Cassazione SU Civili: incompatibilità avvocati in relazione alle cariche nelle società commerciali
In particolare, la Cassazione ha ricordato e ribadito il proprio orientamento e quello del Consiglio Nazionale Forense, in base al quale "la situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense, prevista dall’art 3, primo comma, del Rdl 1578/33 per il caso di «esercizio del commercio in nome altrui» ricorre nei confronti del professionista che assuma la carica di amministratore delegato di una società commerciale, ove risulti che tale carica, in forza dell’atto costitutivo o di delega del consiglio di amministrazione, comporti effettivi poteri di gestione e di rappresentanza, ed a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali (in termini, ad esempio, Cassazione, Su, 1143/77)".
In sostanza, secondo le Sezioni Unite "il professionista che ricopra la carica di Presidente del consiglio di amministrazione, di amministratore unico o di amministratore delegato di una società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità (esercizio del commercio in nome altrui) prevista dall’articolo 3, Rdl 1578/33, situazione di incompatibilità che, invece, non ricorre quando il professionista pur ricoprendo la carica di Presidente del consiglio di amministrazione, sia stato privato, per statuto sociale o per successiva deliberazione, dei poteri di gestione dell’attività commerciale, attraverso la nomina di un amministratore delegato (cfr. Cons. Naz. For. 20 settembre 2000, n. 90; Cons. Naz. For. 12 novembre 1996)".
Nel caso di specie l’avvocato aveva ricoperto la carica di presidente del consiglio di amministrazione e successivamente di amministratore delegato della Compagnia Lavoratori Portuali di Viareggio S.r.l..
Quanto all’asserita violazione di legge da parte dell’articolo 38 legge professionale in quanto non prevede una pena per la violazione dell’articolo 3 della stessa legge professionale, le Sezioni Unite hanno rilevato che "In conformità a quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che l’articolo 38 Rdl 1578/33 sull’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, nel prevedere come illecito disciplinare i fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, non individua comportamenti tassativamente determinati, poiché il principio di legalità si riferisce solo alle sanzioni penali e non si applica alle sanzioni disciplinari (Cassazione, sez. un., 10601/05). In altri termini, legittimamente l’articolo 38 Rdl 1578/33 non individua comportamenti tassativi di illecito disciplinare per gli avvocati, perché il principio di legalità, di cui all’articolo 25, comma 2, Costituzione, si riferisce soltanto alle sanzioni penali (Cassazione, sez. un., 309/05; 1197/83). Ne deriva che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme dell’Ordinamento professionale forense, in relazione agli articolo 3, 24, 25 e 27 Costituzione, nella parte in cui, con riguardo alla materia disciplinare, omettono una precisa individuazione delle regole di deontologia professionale, poiché la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione ben può ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in cui il giudice opera e poiché all’esercizio del potere disciplinare, quale espressione di potestà amministrativa, sono estranei i precetti costituzionali concernenti la funzione giurisdizionale (Cassazione, sez. un., 6733/03)".
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 30 novembre 2006 - 5 gennaio 2007, n. 37).
In particolare, la Cassazione ha ricordato e ribadito il proprio orientamento e quello del Consiglio Nazionale Forense, in base al quale "la situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense, prevista dall’art 3, primo comma, del Rdl 1578/33 per il caso di «esercizio del commercio in nome altrui» ricorre nei confronti del professionista che assuma la carica di amministratore delegato di una società commerciale, ove risulti che tale carica, in forza dell’atto costitutivo o di delega del consiglio di amministrazione, comporti effettivi poteri di gestione e di rappresentanza, ed a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali (in termini, ad esempio, Cassazione, Su, 1143/77)".
In sostanza, secondo le Sezioni Unite "il professionista che ricopra la carica di Presidente del consiglio di amministrazione, di amministratore unico o di amministratore delegato di una società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità (esercizio del commercio in nome altrui) prevista dall’articolo 3, Rdl 1578/33, situazione di incompatibilità che, invece, non ricorre quando il professionista pur ricoprendo la carica di Presidente del consiglio di amministrazione, sia stato privato, per statuto sociale o per successiva deliberazione, dei poteri di gestione dell’attività commerciale, attraverso la nomina di un amministratore delegato (cfr. Cons. Naz. For. 20 settembre 2000, n. 90; Cons. Naz. For. 12 novembre 1996)".
Nel caso di specie l’avvocato aveva ricoperto la carica di presidente del consiglio di amministrazione e successivamente di amministratore delegato della Compagnia Lavoratori Portuali di Viareggio S.r.l..
Quanto all’asserita violazione di legge da parte dell’articolo 38 legge professionale in quanto non prevede una pena per la violazione dell’articolo 3 della stessa legge professionale, le Sezioni Unite hanno rilevato che "In conformità a quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che l’articolo 38 Rdl 1578/33 sull’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, nel prevedere come illecito disciplinare i fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, non individua comportamenti tassativamente determinati, poiché il principio di legalità si riferisce solo alle sanzioni penali e non si applica alle sanzioni disciplinari (Cassazione, sez. un., 10601/05). In altri termini, legittimamente l’articolo 38 Rdl 1578/33 non individua comportamenti tassativi di illecito disciplinare per gli avvocati, perché il principio di legalità, di cui all’articolo 25, comma 2, Costituzione, si riferisce soltanto alle sanzioni penali (Cassazione, sez. un., 309/05; 1197/83). Ne deriva che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme dell’Ordinamento professionale forense, in relazione agli articolo 3, 24, 25 e 27 Costituzione, nella parte in cui, con riguardo alla materia disciplinare, omettono una precisa individuazione delle regole di deontologia professionale, poiché la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione ben può ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in cui il giudice opera e poiché all’esercizio del potere disciplinare, quale espressione di potestà amministrativa, sono estranei i precetti costituzionali concernenti la funzione giurisdizionale (Cassazione, sez. un., 6733/03)".
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 30 novembre 2006 - 5 gennaio 2007, n. 37).