x

x

Il regime della prova nella responsabilità contrattuale

tra obblighi di protezioni e azioni edilizie
Fusione
Ph. Cinzia Falcinelli / Fusione

Abstract

Il presente contributo analizza la tematica dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale prestando particolare attenzione agli obblighi di protezione, alla responsabilità medica e alle azioni edilizie.

 

Premessa

Uno dei temi più complessi e dibattuti nel diritto civile è rappresentato dal regime dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale. La problematica in questione involge aspetti sia di diritto sostanziale, correlate al legame fra le parti, sia di diritto processuale, in rapporto alle azioni esperibili nel processo civile.

Al fine di meglio comprendere i termini del dibattito sull’onere probatorio, sarà preliminarmente necessario enunciare il regime dell’onus probandi nella responsabilità contrattuale ex articolo 1218 codice civile distinguendolo da quello concernente la responsabilità extracontrattuale ex articolo 2043 codice civile

Inoltre, bisognerà dare conto dei recenti arresti giurisprudenziali concernenti l’onere della prova in rapporto al genere di obbligo inadempiuto e al tipo di azione esperita nel processo.

 

Il regime della responsabilità civile

Il nostro sistema civilistico conosce due macrocategorie di responsabilità civile ovvero la responsabilità ex contractu e la responsabilità aquiliana. Esse si distinguono per la loro ratio, natura giuridica, disciplina e onere della prova; in particolare, la responsabilità extracontrattuale è disciplinata nel Libro IV, Titolo IX rubricato ‘Dei fatti illeciti’ all’articolo 2043 ss. codice civile

Secondo la giurisprudenza e dottrina maggioritaria, l’articolo 2043 codice civile ha una funzione compensativa\risarcitoria che deriva dalla commissione un fatto, attivo\omissivo, lesivo di interessi riferibili ad un soggetto con il quale non è stato stretto alcun legame giuridicamente rilevante. Difatti, la norma in esame rappresenta una clausola generale del sistema civilistico, con funzione compensativa, verso comportamenti sine iure e contra ius capaci di cagionare un danno ingiusto.

Del resto, proprio tali tratti indentificativi si evincono da un’analisi letterale e semantica della norma che ne descrive anche la disciplina e gli elementi costitutivi. Sicché per l’applicazione della norma in questione è necessario che: vi sia un fatto sia attivo che omissivo; che il ‘fatto’ sia doloso o colposo; l’azione ovvero l’omissione di un soggetto siano eziologicamente collegati alla manifestazione di un danno ingiusto patrimoniale o non patrimoniale.

Se questi sono i requisiti richiesti dalla norma, appare evidente come chi voglia agire in giudizio per ottenere un ristoro derivante da un fatto illecito dovrà dimostrare puntualmente l’illecito, l’elemento soggettivo, il nesso di causalità e il danno conseguenza poiché, i predetti elementi, sono fatti costitutivi della pretesa che l’attore deve dimostrare ex articolo 2697 codice civile Inoltre, all’attore è concesso un termine di prescrizione dell’azione abbastanza breve (cinque anni) salvo che il fatto illecito integri un reato; in quest’ultimo caso, se per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applicherà anche all’azione civile ex articolo 2947 codice civile

Invece, per andare esente da ogni responsabilità, al convenuto basterà dimostrare l’assenza di uno degli elementi costitutivi dell’articolo 2043 codice civile o sperare che l’attore non riesca a fornire prova della sua pretesa. Tuttavia, il sistema dei fatti illeciti, in ragione della sua funzione squisitamente compensativa, conosce delle ipotesi di responsabilità oggettiva o para-oggettiva\aggravata che rendono più arduo l’onere della prova in capo al convenuto come avviene nelle ipotesi contemplate dagli artt. 2047-2054 codice civile

Ben differente è il sistema costruito per la responsabilità contrattuale disciplinato dal Libro IV, Titolo I, Capo III rubricato ‘Dell’inadempimento delle obbligazioni’. Difatti, gli artt. 1218 ss. codice civile riguardano il caso di inadempimento delle obbligazioni assunte dalle parti derivanti da un negozio, contratto o contatto sociale. La norma cardine del sistema della responsabilità ex contractu è l’articolo 1218 codice civile in base alla quale il debitore che non esegue esattamente la propria prestazione è obbligato a risarcire il danno, salvo che questi non provi che il ritardo ovvero l’inadempimento non sia stato determinato da una causa a lui non imputabile ovvero da impossibilità.

