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Giovanni Falcone: le sue frasi più famose e importanti

Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992)
Giovanni Falcone
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Giovanni Falcone: le sue frasi più famose e importanti

A pensarci bene, Giovanni Falcone, se fosse ancora vivo, avrebbe l’età di mia mamma.

83 anni.

E invece, Giovanni Falcone è morto a 53 anni, pochi giorni dopo il suo compleanno. Una bella festa per Giovanni Falcone, che sapeva bene di avere i giorni contati.

Ecco, ogni anno lo si ripete, spesso con retorica, ma l’emozione della scomparsa di Giovanni Falcone non smette mai di farsi sentire, almeno per quelli della mia generazione.

E allora, teniamo sempre a mente la lezione di Giovanni Falcone, sempre, e facciamolo attraverso una raccolta di frasi celebri a lui attribuite.

 

La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.

Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa, e la bomba non esplode, la colpa è tua che non l'hai fatta esplodere.

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine dell'uomo.

Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia.

È tutto teatro, Quando la mafia lo deciderà, mi ammazzerà lo stesso.

Tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia.

Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.

Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto.

Ci si dimentica che il successo delle mafie è dovuto al loro essere dei modelli vincenti per la gente. E che lo Stato non ce la farà fin quando non sarà diventato esso stesso un modello vincente.

Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

Un'affermazione del genere mi costa molto, ma se le istituzioni continuano nella loro politica di miopia nei confronti della mafia, temo che la loro assoluta mancanza di prestigio nelle terre in cui prospera la criminalità organizzata non farà che favorire sempre di più Cosa Nostra.

L'impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall'impressione suscitata da un dato crimine o dall'effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull'opinione pubblica.

Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.

Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto.

La mafia è l'organizzazione più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare rispetto alle istituzioni e alla società nel suo insieme.

L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza.

Il dialogo Stato-mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela”.

Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.

Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e cambiare, c'è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.

Nei momenti di malinconia mi lascio andare a pensare al destino degli uomini d'onore: perché mai degli uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti ad inventarsi un'attività criminale per sopravvivere con dignità?

La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette e indirette, consapevoli o no, volontarie od obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione.

Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l'eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

Lo stesso meccanismo di espulsione, praticamente, che si ritrova tra gli eschimesi e presso altri popoli che abbandonano i vecchi, i malati gravi, i feriti perché intralciano il loro cammino in una terra ostile, mettendo in pericolo la sopravvivenza di tutti. In un gruppo come la mafia, che deve difendersi dai nemici, chi è debole o malato deve essere eliminato.

Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992).