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Chi offre al pubblico un servizio Wi-Fi gratuito non è responsabile per le attività degli utenti

di Marco Bellezza

 

Vedi anche la news di Filodiritto del 29 settembre.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una decisione recente ha confermato il principio a mente del quale un esercente che metta a disposizione una connessione Wi-Fi pubblica e gratuita per i propri clienti non è responsabile, a determinate condizioni, delle attività compiute da questi ultimi attraverso la connessione offerta.

I giudici europei hanno affrontato la questione in occasione di una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da una corte tedesca innanzi alla quale era in corso un contenzioso tra un esercente che forniva ai propri utenti un servizio di accesso Wi-Fi non protetto da password e la Sony Music.

L’origine del contenzioso è singolare e denota la volontà dell’esercente di ottenere una decisione che facesse chiarezza sulla sua posizione in qualità di fornitore del servizio in questione. Infatti, l’esercente avendo ricevuto una diffida da parte di Sony Music affinché impedisse agli utenti del servizio Wi-Fi di scaricare illegalmente contenuti protetti di proprietà della casa discografica, in risposta alla stessa ha deciso di avviare un contezioso contro la società in questione chiedendo al giudice di accertare che, in qualità di fornitore di un servizio di accesso Wi-Fi, non fosse tenuto a esercitare un controllo sulle attività svolte dagli utenti attraverso il servizio fornito. Intervenuta nel giudizio la Sony Music ha chiesto dal canto suo che l’esercente fosse condannato a cessare la condotta rilevante e a risarcire i danni subiti dalla società per la violazione dei diritti di proprietà intellettuale commessa dagli utenti. In primo grado il tribunale ha dato ragione alla Sony Music. Nel giudizio di appello, la corte tedesca competente ha deciso di sospendere il giudizio rivolgendo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una serie di domande sulla corretta interpretazione del diritto europeo in materia.

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Nella decisione che si segnala la Corte europea chiarisce anzitutto che l’esercente nella prestazione del servizio in parola si qualifica come un fornitore di un servizio della società dell’informazione consistente nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, come tale garantito dall’esenzione di responsabilità per le attività svolte dagli utenti secondo quanto previsto dall’articolo 12 della Direttiva E-Commerce (Direttiva 2000/31/CE). Infatti non è necessario che l’esercente fornisca tale servizio facendo pagare un prezzo ai propri clienti, né che vi sia un rapporto contrattuale tra l’esercente e i suoi clienti.

L’esercente, chiarisce la Corte, non è responsabile a condizione che sia soddisfatta una triplice condizione: i) che non dia origine alla trasmissione; ii) che non selezioni il destinatario della trasmissione; e iii) che non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. In sostanza il servizio fornito deve essere meramente tecnico, automatico e passivo ed idoneo ad assicurare l’esecuzione della trasmissione di informazioni richiesta.

Ribadito questo principio fondamentale, la Corte europea, sollecitata dalle domande rivoltele dalla Corte di appello, passa ad esaminare la decisione del primo giudice e ne valuta la compatibilità alla luce del diritto europeo.

In proposito i giudici europei osservano come sia in contrasto con la Direttiva richiamata una decisione che condanni un prestatore di servizi come l’esercente al risarcimento dei danni eventualmente arrecati a terzi dagli utenti del servizio fornito. È evidente, infatti, che l’esercente non potendo e non essendo tenuto a controllare le attività degli utenti del servizio debba andare esente da responsabilità.

Nondimeno l’esercente può essere considerato responsabile nel caso in cui non ottemperi ad una decisione di un’autorità amministrativa o giurisdizionale che vieti a quest’ultimo di permettere la prosecuzione ai propri clienti della violazione dei diritti di terzi.

E allora quale ampiezza possono avere gli ordini delle autorità nazionali nell’ambito considerato?

A questa domanda la Corte di Giustizia dell’Unione Europea risponde considerando in concreto i possibili ordini emanabili nei confronti dell’esercente: 1) obbligare l’esercente ad esaminare tutte le informazioni trasmesse attraverso una connessione a Internet; 2) obbligare all’esercente di chiudere detta connessione; oppure 3) ordinare all’esercente di proteggere la connessione mediante password.

