Cassazione Civile: sentenza risarcimento danno esistenziale

La recente sentenza della Cassazione 2546/2007 non contiene nessuna particolare novità in materia di risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale, ma costituisce un ulteriore passo verso il consolidamento definitivo del proprio orientamento.

Secondo la Cassazione: "E’ configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi. Il risarcimento, perciò, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass.n.1442 del 2002). Del pari, non essendo configurabile un danno patrimoniale "in re ipsa" , il diritto al risarcimento di tale danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex art.2043 c.c., richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass. n.12597/2001, n.3549/2004 e n.4980/2006). Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass. 6572/2006), non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art. 345 c.p.c.".

Ricordiamo che la sentenza 6572/2006 aveva stabilito il seguente principio di diritto: "in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato alla esistenza di una lesione dell’integrità psico fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dallo ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nella abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ex art. 115 cod. proc. civ. a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 6 febbraio 2007, n. 2546: Risarcimento danni - Danno esistenziale - Ammissibilità - Onere della prova).

La recente sentenza della Cassazione 2546/2007 non contiene nessuna particolare novità in materia di risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale, ma costituisce un ulteriore passo verso il consolidamento definitivo del proprio orientamento.

Secondo la Cassazione: "E’ configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi. Il risarcimento, perciò, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass.n.1442 del 2002). Del pari, non essendo configurabile un danno patrimoniale "in re ipsa" , il diritto al risarcimento di tale danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex art.2043 c.c., richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass. n.12597/2001, n.3549/2004 e n.4980/2006). Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass. 6572/2006), non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art. 345 c.p.c.".

Ricordiamo che la sentenza 6572/2006 aveva stabilito il seguente principio di diritto: "in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato alla esistenza di una lesione dell’integrità psico fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dallo ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nella abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ex art. 115 cod. proc. civ. a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 6 febbraio 2007, n. 2546: Risarcimento danni - Danno esistenziale - Ammissibilità - Onere della prova).