Cassazione SU Unite: no alla deroga della giurisdizione italiana in caso di diritti indisponibili
In merito alla deroga della giurisdizione italiana, le Sezioni Unite hanno stabilito quanto segue.
"La legge n. 218 del 1995, fissando le regole comuni sull’esercizio della giurisdizione italiana, afferma nell’art. 3 prima parte che la giurisdizione italiana sussiste quando <il convenuto ha in Italia il domicilio o la residenza oppure vi ha un rappresentante abilitato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi previsti dalla legge>. Come si è affermato, il carattere di principio generale di tale regola di competenza trova la sua ratio nel fatto che essa permette al convenuto di difendersi in linea di principio più agevolmente (cfr. sulla portata di tale regola: Corte giust. 17 giugno 1992 C-26/91, Handte, che precisa anche come le norme di competenza, derogatorie rispetto all’indicato principio generale, non possono essere soggette ad una interpretazione estensiva). Né per andare in contrario avviso ed escludere la giurisdizione del giudice italiano può - come ha fatto il ricorrente - sostenersi che il riconoscimento della giurisdizione del giudice straniero era insita nel contenuto della clausola compromissoria e che non osta a detto riconoscimento la circostanza che la presente controversia attenga ad un rapporto di lavoro.
Ed invero, a disvelare l’infondatezza di simili censure è sufficiente sotto il primo versante osservare che il giudice d’appello, confermando quanto già sul punto statuito dal primo giudice, ha ritenuto sulla base del suo tenore letterale che la clausola compromissoria avesse un oggetto diverso da quello costituente l’oggetto della presente controversia, procedendo pertanto ad una interpretazione di detta clausola incontestabile in questa sede atteso la correttezza del criterio ermeneutico seguito e la devoluzione al giudice nazionale del compito interpretativo della clausola attributiva della competenza (cfr. in argomento: Corte giust. 3 luglio 1997 c-269/95, Benincasa; Corte giust. 10 marzo 1992 C-4/89, Powell Duffryn).
Né può sottacersi, sotto distinto versante, che sebbene il disposto dell’art. 4, n.2, della suddetta l. 218/1995 ampli rispetto al passato gli spazi entro i quali le parti possono accordarsi, per accettare o derogare la giurisdizione interna a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero, detta disposizione però esclude ogni possibilità di deroga alla giurisdizione italiana oltre che nei casi in cui la deroga non sia provata per iscritto anche nelle ipotesi in cui la causa verta sui diritti indisponibili, nel cui ambito, come ha evidenziato la dottrina, vanno annoverate oltre le cause attribuite alla competenza esclusiva dei giudici italiani, anche quelle di cui all’art. 806 c.p.c. nonchè quelle di cui all’art. 808 c.p.c., che statuisce testualmente, al secondo comma, prima parte che le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. - tra le quali va annoverata quella in esame - "possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purchè ciò avvenga a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria".
Conclusione questa confortata ulteriormente dalla considerazione, unanimamente condivisa, che la l. 218/1995 nel coordinare le sue norme di rinvio con il diritto sostanziale italiano comporta l’applicazione di quelle norme interne <non contingentemente legate al funzionamento della società italiana e caratterizzantesi come più tipicamente rivolte a garantire diritti fondamentali delle persone>."
In merito alla sospensione del processo in attesa della pronuncia sulla competenza giurisdizionale del giudice straniero, le Sezioni Unite hanno affermto quanto segue.
"L’art. 7 della nuova legge n. 218 del 1995 prevede, invece, che il giudice italiano, adito e successivamente a quello straniero, debba sospendere il giudizio se, sulla base degli elementi disponibili, ritiene che la sentenza stranierà potrà, quando sarà stata emessa, spiegare effetto in Italia. Valutazione prognostica che nella fattispecie in esame non è possibile effettuare non potendosi procedere, sulla base del contenuto del ricorso in cassazione, alla verifica delle condizioni richieste per l’operatività della litispendenza, e tra queste al riscontro: dell’identità tra i due giudizi delle parti, dell’oggetto e del titolo; dell’introduzione del giudizio straniero prima di quello italiano - circostanza questa che è stata espressamente esclusa dal giudice d’appello; della conoscenza da parte del convenuto dell’atto introduttivo del giudizio (in base al diritto straniero); del rispetto dei diritti essenziali della difesa nonché della regolare costituzione delle parti (sempre secondo il diritto straniero)".
