Cassazione Lavoro: riduzione d’ufficio della sanzione disciplinare inflitta al lavoratore

Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità all’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione, onde è riservato esclusivamente al titolare e, neppure quanto alla riduzione della gravità della sanzione, può essere esercitato dal giudice, salvo il caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista perciò soltanto in una riconduzione al limite.

In sostanza - secondo la Cassazione - istituti come la riduzione d’ufficio della penale o come la conversione del contratto nullo sono estranei al tema disputato sia perchè la sanzione disciplinare, a differenza della penale nel contratto, non ha funzione risarcitoria, sia perchè la sanzione eccessiva non è equiparabile al negozio giuridico nullo e del resto la conversione giudiziale presuppone l’assenza di una manifestazione d’autonomia riservata all’autore del negozio.

Tuttavia - prosegue la Cassazione - diverso è il caso,  in cui lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, chieda, nell’atto di costituzione (non v’è alcuna domanda riconvenzionale), la riduzione della pena per l’ipotesi in cui il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta. In tal caso, l’applicazione di una pena minore non sottrae autonomia all’imprenditore e realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio, avente ad oggetto la stessa.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 13 aprile 2007, n. 8910: Sanzioni disciplinari - Condizioni per la riduzione d’ufficio)
Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità all’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione, onde è riservato esclusivamente al titolare e, neppure quanto alla riduzione della gravità della sanzione, può essere esercitato dal giudice, salvo il caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista perciò soltanto in una riconduzione al limite.

In sostanza - secondo la Cassazione - istituti come la riduzione d’ufficio della penale o come la conversione del contratto nullo sono estranei al tema disputato sia perchè la sanzione disciplinare, a differenza della penale nel contratto, non ha funzione risarcitoria, sia perchè la sanzione eccessiva non è equiparabile al negozio giuridico nullo e del resto la conversione giudiziale presuppone l’assenza di una manifestazione d’autonomia riservata all’autore del negozio.

Tuttavia - prosegue la Cassazione - diverso è il caso,  in cui lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, chieda, nell’atto di costituzione (non v’è alcuna domanda riconvenzionale), la riduzione della pena per l’ipotesi in cui il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta. In tal caso, l’applicazione di una pena minore non sottrae autonomia all’imprenditore e realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio, avente ad oggetto la stessa.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 13 aprile 2007, n. 8910: Sanzioni disciplinari - Condizioni per la riduzione d’ufficio)