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Brevi note in tema di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa

Brevi note in tema di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa
Brevi note in tema di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa

Il tema in oggetto, specialmente negli ultimi tempi, è ampiamente discusso sia dai giuristi che dalla politica, ritenendo entrambe le parti, la vigente legislazione inadeguata rispetto all’evoluzione della società ed alle nuove strategie di potere messe in atto dalla ‘ndrangheta. Invero, con riferimento alla materia non può non evidenziarsi che, nel tempo, l’atteggiamento della politica e della criminalità organizzata si è totalmente modificato rispetto al suddetto rapporto. Intorno agli anni 70, la ‘ndrangheta si è affacciata timidamente alla politica sostenendo candidati scelti dalla stessa al solo scopo di poter partecipare alle varie competizioni elettorali. Da tale primo passo, poi, riuscendo a controllare un consenso sempre più ampio del corpo elettorale, sono stati i politici ad avvicinarsi ai c.d. locali per chiedere ed ottenere da essi significativo sostegno. Le famiglie di ‘ndrangheta, riscontrata la forza del proprio consenso e la possibilità di condizionare fortemente l’esito della competizione elettorale, hanno, pian piano, imposto i propri candidati. Ai nostri giorni è ormai evidente che la scelta delle amministrazioni locali avviene con il consenso e la partecipazione delle famiglie mafiose che addirittura riescono a controllare circa il 20/30% del consenso e, quindi, decidono direttamente - con o senza accordo – i candidati cui far vincere la competizione. Una invasione di campo pesantissima che tutte le leggi sin qui emanate non sono riuscite minimamente a scalfire il potere di condizionamento e determinazione della criminalità organizzata nelle competizioni elettorali. Invero controllare un ente locale vuol dire ipotecare la vita della città, gli appalti, i lavori, le scelte edilizie e dei piani urbanistici; in sostanza la gestione dell’ente e, nel contempo, avere collegamenti diretti anche con i partiti, le amministrazioni ed a volte anche con esponenti di governo. Quindi, un ritorno economico in caso di somme da spendere e, comunque, realizzare un momento di forte prestigio e di dimostrazione della loro forza nei confronti delle comunità. In diverse inchieste i boss mafiosi si sono vantati di questo potere affermando “la città è nostra”. Ecco le ragioni per le quali, indipendentemente dalla esistenza di importanti lavori pubblici, la ‘ndrangheta è fortemente interessata ad occupare gli enti pubblici ed a condizionare le scelte degli amministratori e dei funzionari.

In questo momento, forse, la collusione politica -‘ndrangheta risulta la piaga più pesante per la società, in quanto viene ad interessare un enorme bacino di cittadini, con evidente ed estrema difficoltà per il suo contrasto. Forse, possiamo dire che rappresenta la nuova “questione meridionale”, che, però, interessa l’intera nazione.

La norma che ha cercato di mettere un freno a questa situazione è stata approvata con D.L. 31 maggio 1991, n. 164, a cui si è aggiunto in seguito l’articolo 15-bis alla legge n. 55 del 1990, per giungere sino alla disciplina vigente emanata con d.lgs n°267 del 18 agosto 2000 (T.U. Enti locali), il cui l’articolo 143 ha previsto la possibilità dello “Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazioni e di condizionamento di tipo mafioso o similare. In base a tale norma quando “emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

La dizione della norma è molto ampia e discrezionale e non prevede indicazioni specifiche e tipiche di contrasto alla diversità dell’azione della ‘ndrangheta che non ha un canovaccio unico, ma esplica il suo potere e controllo adeguandosi alla situazione concreta da affrontare atteso che l’attività della criminalità organizzata nel tempo si è modificata, evoluta in un quadro diversificato di strategia rispetto, appunto, alle condizioni territoriali, dei luoghi, della classe politica e quant’altro vada ad emergere nella comunità. Per tali ragioni, il legislatore non è riuscito ad emanare una normativa puntuale sulle condotte da contrastare essendosi ormai i comportamenti assunti dalla politica e dalla criminalità organizzata sempre adeguati alle condizioni di luogo e di tempo. Ed ecco, che le indagini sul fenomeno, sempre più pressanti negli ultimi anni da parte delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, hanno avuto modo di accertare che spesso è il soggetto politico a chiedere il sostegno della ‘ndrangheta; sostegno ma che sempre ed in ogni caso viene a condizionare la libertà dell’attività gestionale della PA. A questo aggiungasi che, vi sono anche i casi, molto frequenti, di parenti e/o persone molto vicine alla famiglia mafiosa che vengono eletti direttamente e fungono da collante tra l’amministrazione e il boss locale. In tale contesto, oltre all’evidente mancanza di libertà del consenso ed al condizionamento profondo dell’elezione, si assiste al proliferare di una classe dirigente sempre più mediocre, in quanto la ‘ndrangheta preferisce che i propri interlocutori non abbiano né una solida preparazione tecnica né una salda dirittura morale che non si “piega” dinnanzi alle loro pretese.

