Cassazione: danno esistenziale per perdita della capacità sessuale

La Cassazione si è espressa in merito al profilo di danno derivante dalla perdita della capacità sessuale a seguito di sinistro stradale.

Nel caso di specie, i Giudici della Suprema Corte, prima di esaminare la sentenza di secondo grado nella parte relativa alla liquidazione del danno per perdita di capacità sesuale, si sono soffermati sul riconoscimento e risarcimento dei danni da perdita di capacità lavorativa generica, giungendo ad alcune conclusioni interessanti sulla base delle evoluzioni del mercato del lavoro.

Secondo la  Cassazione, in particolare: "Come è noto il riconoscimento della perdita della capacità lavorativa generica, come componente strutturale del danno biologico nella sua complessità e nella sua natura dinamica e permanente, risale a teorie scientifiche della medicina legale italiana, ed è scientificamente testata come perdita di capacità lavorativa, per la permanente riduzione della resistenza fisica al lavoro esercitato o alle chances lavorative, secondo l’evoluzione delle offerte di lavoro e delle libere scelte del giovane lavoratore. La stessa riforma del mercato di lavoro si fonda sul principio della mobilità. Orbene, se è logico che nella valutazione globale del danno biologico, la indicazione del punteggio finale derivi dalla valutazione di tutte le componenti, fisiche e psichiche, interrelazionali ed esistenziali (come si desume dalla definizione analitica del danno biologico di non live entità, contenuta nell’art. 138 del codice di assicurazione, che considera i criteri uniformi di risarcimento ai fini dell’illecito civile della circolazione) al fine della realizzazione del principio fondamentale del risarcimento integrale del danno alla persona (cfr.: Corte Cost. sent. 14 giugno 1986 n. 184 e Cass. 22 giugno 2001 n. 8899 e successive, sino a Cass. 1 dicembre 2004 n. 22599), la esclusione di tale componente fisico psichica usurante da una compromissione non lieve e permanente della salute, appare una contraddizione in termini e deve essere adeguatamente motivata, posto che deve essere a prova scientifica controfattuale".

In sostanza, sostiene la Cassazione che "per la regola causale della probabilità elevata, la lesione grave della salute reca come conseguenza negativa una apprezzabile perdita della capacità lavorativa. Il negare tale rilevanza costituisce fattore eccezionale, presente in taluni casi in cui, per la eminente attività intellettuale prestata, una menomazione psicofisica potrebbe non incidere sulla potenzialità delle capacità lavorative, pur compromesse. Esigere dal lavoratore una prova rigorosa in relazione al cd. danno futuro, o negare la natura biologica di tale perdita, contraddice la stessa configurazione del danno biologico come danno a struttura complessa, che incide su vari aspetti della vita fisica e psichica della persona".

Non solo, "sotto altro aspetto la perdita della capacità lavorativa integra la lesione del diritto del cittadino ad accedere al lavoro in condizioni di piena integrità (cfr. art. 4 della Costituzione correlato agli articoli 3 secondo comma e 32 della Costituzione e cfr. Corte Cost. 9 giugno 1965 n. 45) e come tale ha un autonomo rilievo come perdita patrimoniale, ove l’attività lavorativa sia in atto".

Venendo alla perdita da capacità sessuale, la Cassazione ha rilevato in via generale che "Quanto al diritto alla sessualità, occorre ricordare l’incipit della Corte Costituzionale (Corte Cost. sentenza 18 dicembre 1987 n. 561) che lo inquadra tra i diritti inviolabili della persona (art. 2), come modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona. Certamente la perdita della sessualità costituisce anche danno biologico (la cui valutazione nelle tabelle medico legali convenzionali supera normalmente il livello della micropermanente e determina un rilevante ritocco del punteggio finale) consequenziale alla lesione per fatto della circolazione (come è nel caso di specie), ma nessuno ormai nega (v: da ultimo Cass. SSUU 24 marzo 2006 n. 6572 e Cass. III Sez. Civile 12 giugno 2006 n. 13546) che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per sé danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente in termini non patrimoniali e con una congrua stima dell’equivalente economico del debito di valore. Non vengono qui in questione altri aspetti inerenti alla procreazione o alla vita sessuale familiare, dato lo status della vittima, ma certamente questi ulteriori aspetti sarebbero rilevanti ai fini della equilibrata valutazione del danno anche ai fini di un congruo ristoro".

