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Caso Suárez: il dito e il pallone

Suárez
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L'inchiesta della procura di Perugia sull'esame d'italiano di Luis Suárez ha tutti gli ingredienti per titillare il voyeurismo manettaro dell'opinione pubblica nostrana: protagonisti ricchi e in vista - il formidabile bomber uruguagio e la Juventus che ambiva ad ingaggiarlo - che sembrano inciampare nel proprio privilegio; ipotesi di reato labili, e proprio per questo più suggestive; l'immancabile telefonata a un politico, e le immancabili soffiate ai giornali; e persino l'onomastica beffarda di un responsabile delle indagini e di un gip che si chiamano come l'allenatore sedotto e abbandonato dai bianconeri e come il giovane terzino collaudato da Pirlo in questo primo scampolo di stagione.

Naturalmente toccherà ai magistrati stabilire se siamo di fronte a condotte criminali oppure a millanterie ed eccessi di zelo penalmente irrilevanti. Ma la vicenda rivela una morale più ampia e immediatamente evidente: l'insostenibile arbitrarietà di un sistema in cui il diritto a svolgere il proprio mestiere - sia pure quello dorato del centravanti di Serie A - dipenda dai natali del trisavolo di una moglie o dalla padronanza nel palleggiare i congiuntivi.

Quello che pare aver coinvolto Suárez non è certo il primo tentativo di aggirare la disciplina sul tesseramento degli extracomunitari, e neppure il più smaccato: basti citare l'ormai paradigmatico passaporto di Recoba. La loro frequenza non legittima eventuali irregolarità: i reati, una volta accertati, vanno puniti. Ma mentre puntiamo il dito contro le scorciatoie, vere o presunte, imboccate dai club, perdiamo di vista la loro ragion d'essere: l'esistenza di ostacoli capricciosi all'importazione del talento calcistico.

E una riflessione in materia appare tanto più urgente proprio nei giorni in cui il calcio britannico si adegua allo spirito dei tempi introducendo un arzigogolato sistema a punti per il primo calciomercato post-Brexit, meccanismo che potrebbe finire per alterare l'equilibrio competitivo tra i campionati europei. Conosciamo l'argomento contrario: gli stranieri soffocherebbero la crescita dei calciatori autoctoni e del movimento nel suo complesso. Sarà. Peccato che l'Italia dei vincoli protezionistici non vinca un trofeo da quindici anni, e i suoi club non si affermino in Europa da dieci.