La criminalità organizzata sostiene le persone deboli, quelle che non hanno una fermezza etica e morale, coloro i quali si piegano con maggiore facilità ai voleri del boss. Ecco, quindi, che spesso vengono preferiti soggetti senza una storia professionale o politica oppure che hanno dimostrato sul campo di adempiere perfettamente agli ordini del padrino. In tale contesto, appare veramente molto difficile che il Prefetto o le Forze dell’Ordine o la Magistratura riescano a porre una vera e forte barriera al condizionamento mafioso. Infatti, le ultime operazioni sono frutto delle risultanze di intercettazioni di soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta oppure di acquisizione di notizie provenienti da investigazioni collegate. Quindi, una evidente difficoltà di individuazione del fatto illecito, risultando evidente che il fenomeno delle infiltrazioni mafiose assume, nelle moderne società postindustriali, forme assai eterogenee ed insidiose, in quanto queste sono difficili da identificare per i complessi rapporti tra il potere mafioso ed il potere politico.

Molte sono state le proposte di modifica dell’attuale legislazione per rendere questa più adeguata a contrastare l’evoluzione del sistema mafioso-politico, ma l’importanza degli interessi in gioco ha paralizzato ogni tentativo di cambiamento. Invero, le spinte sono contrapposte: da un lato i garantisti chiedono modifiche verso tale direzione, mentre dall’altro la maggior parte dei cittadini auspicano ipotesi normative di ulteriori restringimenti e limitazioni per evitare che il fenomeno mafioso dilaghi. Per rimanere in Calabria il consenso che riesce ad esprimere la criminalità organizzata varia nei vari territori, ma può indicativamente attestarsi tra il 20/30% dei votanti. In forza di tale cospicua incidenza è la criminalità organizzata che decide chi deve vincere la competizione elettorale, anche indipendentemente da accordi o richieste espresse da parte del soggetto politico.

Tanto è vero che i dati degli scioglimenti sono di rilevante indicazione della esistenza del fenomeno, allorquando dimostrano che, nel periodo 1991-2018, risultano sciolti oltre 300 comuni e la maggior parte nelle regioni meridionali della Calabria, Campania e Sicilia, ove il controllo della criminalità organizzata è radicale.

Ed, invero, risultano sciolti ben n. 306 Consigli Comunali per infiltrazione mafiosa, di cui 25 di questi scioglimenti sono annullati a seguito di ricorso.

Statistiche aggregate per regione

Regione

Comuni

Annullati

Calabria

105

9

Campania

104

10

Sicilia

73

4

Puglia

13

0

Piemonte

3

0

Liguria

3

2

Lazio

2

0

Lombardia

1

0

Emilia Romagna

1

0

Basilicata

1

0

 

Questi numerimolto parziali rispetto all’effettività del fenomenodimostrano che il condizionamento e le infiltrazioni della criminalità organizzata sono in aumento e che la legge non pare adeguata alla concreta situazione in cui vive il territorio. Tra l’altro, oggi si ha davanti non una ‘ndrangheta agricola, come quella di un tempo, ma una organizzazione territoriale ove risultano affiliati anche professionisti, imprenditori, funzionari bancari o di enti pubblici ed a volte anche appartenenti alle Istituzioni. Quindi, una radicazione sempre più penetrante che rende l’intervento mafioso sempre più forte e difficile da scovare. Ed, invero, dalle statistiche indicate risulta che la Calabria negli ultimi 5 anni è la regione ad avere il maggior numero degli scioglimenti con ben 43, su un totale di 81, contro appena 18 della Campania.

