Cassazione Civile: nell’agenzia tra preponente e agente parità delle parti in materia di recesso
Riportiamo i passaggi della motivazione della Sentenza della Cassazione.
"Come emerge dal complesso delle elaborazioni della giurisprudenza e della dottrina, per aversi frode alla legge, occorre: a) che la norma imperativa abbia natura non formale ma materiale, nel senso che sia da essa enucleabile un precetto, non esplicitato, che vieti di raggiungere risultati sostanzialmente equivalenti a quelli espressamente vietati; b) che vi sia identità di risultato fra contratto espressamente vietato e contratto mezzo di elusione; c) che l’elusione sia svelata da indici sintomatici. In altri termini, la frode alla legge funziona come clausola generale di tipizzazione delle condotte tenute in violazione di norme imperative. Per mezzo di essa, e dunque a seguito del combinato disposto della norma imperativa speciale che pone il divieto e della norma imperativa generale che sanziona la frode (art. 1344 c.c.), sono tipizzate non solo le violazioni dirette del precetto imperativo, ma anche le elusioni, gli aggiramenti, le violazioni mediate e indirette, non apparenti e occulte del medesimo.
L’art. 1750, comma quarto, limita l’autonomia privata nel senso che le parti possono sì stabilire termini di maggior durata rispetto a quelli minimi previsti dal comma terzo dello stesso articolo, ma per il preponente non possono essere previsti termini inferiori a quello posto a carico dell’ agente. In tema di recesso dal contratto, quindi, la disciplina individuale deve rispettare il principio di parità di cui è espressione la regola menzionata. In sostanza, sebbene sia ben configurabile l’ipotesi concreta che il preponente abbia un interesse preminente, rispetto a quello dell’agente, a termini di preavviso maggiori (stante il rischio di pregiudizi notevoli alla sua organizzazione d’impresa), il legislatore ha escluso che questo interesse possa essere tutelato mediante la pattuizione di termini diversi e maggiori per l’agente. Esprime, quindi, il precetto materiale che, in tema di recesso, la posizione dell’ agente non possa essere squilibrata rispetto a quella del preponente. Nel caso di specie, la pattuizione della penale, aggiuntiva rispetto all’indennità di mancato preavviso, raggiunge il risultato di contraddire il detto principio, rendendo notevolmente più gravosa, per il solo l’agente, la possibilità di liberarsi del vincolo pagando la prevista indennità di preavviso. Pertanto, per le ragioni esposte, siffatto risultato deve ritenersi non consentito dalla legge in quanto elusivo del principio di parità nella materia del recesso".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 novembre 2006, n.24274: Contratto di agenzia - Recesso - Preavviso).
Riportiamo i passaggi della motivazione della Sentenza della Cassazione.
"Come emerge dal complesso delle elaborazioni della giurisprudenza e della dottrina, per aversi frode alla legge, occorre: a) che la norma imperativa abbia natura non formale ma materiale, nel senso che sia da essa enucleabile un precetto, non esplicitato, che vieti di raggiungere risultati sostanzialmente equivalenti a quelli espressamente vietati; b) che vi sia identità di risultato fra contratto espressamente vietato e contratto mezzo di elusione; c) che l’elusione sia svelata da indici sintomatici. In altri termini, la frode alla legge funziona come clausola generale di tipizzazione delle condotte tenute in violazione di norme imperative. Per mezzo di essa, e dunque a seguito del combinato disposto della norma imperativa speciale che pone il divieto e della norma imperativa generale che sanziona la frode (art. 1344 c.c.), sono tipizzate non solo le violazioni dirette del precetto imperativo, ma anche le elusioni, gli aggiramenti, le violazioni mediate e indirette, non apparenti e occulte del medesimo.
L’art. 1750, comma quarto, limita l’autonomia privata nel senso che le parti possono sì stabilire termini di maggior durata rispetto a quelli minimi previsti dal comma terzo dello stesso articolo, ma per il preponente non possono essere previsti termini inferiori a quello posto a carico dell’ agente. In tema di recesso dal contratto, quindi, la disciplina individuale deve rispettare il principio di parità di cui è espressione la regola menzionata. In sostanza, sebbene sia ben configurabile l’ipotesi concreta che il preponente abbia un interesse preminente, rispetto a quello dell’agente, a termini di preavviso maggiori (stante il rischio di pregiudizi notevoli alla sua organizzazione d’impresa), il legislatore ha escluso che questo interesse possa essere tutelato mediante la pattuizione di termini diversi e maggiori per l’agente. Esprime, quindi, il precetto materiale che, in tema di recesso, la posizione dell’ agente non possa essere squilibrata rispetto a quella del preponente. Nel caso di specie, la pattuizione della penale, aggiuntiva rispetto all’indennità di mancato preavviso, raggiunge il risultato di contraddire il detto principio, rendendo notevolmente più gravosa, per il solo l’agente, la possibilità di liberarsi del vincolo pagando la prevista indennità di preavviso. Pertanto, per le ragioni esposte, siffatto risultato deve ritenersi non consentito dalla legge in quanto elusivo del principio di parità nella materia del recesso".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 novembre 2006, n.24274: Contratto di agenzia - Recesso - Preavviso).