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 2 maggio 2006, n. 10219).
In merito alla deroga della giurisdizione italiana, le Sezioni Unite hanno stabilito quanto segue.
"La legge n. 218 del 1995, fissando le regole comuni sull’esercizio della giurisdizione italiana, afferma nell’art. 3 prima parte che la giurisdizione italiana sussiste quando <il convenuto ha in Italia il domicilio o la residenza oppure vi ha un rappresentante abilitato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi previsti dalla legge>. Come si è affermato, il carattere di principio generale di tale regola di competenza trova la sua ratio nel fatto che essa permette al convenuto di difendersi in linea di principio più agevolmente (cfr. sulla portata di tale regola: Corte giust. 17 giugno 1992 C-26/91, Handte, che precisa anche come le norme di competenza, derogatorie rispetto all’indicato principio generale, non possono essere soggette ad una interpretazione estensiva). Né per andare in contrario avviso ed escludere la giurisdizione del giudice italiano può - come ha fatto il ricorrente - sostenersi che il riconoscimento della giurisdizione del giudice straniero era insita nel contenuto della clausola compromissoria e che non osta a detto riconoscimento la circostanza che la presente controversia attenga ad un rapporto di lavoro.
Ed invero, a disvelare l’infondatezza di simili censure è sufficiente sotto il primo versante osservare che il giudice d’appello, confermando quanto già sul punto statuito dal primo giudice, ha ritenuto sulla base del suo tenore letterale che la clausola compromissoria avesse un oggetto diverso da quello costituente l’oggetto della presente controversia, procedendo pertanto ad una interpretazione di detta clausola incontestabile in questa sede atteso la correttezza del criterio ermeneutico seguito e la devoluzione al giudice nazionale del compito interpretativo della clausola attributiva della competenza (cfr. in argomento: Corte giust. 3 luglio 1997 c-269/95, Benincasa; Corte giust. 10 marzo 1992 C-4/89, Powell Duffryn).
Né può sottacersi, sotto distinto versante, che sebbene il disposto dell’art. 4, n.2, della suddetta l. 218/1995 ampli rispetto al passato gli spazi entro i quali le parti possono accordarsi, per accettare o derogare la giurisdizione interna a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero, detta disposizione però esclude ogni possibilità di deroga alla giurisdizione italiana oltre che nei casi in cui la deroga non sia provata per iscritto anche nelle ipotesi in cui la causa verta sui diritti indisponibili, nel cui ambito, come ha evidenziato la dottrina, vanno annoverate oltre le cause attribuite alla competenza esclusiva dei giudici italiani, anche quelle di cui all’art. 806 c.p.c. nonchè quelle di cui all’art. 808 c.p.c., che statuisce testualmente, al secondo comma, prima parte che le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. - tra le quali va annoverata quella in esame - "possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purchè ciò avvenga a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria".
Conclusione questa confortata ulteriormente dalla considerazione, unanimamente condivisa, che la l. 218/1995 nel coordinare le sue norme di rinvio con il diritto sostanziale italiano comporta l’applicazione di quelle norme interne <non contingentemente legate al funzionamento della società italiana e caratterizzantesi come più tipicamente rivolte a garantire diritti fondamentali delle persone>."
In merito alla sospensione del processo in attesa della pronuncia sulla competenza giurisdizionale del giudice straniero, le Sezioni Unite hanno affermto quanto segue.
"L’art. 7 della nuova legge n. 218 del 1995 prevede, invece, che il giudice italiano, adito e successivamente a quello straniero, debba sospendere il giudizio se, sulla base degli elementi disponibili, ritiene che la sentenza stranierà potrà, quando sarà stata emessa, spiegare effetto in Italia. Valutazione prognostica che nella fattispecie in esame non è possibile effettuare non potendosi procedere, sulla base del contenuto del ricorso in cassazione, alla verifica delle condizioni richieste per l’operatività della litispendenza, e tra queste al riscontro: dell’identità tra i due giudizi delle parti, dell’oggetto e del titolo; dell’introduzione del giudizio straniero prima di quello italiano - circostanza questa che è stata espressamente esclusa dal giudice d’appello; della conoscenza da parte del convenuto dell’atto introduttivo del giudizio (in base al diritto straniero); del rispetto dei diritti essenziali della difesa nonché della regolare costituzione delle parti (sempre secondo il diritto straniero)".
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 2 maggio 2006, n. 10219).