Tornando all’attualità degli interventi di possibile modifica, invocati, peraltro anche, da un documento di 51 sindaci della città metropolitana di Reggio Calabria, in una lettera inviata al ministro degli Interni, non si può non sottolineare quanto assunto dal Procuratore Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, che ha invocato un intervento volto a sostenere i Comuni dopo lo scioglimento. Né può dimenticarsi la frustrazione dell’allora prefetto Luigi De Sena quando in Commissione Parlamentare ebbe a dire che si era opposto al terzo scioglimento del Comune di Melito poiché avrebbe rappresentato una sorta di sconfitta per lo Stato (per la cronaca il terzo scioglimento arrivò lo stesso a distanza di anni e speriamo sia l’ultimo). 

Dovendo dare un giudizio sullo strumento attuale, quindi, non si può nascondere come il complesso dell’attività istituzionale abbia funzionato davvero poco rispetto alla necessaria prospettiva di bonificare i territori colpiti dalla misura dello scioglimento. In primo luogo perché questo, ad eccezione di Reggio Calabria nel 2012, è stato sperimentato sempre su Comuni di dimensioni piccole. Sicuramente, la dimensione del comune può significare poco in termini di infiltrazione mafiosa, anche se è vero che gli interessi che possono gravitare intorno ad un comune di poche anime possono essere interessanti sia per la manovalanza della mafia che per i vertici delle organizzazioni. Nei grandi comuni o nelle provincie le richieste di accesso sono state quasi nulle, con esclusione solo del caso della provincia di Crotone che si è concluso senza scioglimento e, appunto, il caso del comune di Reggio Calabria, che invece si è concluso con lo scioglimento.

Dinnanzi a tali risultanze non può che ritenersi che l’intervento sia stato possibile sperimentarlo con maggiore facilità nei confronti di piccoli comuni almeno per due ordini di ragioni: a) i grossi centri hanno interessi politici molto forti e con agganci regionali e nazionali, la scelta, quindi, non solo è tecnica, ma deve tenere conto di delicati equilibri politici; b) e, comunque, in questi centri la presenza della criminalità è più indiretta e, quindi, più difficile da individuare, cosa quest’ultima ampiamente messa in luce dalle indagini nel caso del Comune di Reggio Calabria. Così come i dati sopra riportati dimostrano, ancora, che vi sono numerosi comuni con reiterazioni di scioglimento ad intervalli di tempo ravvicinati, cosa che denota una certa inefficacia del provvedimento di contrasto.

In uno studio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria sono indicati in sintesi i nodi problematici della procedura di scioglimento:

1. L’inefficacia del provvedimento

2. Aggravamento dei problemi amministrativi e gestionali dei Comuni

3. Applicazione a realtà di piccole dimensioni

4. Incapacità di colpire la burocrazia che spesso si pone come cerniera fra le istituzioni e la criminalità o subisce senza difese la pressione criminale

5. Limitazione degli effetti agli amministratori

6. Esagerata confidenza sulle capacità taumaturgiche delle terne commissariali

Nel predetto studio, tra l’altro, alla luce di questa pur sommaria analisi, vengono in rilievo alcune considerazioni che possono costituire una prima base di riflessione per una riforma dell’istituto in questione. Sotto un primo aspetto, segnala la ricerca, che la norma è caratterizzata da un paradigma dell’urgenza e nel contempo non esiste una graduazione degli interventi. Segnala ancora tale studio che una volta che la Commissione di accesso ha ritenuto la esistenza di fumus di mafiosità del comune questo viene sciolto direttamente. L’analisi suggerisce la necessità di rendere meno arbitrari i canoni di valutazione, spostando l’attenzione dai soggetti alle condotte amministrative e, quindi, agli atti effettivamente adottati per evitare che, specie nei piccoli comuni, il rapporto di semplice parentela o una interlocuzione occasionale possa essere tradotta in un contagio amministrativo e sollecita, altresì , l’ applicazione di una procedura ordinaria di verifica dell’attività amministrativa. Inoltre, secondo il suggerimento di detta ricerca l’esito della verifica sulle infiltrazioni della criminalità dovrebbe dare origine a sanzioni differenziate che possono sommariamente essere elencate di seguito.

