5 comma 2 del t.u.). Quando l’ingresso è motivato da ragioni occupazionali il permesso di soggiorno è subordinato alla conclusione di un contratto di lavoro secondo quanto stabilisce la legge 189 del 2002 (AA.VV., Elementi di diritto del lavoro e legislazione sociale, SIMONE, pag.154 e ss.,2007). Non è richiesto, invece, il permesso di soggiorno quando il soggiorno non duri oltre tre mesi e quando sia motivato da ragioni di studio, affari, turismo, visite, ecc.

Quindi, sarà punibile lo straniero privo di permesso di soggiorno e colui che, pur essendo titolare di un permesso di soggiorno ormai scaduto, non richieda il rinnovo del permesso di soggiorno nonché coloro che soggiornano irregolarmente in italia per un periodo superiore a 3 mesi ovvero adducano ragioni di studio, turismo, ecc., in realtà inesistenti.

Appare evidente, in base ad una lettura combinata delle disposizioni inerenti l’immigrazione regolare e controllata, la volontà del legislatore di rafforzare tale normativa introducendo una apposita contravvenzione volta a dissuadere comportamenti elusivi degli stranieri alle stringenti norme del t.u. dell’immigrazione nonché a consentire allo Stato di porre un freno a quella criminalità diffusa provocata proprio dalla mancanza di integrazione nei circuiti legali dell’ordinamento da parte degli stranieri non regolari (perciò la configurazione di tale reato come fattispecie ad “ostacolo”).

La contravvenzione, quindi, viene posta a tutela di una pluralità di beni-interesse di fondamentale importanza ossia quelli del controllo delle frontiere e dell’immigrazione nonché dell’ordine pubblico.

A parere di chi scrive, tuttavia, questo reato potrebbe avere una efficacia prettamente “implosiva” e, ciò, per una molteplicità di motivi:

1) gli extracomunitari che entrano irregolarmente nel territorio italiano sono quasi sempre esseri umani indigenti che provengono da paesi del terzo mondo e che, quindi, potrebbero essere prosciolti dal giudice di pace penale perché il fatto non costuisce reato in quanto scriminato dall’art.54 c.p.. Infatti questi soggetti potrebbero essere costretti a commettere tale contravvenzione proprio per evitare un pericolo (attuale ed inevitabile) alla propria persona e, in particolare, alla propria vita e alla propria integrita fisiopsichica (Fiandaca-Musco,Diritto Penale parte generale, IV edizione, pag.265 e ss., Zanichelli, 2004). Inoltre, anche se non sussistono i presupposti previsti dall’art.54 c.p., il p.m. potrebbe archiviare la notizia criminis nei casi di particolare tenuità del fatto ossia quando l’ingresso irregolare nel territorio italiano sia, in base alle circostanze del caso concreto, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno e del pericolo, la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non meritevole dell’esercizio dell’azione penale. Alle stesse conclusioni può arrivare il gdp in dibattimento dichiarando con sentenza la particolare tenuità del fatto (P.Tonini, Lineamenti di diritto processuale penale, Giuffrè editore, 2008, pag.410 e ss).

2) gli extracomunitari potrebbero non conoscere della rilevanza penale di tale comportamento perché provenienti da paesi lontani e di diversa cultura e dove non arrivano gli echi della nostra legislazione penale. Quindi non sarebbe possibile l’obbligo per lo Stato di far conoscere, con tutti gli strumenti informativi ufficiali ed ufficiosi, la normativa penale approvata (conoscibilità oggettiva) ai consociati di paesi extracomunitari né appare possibile esigere da tali consociati, spesso nemmeno alfabetizzati, un così alto grado di diligenza nel prendere conoscenza della legislazione italiana. Pertanto, tenendo presenti gli insegnamenti della sentenza della Corte Cost.364/88 in tema di art.5 c.p., il giudice penale sarà costretto a prosciogliere l’imputato straniero perché il fatto non costuisce reato (Fiandaca-Musco, op.cit., pag.342 ss). Del resto è proprio in tale ottica che si spiega il comma 2 del nuovo art.10 bis del t.u. immigrazione nella parte in cui afferma che “…la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale non si applica allo straniero che sia stato respinto al valico di frontiera perché privo dei requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art.10 comma 1…”.

