Chirurgia - Cassazione Penale: la finalità terapeutica esclude il dolo per lesioni
La Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità in capo al medico del reato di lesioni volontarie aggravate per non aver ottenuto adeguato consenso informato dal paziente.
Il caso in questione aveva visto la condanna in Corte d’appello di due chirurghi per il reato di lesioni gravissime ai danni di una paziente, operata al cervello senza adeguato consenso informato. A causa di complicanze legate all’intervento suddetto, la paziente era infatti stata ridotta ad uno stato semi-vegetativo.
La Corte d’appello aveva emesso sentenza di condanna in quanto riteneva l’attività medico-chirurgica inevitabilmente lesiva per il paziente e legittimabile solo in presenza della scriminante del consenso dell’avente diritto, che, nel caso in questione risultava, appunto, assente.
Di tutt’altro avviso è la Corte di Cassazione, che ha sottolineato come l’attività medica vada considerata come intrinsecamente lecita, in quanto dettata dalla finalità terapeutica. Per questa ragione l’attività medica non necessita, per legittimarsi, né di scriminanti né di cause di esclusione della punibilità.
La sussistenza della finalità terapeutica ha inoltre condotto la Corte ad escludere categoricamente l’elemento soggettivo del dolo nel caso in questione; piuttosto si sarebbe potuto configurare un reato di natura colposa, che sarebbe comunque risultato estinto per avvenuta prescrizione.
Inoltre, pur sottolineando l’importanza del consenso del paziente, in quanto condizione a che il trattamento sanitario consista in una scelta libera e consapevole, la Corte ha rilevato come la mancanza di consenso non possa automaticamente condurre alla configurabilità del reato. Nel caso in questione mancherebbe, infatti, un rapporto di derivazione tra la cattiva informazione fornita alla paziente e le lesioni riportate.
La Corte ha ulteriormente rimarcato come la condotta di un medico che agisce per la tutela del paziente non sia assolutamente paragonabile a quella di chi agisce con l’intenzione di cagionare una lesione, affermando che: “in ciò sta, infatti, la fondamentale differenza tra il medico e qualsiasi volgare attentatore alla incolumità altrui: che il medico, chiamato a confrontarsi col male, non può sottrarsi all’obbligo di cooperare per risolverlo; il soggetto attivo nel reato di lesioni, invece, non è mosso da nessuna necessità (anzi, contravviene ad un obbligo di astensione) ed opera per infliggere una sofferenza”.
Così argomentando, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio.
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 novembre 2015 - 21 aprile 2016, n. 16678)
La Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità in capo al medico del reato di lesioni volontarie aggravate per non aver ottenuto adeguato consenso informato dal paziente.
Il caso in questione aveva visto la condanna in Corte d’appello di due chirurghi per il reato di lesioni gravissime ai danni di una paziente, operata al cervello senza adeguato consenso informato. A causa di complicanze legate all’intervento suddetto, la paziente era infatti stata ridotta ad uno stato semi-vegetativo.
La Corte d’appello aveva emesso sentenza di condanna in quanto riteneva l’attività medico-chirurgica inevitabilmente lesiva per il paziente e legittimabile solo in presenza della scriminante del consenso dell’avente diritto, che, nel caso in questione risultava, appunto, assente.
Di tutt’altro avviso è la Corte di Cassazione, che ha sottolineato come l’attività medica vada considerata come intrinsecamente lecita, in quanto dettata dalla finalità terapeutica. Per questa ragione l’attività medica non necessita, per legittimarsi, né di scriminanti né di cause di esclusione della punibilità.
La sussistenza della finalità terapeutica ha inoltre condotto la Corte ad escludere categoricamente l’elemento soggettivo del dolo nel caso in questione; piuttosto si sarebbe potuto configurare un reato di natura colposa, che sarebbe comunque risultato estinto per avvenuta prescrizione.
Inoltre, pur sottolineando l’importanza del consenso del paziente, in quanto condizione a che il trattamento sanitario consista in una scelta libera e consapevole, la Corte ha rilevato come la mancanza di consenso non possa automaticamente condurre alla configurabilità del reato. Nel caso in questione mancherebbe, infatti, un rapporto di derivazione tra la cattiva informazione fornita alla paziente e le lesioni riportate.
La Corte ha ulteriormente rimarcato come la condotta di un medico che agisce per la tutela del paziente non sia assolutamente paragonabile a quella di chi agisce con l’intenzione di cagionare una lesione, affermando che: “in ciò sta, infatti, la fondamentale differenza tra il medico e qualsiasi volgare attentatore alla incolumità altrui: che il medico, chiamato a confrontarsi col male, non può sottrarsi all’obbligo di cooperare per risolverlo; il soggetto attivo nel reato di lesioni, invece, non è mosso da nessuna necessità (anzi, contravviene ad un obbligo di astensione) ed opera per infliggere una sofferenza”.
Così argomentando, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio.
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 novembre 2015 - 21 aprile 2016, n. 16678)