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 2 febbraio 2007, n. 2311).

La Cassazione si è espressa in merito al profilo di danno derivante dalla perdita della capacità sessuale a seguito di sinistro stradale.

Nel caso di specie, i Giudici della Suprema Corte, prima di esaminare la sentenza di secondo grado nella parte relativa alla liquidazione del danno per perdita di capacità sesuale, si sono soffermati sul riconoscimento e risarcimento dei danni da perdita di capacità lavorativa generica, giungendo ad alcune conclusioni interessanti sulla base delle evoluzioni del mercato del lavoro.

Secondo la  Cassazione, in particolare: "Come è noto il riconoscimento della perdita della capacità lavorativa generica, come componente strutturale del danno biologico nella sua complessità e nella sua natura dinamica e permanente, risale a teorie scientifiche della medicina legale italiana, ed è scientificamente testata come perdita di capacità lavorativa, per la permanente riduzione della resistenza fisica al lavoro esercitato o alle chances lavorative, secondo l’evoluzione delle offerte di lavoro e delle libere scelte del giovane lavoratore. La stessa riforma del mercato di lavoro si fonda sul principio della mobilità. Orbene, se è logico che nella valutazione globale del danno biologico, la indicazione del punteggio finale derivi dalla valutazione di tutte le componenti, fisiche e psichiche, interrelazionali ed esistenziali (come si desume dalla definizione analitica del danno biologico di non live entità, contenuta nell’art. 138 del codice di assicurazione, che considera i criteri uniformi di risarcimento ai fini dell’illecito civile della circolazione) al fine della realizzazione del principio fondamentale del risarcimento integrale del danno alla persona (cfr.: Corte Cost. sent. 14 giugno 1986 n. 184 e Cass. 22 giugno 2001 n. 8899 e successive, sino a Cass. 1 dicembre 2004 n. 22599), la esclusione di tale componente fisico psichica usurante da una compromissione non lieve e permanente della salute, appare una contraddizione in termini e deve essere adeguatamente motivata, posto che deve essere a prova scientifica controfattuale".

In sostanza, sostiene la Cassazione che "per la regola causale della probabilità elevata, la lesione grave della salute reca come conseguenza negativa una apprezzabile perdita della capacità lavorativa. Il negare tale rilevanza costituisce fattore eccezionale, presente in taluni casi in cui, per la eminente attività intellettuale prestata, una menomazione psicofisica potrebbe non incidere sulla potenzialità delle capacità lavorative, pur compromesse. Esigere dal lavoratore una prova rigorosa in relazione al cd. danno futuro, o negare la natura biologica di tale perdita, contraddice la stessa configurazione del danno biologico come danno a struttura complessa, che incide su vari aspetti della vita fisica e psichica della persona".

Non solo, "sotto altro aspetto la perdita della capacità lavorativa integra la lesione del diritto del cittadino ad accedere al lavoro in condizioni di piena integrità (cfr. art. 4 della Costituzione correlato agli articoli 3 secondo comma e 32 della Costituzione e cfr. Corte Cost. 9 giugno 1965 n. 45) e come tale ha un autonomo rilievo come perdita patrimoniale, ove l’attività lavorativa sia in atto".

Venendo alla perdita da capacità sessuale, la Cassazione ha rilevato in via generale che "Quanto al diritto alla sessualità, occorre ricordare l’incipit della Corte Costituzionale (Corte Cost. sentenza 18 dicembre 1987 n. 561) che lo inquadra tra i diritti inviolabili della persona (art. 2), come modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona. Certamente la perdita della sessualità costituisce anche danno biologico (la cui valutazione nelle tabelle medico legali convenzionali supera normalmente il livello della micropermanente e determina un rilevante ritocco del punteggio finale) consequenziale alla lesione per fatto della circolazione (come è nel caso di specie), ma nessuno ormai nega (v: da ultimo Cass. SSUU 24 marzo 2006 n. 6572 e Cass. III Sez. Civile 12 giugno 2006 n. 13546) che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per sé danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente in termini non patrimoniali e con una congrua stima dell’equivalente economico del debito di valore. Non vengono qui in questione altri aspetti inerenti alla procreazione o alla vita sessuale familiare, dato lo status della vittima, ma certamente questi ulteriori aspetti sarebbero rilevanti ai fini della equilibrata valutazione del danno anche ai fini di un congruo ristoro".

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 2 febbraio 2007, n. 2311).