Il legislatore, nell’ambito del recente provvedimento normativo inerente la sicurezza e il contrasto all’immigrazione clandestina(legge 94/2009), introduce nel corpo del T.U. dell’Immigrazione la nuova contravvenzione di “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, la quale stabilisce che “salvo che il fatto costituisce più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato,in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’art.1 della legge 28 maggio 2007, n.68, è punito con l’ammenda da 5000 a 10000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’art.162 del codice penale”.

Questa fattispecie criminosa punisce il mero ingresso illegale e/o l’intrattenimento nel territorio italiano al di fuori dei limiti e dei flussi migratori stabiliti ogni anno e dovrebbe annoverarsi, quindi, tra i reati a consumazione anticipata e, in particolare, tra i reati “ostacolo” (vedi sui reati ostacolo la sentenza della Corte Costituzionale n.236 del 27 giugno 2008).

Il reato punisce il sol fatto dell’ingresso e/o la permanenza in Italia per cui si incriminerebbe una condotta, di tipo attivo od omissivo, permanente violativa di un dovere di obbedienza ossia l’obbligo di non entrare nel territorio italiano se non rispettando le regole stabilite dall’ordinamento. Proprio su questo punto si pone il problema di valutare se il comportamento incriminato sia adeguato rispetto al principio di offensività nonché rispetto al principio di materialità, principi, questi, che riposano implicitamente all’art.25 della Carta Costituzionale.

La norma sembrerebbe incriminare il mero status di clandestino senza lesione di alcun bene giuridico. Tuttavia dai lavori preparatori sembra emergere la volontà di incriminare a monte la condotta di ingresso illegale in quanto premessa necessaria, secondo l’id quod plerumque accidit, per la commissione di ulteriori reati.

Analizziamo ora, in particolare, le condotte incriminate dal legislatore.

Per comprendere quali specifici comportamenti rientrano nel nuovo reato occorre richiamare la disciplina inerente l’ingresso degli stranieri quale determinata dal T.U. dell’immigrazione. L’ingresso nel territorio italiano deve avvenire, salvi i casi di forza maggiore, attraverso i valichi di frontiera ed è consentito ai cittadini appartenenti a paesi non appartenenti all’area U.E. in possesso di:

1) passaporto valido;

2) visto d’ingresso. Il ministro degli Esteri definisce le varie tipologie di visti e le modalità di concessione. In alcuni casi, invece, non è necessario il visto d’ingresso quando sussistono appositi accordi internazionali che ne escludono la necessità. La procedura del rilascio dei visti d’ingressi è subordinato a varie condizioni ossia alla disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per tutta la permanenza del soggiorno e la liceità ovvero temporaneità del soggiorno. L’entità dei mezzi di sussistenza è determinata dal ministero degli Interni con apposito decreto. Per quanto riguarda, invece, il soggiorno in Italia per motivi di lavoro l’ingresso degli stranieri è determinato e consentito secondo quote determinate.

Pertanto rientrano tra le condotte incriminate:

1) l’ingresso senza passaporto o documento equivalente;

2) l’entrata senza visto nei casi in cui esso sia necessario;

3) il passaggio in Italia non attraverso i valichi di frontiera salvi i casi di forza maggiore.

Per quanto attiene, invece, ai comportamenti di “intrattenimento” irregolare i documenti che, in base al T.U., legittimano la permanenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi di soggiorno (art.5 T.U.) e la carta di soggiorno per gli stranieri stabilizzati (art.9 t.u.). Una volta fatto ingresso nel territorio italico lo straniero deve fare richiesta di permesso di soggiorno al Questore entro otto giorni dal suo ingresso ed è rilasciato per le attività previste dalla normativa sui visti d’ingresso (art.5 comma 2 del t.u.). Quando l’ingresso è motivato da ragioni occupazionali il permesso di soggiorno è subordinato alla conclusione di un contratto di lavoro secondo quanto stabilisce la legge 189 del 2002 (AA.VV., Elementi di diritto del lavoro e legislazione sociale, SIMONE, pag.154 e ss.,2007). Non è richiesto, invece, il permesso di soggiorno quando il soggiorno non duri oltre tre mesi e quando sia motivato da ragioni di studio, affari, turismo, visite, ecc. >Il legislatore, nell’ambito del recente provvedimento normativo inerente la sicurezza e il contrasto all’immigrazione clandestina(legge 94/2009), introduce nel corpo del T.U. dell’Immigrazione la nuova contravvenzione di “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, la quale stabilisce che “salvo che il fatto costituisce più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato,in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’art.1 della legge 28 maggio 2007, n.68, è punito con l’ammenda da 5000 a 10000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’art.162 del codice penale”.