1. Divieto di espletare appalti o monitoraggio esterno delle procedure

2. Obbligo di rotazione degli incarichi dirigenziali

3. Licenziamento o trasferimento ad altra amministrazione dei dirigenti e dei dipendenti

4. Obbligo di espletamento di tutti gli appalti attraverso SUA

5. Modifiche sui bilanci approvati

6. Modifiche e/o revoche di delibere e determine

7. Decadenza o sospensione temporanea individuale di consiglieri e assessori

8. Sospensione temporanea degli amministratori

9. Affiancamento di una task force per il monitoraggio dell’attività amministrativa

10. Scioglimento del consiglio comunale 

In sintesi, questo studio propone di trasformare da straordinaria a ordinaria la procedura di verifica delle infiltrazioni mafiose all’interno degli enti locali, aumentando le garanzie e promuovendo una serie di sanzioni crescenti, unite all’eventuale azione di affiancamento nell’attività amministrativa degli organi politici da parte di una task force specializzata, per evitare l’aggravarsi del fenomeno dell’infiltrazione criminale all’interno degli enti locali.   

Riassunta la questione così come discussa ed analizzata, si ritiene di indicare dapprima delle specifiche criticità della norma e poi individuare quale possa essere un credibile correttivo.

Sotto un primo aspetto, va segnalato che la norma prevede che “il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente interessato” (articolo 143, comma 2).

Ma quando il Prefetto si muove? Certamente soltanto a seguito di una segnalazione da parte degli organi inquirenti, non avendo egli alcuno strumento per accertare se una amministrazione risulti o meno condizionata più o meno pesantemente. Ne consegue, quindi che già per l’effetto la norma appare non adeguata e non efficace.

Continua la norma “In tal caso, il Prefetto nomina una commissione d’indagine, composta ..”, con la evidente conseguenza che tale commissione è istituita solamente allorquando vi sono manifestazioni esterne o comunicazioni dal parte delle Forse dell’Ordine o della Magistratura della esistenza di possibili fenomeni di infiltrazione mafiosa. Con la evidente criticità che l’intervento è parziale, isolato ed a volte interviene su condizioni già profondamente patologiche.

Sotto un secondo profilo, la norma appare estremamente limitativa e deviante, atteso che spesso le Forze dell’Ordine non eseguono accertamenti specifici e, quindi, una amministrazione eletta con il sostegno della ‘ndrangheta continua ad operare senza alcun rischio. Così come, se il Comandante della locale Stazione dei Carabinieri o di qualsiasi altra forza di Polizia, viene sollecitato dall’esterno o, comunque, agisce con molto zelo, può incidere fortemente sulle condizioni della amministrazione redigendo un rapporto che può portare alla nomina della Commissione d’accesso. Quindi, anche sotto tale ottica la norma non appare efficace atteso che non viene applicata uniformemente ed adeguatamente oppure potrebbe dar luogo ad un “approfittamento” della sua utilizzazione.

Sotto un terzo aspetto, è palese il vulnus determinato dall’assenza di un corretto contraddittorio. Infatti, la Commissione di accesso opera unilateralmente e senza un confronto con l’amministrazione così come la successiva relazione del Prefetto che porta, quasi sempre, alla emissione del provvedimento di scioglimento. Quindi, l’evidente mancanza di partecipazione al procedimento amministrativo, impedisce di arricchire gli accertamenti ed evitare penalizzazioni all’intera comunità.

Sotto un quarto punto di vista, mancando elementi precisi sulle condotte e sull’accertamento della illegittimità e/o illiceità degli atti amministrativi, la relazione della Commissione di accesso può propendere verso manifestazioni più che soggettive, sia in positivo che in negativo, con il risultato di falsare la realtà effettiva della situazione.

Sotto un quinto profilo di analisi, spesso la relazione di accompagnamento al provvedimento emesso dal Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio del Ministri, è parziale e non contiene tutti gli elementi esaminati, con la reale conseguenza mancando il denunciato corretto contraddittorio la conoscenza della decisione dell’invasivo provvedimento di scioglimento potrebbe risultare del tutto carente per mancanza di dati effettivi e reali.