Le prime due misure sono considerate dalla Corte europea in contrasto con le previsioni della Direttiva. La prima in quanto imporrebbe un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse che è espressamente escluso dall’articolo 15 della Direttiva E-Commerce. La seconda in quanto sarebbe gravemente lesiva della libertà di impresa dell’esercente che non potrebbe proseguire un’attività economica, seppur accessoria rispetto a quella svolta, a fronte di una “[…] violazione limitata del diritto d’autore” di terzi.

Occorre, dunque, secondo i giudici di Lussemburgo valutare in un’ottica di bilanciamento tra diritti fondamentali e alla luce del principio della “less restrictive alternative” la possibilità di imporre all’esercente l’applicazione di credenziali di accesso al servizio fornito.

In questa direzione, osservano i giudici europei, la terza misura considerata appare compatibile con il quadro normativo vigente in quanto, seppur idonea a restringere la libertà d’impresa del prestatore e il diritto alla libertà d’informazione degli utenti del servizio, non svuota di contenuto l’esercizio di tali diritti fondamentali ed appare, sotto altro profilo, idonea a “dissuadere gli utenti di tale connessione dal violare un diritto d’autore o diritti connessi, nei limiti in cui tali utenti siano obbligati a rivelare la loro identità al fine di ottenere la password richiesta e non possano quindi agire anonimamente […]”.

La decisione segnalata appare di particolare interesse perché da un lato, conferma e chiarisce uno dei principi cardine del diritto europeo sui prestatori di servizi internet e, sotto altro profilo, si pone in linea di continuità con le iniziative politiche messe in campo, in tempi recenti dalla Commissione UE in materia di Wi-Fi pubblico e gratuito. Il riferimento è al programma “WiFi4EU” che presentato dalla Commissione UE insieme ad altre iniziative volte a promuovere gli investimenti in connettività nel territorio europeo, mira a stanziare 120 milioni di euro entro il 2020 a favore delle amministrazioni pubbliche interessate ad installare punti di accesso locali senza fili nei propri territori.

Redatto il 30 settembre 2016

di Marco Bellezza

 

Vedi anche la news di Filodiritto del 29 settembre.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una decisione recente ha confermato il principio a mente del quale un esercente che metta a disposizione una connessione Wi-Fi pubblica e gratuita per i propri clienti non è responsabile, a determinate condizioni, delle attività compiute da questi ultimi attraverso la connessione offerta.

I giudici europei hanno affrontato la questione in occasione di una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da una corte tedesca innanzi alla quale era in corso un contenzioso tra un esercente che forniva ai propri utenti un servizio di accesso Wi-Fi non protetto da password e la Sony Music.

L’origine del contenzioso è singolare e denota la volontà dell’esercente di ottenere una decisione che facesse chiarezza sulla sua posizione in qualità di fornitore del servizio in questione. Infatti, l’esercente avendo ricevuto una diffida da parte di Sony Music affinché impedisse agli utenti del servizio Wi-Fi di scaricare illegalmente contenuti protetti di proprietà della casa discografica, in risposta alla stessa ha deciso di avviare un contezioso contro la società in questione chiedendo al giudice di accertare che, in qualità di fornitore di un servizio di accesso Wi-Fi, non fosse tenuto a esercitare un controllo sulle attività svolte dagli utenti attraverso il servizio fornito. Intervenuta nel giudizio la Sony Music ha chiesto dal canto suo che l’esercente fosse condannato a cessare la condotta rilevante e a risarcire i danni subiti dalla società per la violazione dei diritti di proprietà intellettuale commessa dagli utenti. In primo grado il tribunale ha dato ragione alla Sony Music. Nel giudizio di appello, la corte tedesca competente ha deciso di sospendere il giudizio rivolgendo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una serie di domande sulla corretta interpretazione del diritto europeo in materia.