Questa fattispecie criminosa punisce il mero ingresso illegale e/o l’intrattenimento nel territorio italiano al di fuori dei limiti e dei flussi migratori stabiliti ogni anno e dovrebbe annoverarsi, quindi, tra i reati a consumazione anticipata e, in particolare, tra i reati “ostacolo” (vedi sui reati ostacolo la sentenza della Corte Costituzionale n.236 del 27 giugno 2008).

Il reato punisce il sol fatto dell’ingresso e/o la permanenza in Italia per cui si incriminerebbe una condotta, di tipo attivo od omissivo, permanente violativa di un dovere di obbedienza ossia l’obbligo di non entrare nel territorio italiano se non rispettando le regole stabilite dall’ordinamento. Proprio su questo punto si pone il problema di valutare se il comportamento incriminato sia adeguato rispetto al principio di offensività nonché rispetto al principio di materialità, principi, questi, che riposano implicitamente all’art.25 della Carta Costituzionale.

La norma sembrerebbe incriminare il mero status di clandestino senza lesione di alcun bene giuridico. Tuttavia dai lavori preparatori sembra emergere la volontà di incriminare a monte la condotta di ingresso illegale in quanto premessa necessaria, secondo l’id quod plerumque accidit, per la commissione di ulteriori reati.

Analizziamo ora, in particolare, le condotte incriminate dal legislatore.

Per comprendere quali specifici comportamenti rientrano nel nuovo reato occorre richiamare la disciplina inerente l’ingresso degli stranieri quale determinata dal T.U. dell’immigrazione. L’ingresso nel territorio italiano deve avvenire, salvi i casi di forza maggiore, attraverso i valichi di frontiera ed è consentito ai cittadini appartenenti a paesi non appartenenti all’area U.E. in possesso di:

1) passaporto valido;

2) visto d’ingresso. Il ministro degli Esteri definisce le varie tipologie di visti e le modalità di concessione. In alcuni casi, invece, non è necessario il visto d’ingresso quando sussistono appositi accordi internazionali che ne escludono la necessità. La procedura del rilascio dei visti d’ingressi è subordinato a varie condizioni ossia alla disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per tutta la permanenza del soggiorno e la liceità ovvero temporaneità del soggiorno. L’entità dei mezzi di sussistenza è determinata dal ministero degli Interni con apposito decreto. Per quanto riguarda, invece, il soggiorno in Italia per motivi di lavoro l’ingresso degli stranieri è determinato e consentito secondo quote determinate.

Pertanto rientrano tra le condotte incriminate:

1) l’ingresso senza passaporto o documento equivalente;

2) l’entrata senza visto nei casi in cui esso sia necessario;

3) il passaggio in Italia non attraverso i valichi di frontiera salvi i casi di forza maggiore.

Per quanto attiene, invece, ai comportamenti di “intrattenimento” irregolare i documenti che, in base al T.U., legittimano la permanenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi di soggiorno (art.5 T.U.) e la carta di soggiorno per gli stranieri stabilizzati (art.9 t.u.). Una volta fatto ingresso nel territorio italico lo straniero deve fare richiesta di permesso di soggiorno al Questore entro otto giorni dal suo ingresso ed è rilasciato per le attività previste dalla normativa sui visti d’ingresso (art.5 comma 2 del t.u.). Quando l’ingresso è motivato da ragioni occupazionali il permesso di soggiorno è subordinato alla conclusione di un contratto di lavoro secondo quanto stabilisce la legge 189 del 2002 (AA.VV., Elementi di diritto del lavoro e legislazione sociale, SIMONE, pag.154 e ss.,2007). Non è richiesto, invece, il permesso di soggiorno quando il soggiorno non duri oltre tre mesi e quando sia motivato da ragioni di studio, affari, turismo, visite, ecc.