Sotto un sesto aspetto, il provvedimento di scioglimento viene a sostanziare una palese lesione di un’intera collettività nonché della espressione della democrazia elettiva, in conseguenza di atteggiamenti o condotte di pochi e non dell’intero Consiglio Comunale. Quindi, il comportamento del Sindaco o di un assessore può compromettere l’intera amministrazione ed anche penalizzare coloro i quali hanno sempre tenuto una condotta lecita.

Sotto una settima considerazione, è comprovato che la nomina di una triade commissairiale, spesso non competente e che si dedica all’ente pochi giorni alla settimana, non produce alcun concreto miglioramento sia nell’apparato burocratico che nella comunità interessata, la quale vede i Commissari come un male peggiore della amministrazione collusa. Infatti, la gestione ordinaria ed il tentativo di recuperare le tasse non pagate o di mettere ordine al sistema, si scontra con la mentalità clientelare esistente e viene ravvisata come un intralcio per il cittadino e per i servizi che l’ente deve garantire.

Sotto un ottavo profilo di analisi, quasi sempre vengono colpiti i soggetti politici e rimangono esenti da misure i burocrati che sono, poi, la parte della amministrazione che emette i provvedimenti gestionali e che spesso ha i rapporti diretti con la criminalità organizzata. Detti soggetti quasi mai sono stati interessati da iniziative da parte del provvedimento di scioglimento. Ci sono esempi emblematici di dirigenti che, pur avendo enormi responsabilità, riescono a farla franca e diventano, poi, addirittura anche fiduciari dei commissari!

Infine sotto un ultimo profilo dianalisi, la bonifica che dovrebbe eseguire la Commissione Straordinaria non si verifica quasi mai e, quindi, nelle elezioni successive alla scadenza del termini di scioglimento degli organi, quasi sempre, direttamente o indirettamente, si rivedono i volti noti di persone che si ricandidano oppure vengono sostituiti da amici fidati o parenti. Con l’evidente conseguenza, che la misura dello scioglimento risulta del tutto inutile, oltre che dannosa. Infatti, da una parte, la criminalità organizzata dimostra alla comunità che è comunque sempre presente e che i provvedimenti dello Stato non la toccano, e, dall’altra, le persone per bene scappano dalla vita politica.

Queste brevi riflessioni dimostrano che la norma non è, assolutamente, adeguata all’attuale momento storico ed alla radicazione sui territori della ‘ndrangheta, che, in ogni caso, riesce a rimanere indenne ed a far valere il proprio potere di condizionamento della libera espressione del voto.

Dei comportamenti che sono pesantemente deleteri e fortemente sentiti dai cittadini, in quanto o si piegano alla volontà della criminalità oppure vengono isolati e spesso combattuti con armi lecite (provvedimenti amministrativi) e/o illecite (minacce, attentati, danneggiamenti). Quindi, un danno ad espansione massima che viene a colpire una gran parte della comunità che non si sono voluti piegare alle logiche del boss locale.

Ma, non è finita qui!

Tali condotte, nella maggior parte dei casi, rimangono impunite e, quindi, si moltiplicano tra di loro. Nel contempo, la ‘ndrangheta ha alzato il tiro: non più solo amministrazioni locali, ma la messa in rete della loro forza nel condizionare il consenso con elezione diretta o indiretta di consiglieri regionali, deputati, senatori, ecc.. Un costume questo che si sta sempre più allargando a macchia d’olio e che, comunque, esisteva già nel passato, anche se con fenomeni più che marginali ed isolati.

Quali possono essere i correttivi? La risposta non è, certamente, di facile soluzione avendo l’illegalità invaso una gran parte della società e delle coscienze dei cittadini.

L’esperienza professionale, quella giuridica e l’aver avuto dei percorsi politici, contribuiscono ad una visione generale del problema ed alla indicazione di possibili soluzioni radicali che qui, comunque, vengono solo accennati, essendo necessario uno studio specifico ed approfondito.