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Nella decisione che si segnala la Corte europea chiarisce anzitutto che l’esercente nella prestazione del servizio in parola si qualifica come un fornitore di un servizio della società dell’informazione consistente nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, come tale garantito dall’esenzione di responsabilità per le attività svolte dagli utenti secondo quanto previsto dall’articolo 12 della Direttiva E-Commerce (Direttiva 2000/31/CE). Infatti non è necessario che l’esercente fornisca tale servizio facendo pagare un prezzo ai propri clienti, né che vi sia un rapporto contrattuale tra l’esercente e i suoi clienti.

L’esercente, chiarisce la Corte, non è responsabile a condizione che sia soddisfatta una triplice condizione: i) che non dia origine alla trasmissione; ii) che non selezioni il destinatario della trasmissione; e iii) che non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. In sostanza il servizio fornito deve essere meramente tecnico, automatico e passivo ed idoneo ad assicurare l’esecuzione della trasmissione di informazioni richiesta.

Ribadito questo principio fondamentale, la Corte europea, sollecitata dalle domande rivoltele dalla Corte di appello, passa ad esaminare la decisione del primo giudice e ne valuta la compatibilità alla luce del diritto europeo.

In proposito i giudici europei osservano come sia in contrasto con la Direttiva richiamata una decisione che condanni un prestatore di servizi come l’esercente al risarcimento dei danni eventualmente arrecati a terzi dagli utenti del servizio fornito. È evidente, infatti, che l’esercente non potendo e non essendo tenuto a controllare le attività degli utenti del servizio debba andare esente da responsabilità.

Nondimeno l’esercente può essere considerato responsabile nel caso in cui non ottemperi ad una decisione di un’autorità amministrativa o giurisdizionale che vieti a quest’ultimo di permettere la prosecuzione ai propri clienti della violazione dei diritti di terzi.

E allora quale ampiezza possono avere gli ordini delle autorità nazionali nell’ambito considerato?

A questa domanda la Corte di Giustizia dell’Unione Europea risponde considerando in concreto i possibili ordini emanabili nei confronti dell’esercente: 1) obbligare l’esercente ad esaminare tutte le informazioni trasmesse attraverso una connessione a Internet; 2) obbligare all’esercente di chiudere detta connessione; oppure 3) ordinare all’esercente di proteggere la connessione mediante password.

Le prime due misure sono considerate dalla Corte europea in contrasto con le previsioni della Direttiva. La prima in quanto imporrebbe un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse che è espressamente escluso dall’articolo 15 della Direttiva E-Commerce. La seconda in quanto sarebbe gravemente lesiva della libertà di impresa dell’esercente che non potrebbe proseguire un’attività economica, seppur accessoria rispetto a quella svolta, a fronte di una “[…] violazione limitata del diritto d’autore” di terzi.

Occorre, dunque, secondo i giudici di Lussemburgo valutare in un’ottica di bilanciamento tra diritti fondamentali e alla luce del principio della “less restrictive alternative” la possibilità di imporre all’esercente l’applicazione di credenziali di accesso al servizio fornito.

In questa direzione, osservano i giudici europei, la terza misura considerata appare compatibile con il quadro normativo vigente in quanto, seppur idonea a restringere la libertà d’impresa del prestatore e il diritto alla libertà d’informazione degli utenti del servizio, non svuota di contenuto l’esercizio di tali diritti fondamentali ed appare, sotto altro profilo, idonea a “dissuadere gli utenti di tale connessione dal violare un diritto d’autore o diritti connessi, nei limiti in cui tali utenti siano obbligati a rivelare la loro identità al fine di ottenere la password richiesta e non possano quindi agire anonimamente […]”.

La decisione segnalata appare di particolare interesse perché da un lato, conferma e chiarisce uno dei principi cardine del diritto europeo sui prestatori di servizi internet e, sotto altro profilo, si pone in linea di continuità con le iniziative politiche messe in campo, in tempi recenti dalla Commissione UE in materia di Wi-Fi pubblico e gratuito. Il riferimento è al programma “WiFi4EU” che presentato dalla Commissione UE insieme ad altre iniziative volte a promuovere gli investimenti in connettività nel territorio europeo, mira a stanziare 120 milioni di euro entro il 2020 a favore delle amministrazioni pubbliche interessate ad installare punti di accesso locali senza fili nei propri territori.

Redatto il 30 settembre 2016