Quindi, sarà punibile lo straniero privo di permesso di soggiorno e colui che, pur essendo titolare di un permesso di soggiorno ormai scaduto, non richieda il rinnovo del permesso di soggiorno nonché coloro che soggiornano irregolarmente in italia per un periodo superiore a 3 mesi ovvero adducano ragioni di studio, turismo, ecc., in realtà inesistenti.

Appare evidente, in base ad una lettura combinata delle disposizioni inerenti l’immigrazione regolare e controllata, la volontà del legislatore di rafforzare tale normativa introducendo una apposita contravvenzione volta a dissuadere comportamenti elusivi degli stranieri alle stringenti norme del t.u. dell’immigrazione nonché a consentire allo Stato di porre un freno a quella criminalità diffusa provocata proprio dalla mancanza di integrazione nei circuiti legali dell’ordinamento da parte degli stranieri non regolari (perciò la configurazione di tale reato come fattispecie ad “ostacolo”).

La contravvenzione, quindi, viene posta a tutela di una pluralità di beni-interesse di fondamentale importanza ossia quelli del controllo delle frontiere e dell’immigrazione nonché dell’ordine pubblico.

A parere di chi scrive, tuttavia, questo reato potrebbe avere una efficacia prettamente “implosiva” e, ciò, per una molteplicità di motivi:

1) gli extracomunitari che entrano irregolarmente nel territorio italiano sono quasi sempre esseri umani indigenti che provengono da paesi del terzo mondo e che, quindi, potrebbero essere prosciolti dal giudice di pace penale perché il fatto non costuisce reato in quanto scriminato dall’art.54 c.p.. Infatti questi soggetti potrebbero essere costretti a commettere tale contravvenzione proprio per evitare un pericolo (attuale ed inevitabile) alla propria persona e, in particolare, alla propria vita e alla propria integrita fisiopsichica (Fiandaca-Musco,Diritto Penale parte generale, IV edizione, pag.265 e ss., Zanichelli, 2004). Inoltre, anche se non sussistono i presupposti previsti dall’art.54 c.p., il p.m. potrebbe archiviare la notizia criminis nei casi di particolare tenuità del fatto ossia quando l’ingresso irregolare nel territorio italiano sia, in base alle circostanze del caso concreto, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno e del pericolo, la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non meritevole dell’esercizio dell’azione penale. Alle stesse conclusioni può arrivare il gdp in dibattimento dichiarando con sentenza la particolare tenuità del fatto (P.Tonini, Lineamenti di diritto processuale penale, Giuffrè editore, 2008, pag.410 e ss).

2) gli extracomunitari potrebbero non conoscere della rilevanza penale di tale comportamento perché provenienti da paesi lontani e di diversa cultura e dove non arrivano gli echi della nostra legislazione penale. Quindi non sarebbe possibile l’obbligo per lo Stato di far conoscere, con tutti gli strumenti informativi ufficiali ed ufficiosi, la normativa penale approvata (conoscibilità oggettiva) ai consociati di paesi extracomunitari né appare possibile esigere da tali consociati, spesso nemmeno alfabetizzati, un così alto grado di diligenza nel prendere conoscenza della legislazione italiana. Pertanto, tenendo presenti gli insegnamenti della sentenza della Corte Cost.364/88 in tema di art.5 c.p., il giudice penale sarà costretto a prosciogliere l’imputato straniero perché il fatto non costuisce reato (Fiandaca-Musco, op.cit., pag.342 ss). Del resto è proprio in tale ottica che si spiega il comma 2 del nuovo art.10 bis del t.u. immigrazione nella parte in cui afferma che “…la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale non si applica allo straniero che sia stato respinto al valico di frontiera perché privo dei requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art.10 comma 1…”.