  1. Il primo intervento è di prevenzione: non essendoci più i partiti è necessario che vi sia un controllo di salvaguardia dei candidati e delle modalità di elezioni. Ed, allora, il controllo delle liste deve precedere il momento elettorale ed evitare che soggetti discussi o con parentele pesanti possano partecipare alla competizione condizionando l’esito del risultato elettorale. Naturalmente, vi deve essere una presenza costante delle Forze dell’Ordine che devono verificare che il consenso è stato acquisito senza forzature o condizionamenti. Non è una soluzione di facile esecuzione, ma non sembra che si possano ipotizzare soluzioni diverse.
  2. Il secondo intervento deve dirigersi verso la effettività della sanzione: non è possibile che un soggetto che si è reso protagonista di un approccio con soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta o vicini a questa per condizionare la competizione elettorale possa continuare a fare politica. Accertato un evento del genere o una tale vicinanza, devono essere emesse delle misure, anche preventive, che escludano in perpetuo il soggetto dalla vita politica. E se questo dovesse proseguire la sanzione deve essere certa ed eseguibile e non solo di facciata.
  3. Il terzo intervento, sempre in via preventiva, deve prevedere l’obbligo alle Forze dell’Ordine di controllare, in ogni caso, i candidati, la loro storia, i movimenti pre-elettorali, gli incontri e quant’altro necessario per anticipare possibili accordi o collusioni successive. Nel contempo, deve essere ripristinato un organo di controllo amministrativo-politico che verifichi la regolarità di tutti gli atti emessi dall’amministrazione e dai funzionari. Infatti, molte illegalità vengono eseguite con l’adozione delle determine che spesso restano all’interno delle stanze comunali e non vengano portate a conoscenza dei cittadini e della stessa minoranza consiliare, i cui poteri di controllo dell’attività di gestione devono essere rafforzati.
  4. Il quarto intervento deve dirigersi verso l’accertamento reale delle condotte illecite ed illegali in fase di gestione amministrativa. La Commissione di accesso nominata dal Prefetto deve esser composta da soggetti altamente qualificati sicché possano verificare concretamente la correttezza dell’andamento gestionale. In tale fase, si potrebbe consentire agli stessi di escutere cittadini e altri soggetti che possono, con le loro informazioni, apportare ulteriori informazioni e notizie. Se possibile la relazione dovrebbe individuare eventuali responsabilità singole e/o collettive. Alla definizione degli accertamenti devesi consentire l’apertura di un procedimento amministrativo che consenta una partecipazione attiva delle parti interessate.
  5. Come quinto intervento, il provvedimento di scioglimento deve essere assunto nei casi più gravi, e deve, dovrebbe essere molto preciso nell’individuare le personali condotte illegittime e/o illecite, con l’assunzione di provvedimenti direttamente nei confronti dei medesimi, come l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o dallo svolgimento di attività politica o di possibili future candidature.
  6. Nel caso in cui, invece, la responsabilità dovesse limitarsi a poche condotte e dovesse risultare il resto dell’amministrazione esente da condizionamenti, si potrebbe adottare una misura intermedia e cioè l’allontanamento dei soggetti ritenuti perseguibili e la prosecuzione dell’attività amministrativa con la nomina di un tutor o, comunque, di soggetto specializzato che ha il potere di controllare la gestione, approfondire i temi di infiltrazione e sostenere la parte sana di questa.
  7. Infine i soggetti con parentele mafiose e che non hanno dimostrato la loro indipendenza ed autonomia con un percorso di vita trasparente e impeccabile, non possano essere candidate. La stessa vicinanza alle famiglie mafiose rappresenta quella frequentazione che la legge vuole evitare e che, nel caso in specie, verrebbe, invece, giustificata dai rapporti parentali.

Mi auguro di essere riuscito a fare un quadro oggettivo del tema assegnatomi, trattandosi di materia complicata e che interessa anche le libertà fondamentali dei cittadini e, comunque, che questo intervento possa aiutare a limitare i condizionamenti della ‘ndrangheta nei confronti della politica e del libero consenso.   

Relazione tenuta il 28 settembre 2018 presso la Sala Valentianum, Piazza San Leoluca, di Vibo Valentia nel Convegno di Studi sul “Codice Antimafia - Interdittive – Scioglimento di Comuni – Misure di prevenzione: criticità e possibili correttivi” organizzato dalla Fondazione Scopelliti di Roma, dai Rotary Club di Nicotera Medma e Polistena e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vibo Valentia.