Dal tenore letterale della norma appaiono evidenti le differenze che intercorrono fra l’articolo 1218 codice civile e l’articolo 2043 codice civile; in primo luogo, l’articolo 1218 codice civile ha una funzione compensativa\risarcitoria verso un’obbligazione che trae la sua genesi in un fatto positivo ovvero in base ad un antecedente negozio giuridico fra le parti. In secondo luogo, emerge una presunzione di responsabilità in capo al debitore alla luce del principio della perpetuatio obbligationis e dall’assenza di un richiamo agli elementi costitutivi presenti nella responsabilità aquilina. Ciò è espressione di una ponderata scelta del Legislatore che ha voluto differenziare nitidamente il regime dell’onere probatorio della responsabilità contrattuale da quello fornito dall’articolo 2043 codice civile Invero, nel primo caso la pretesa al risarcimento e all’adempimento e collegata ad un fatto positivo\fisiologico ovvero la stipulazione del contratto, nella quale la ragione più prossima dell’inadempimento è la colpa del debitore. Viceversa, la responsabilità extracontrattuale deriva da un fatto illecito\negativo imputabile ad un soggetto totalmente estraneo al danneggiato.

Dalle considerazioni sopra esposte, e in base ad una interpretazione letterale della norma, il regime probatorio in capo al creditore e ben più agevole rispetto a quello fornito dall’articolo 2043 codice civile Difatti, questi dovrà: meramente allegare il titolo costitutivo dell’obbligazione ovvero il negozio; allegare l’inadempimento della controparte; fornire prova piena del danno conseguenza patrimoniale, nelle voci del danno emergente e del lucro cessante, e del danno non patrimoniale. Viceversa, in ragione della presunzione di responsabilità in capo al debitore, starà a questi dimostrare l’interruzione del nesso causale, l’assenza di colpa o l’assenza del danno conseguenza. Oltretutto, nei casi di responsabilità contrattuale vige l’ordinario termine di prescrizione decennale ex articolo 2946 codice civile, salvo i casi di prescrizione breve contemplati dagli artt. 2948 ss. codice civile

Le considerazioni sopra esposte sono state pacificamente accolte dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria alla luce dell’interpretazione dell’articolo 2697 c.1 e c.2 codice civile; invero, è stato sottolineato che, in tema di responsabilità contrattuale, al creditore compete di dimostrare i fatti costitutivi ovvero il titolo da cui deriva l’obbligazione, in ragione della presunzione sancita dall’articolo 1218 codice civile, e il nesso giuridico tra evento e danno patrimoniale o non patrimoniale. Invece, nella responsabilità extracontrattuale, sull’attore grava un onere probatorio più complesso in quanto i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa sono tutti gli elementi costitutivi dell’articolo 2043 codice civile

 

La teoria del contatto sociale e gli obblighi di protezione

 Orbene, alla luce delle considerazioni sopra esposte, si può procedere all’analisi della tematica concernente l’onere probatorio in caso di obblighi di protezione e in rapporto alle azioni esperite dal creditore nel corso del processo.

Per quanto concerne il primo profilo, è necessario dare una definizione di obblighi di protezione distinguendoli dagli obblighi di prestazione; in particolare quest’ultimi vengono descritti come quegli obblighi che hanno come oggetto la prestazione dedotta nel contratto o nel negozio stipulato fra le parti. Per esempio, nel contratto di compravendita grava sull’alienante l’obbligo di consegnare il bene, mentre l’acquirente ha l’obbligo di pagarne il prezzo dedotto nel contratto.

Invece, gli obblighi di protezione vengono definiti come ‘obbligazioni senza prestazione’ nella quale una parte dovrà limitarsi proteggere la sfera giuridica di un altro soggetto non in ragione di un contratto bensì tramite un ‘contatto socialmente qualificato’. Il fondamento giuridico degli obblighi di protezione deriva dall’interpretazione dell’ultimo capoverso dell’articolo 1173 codice civile il quale fa riferimento ad ogni altro fatto o atto idoneo a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico. Invero, negli anni Duemila la giurisprudenza ha elaborato la teoria del ‘contatto sociale’ alla luce di un’interpretazione del combinato disposto degli artt. 1173 e 1218 codice civile al fine di dare una disciplina esaustiva a tutti quei casi posti in una zona grigia nella quale due soggetti né sono completamente estranei, né tra loro vige un contratto dal quale scaturiscono una serie di obblighi di prestazione.  

La tesi del contatto sociale qualificato, di matrice tedesca, è stata accolta con favore dalla giurisprudenza al fine di regole una vasta gamma di ipotesi dalla natura giuridica controversa come: la responsabilità del medico per esito infausto dell’operazione; la responsabilità dell’insegnate verso i danni cagionati all’alunno; la responsabilità della banca nel caso di pagamento di un assegno ad un soggetto non legittimato.

Invero, prima degli anni Duemila, i sopra esposti casi venivano ricondotti dalla giurisprudenza nella responsabilità extracontrattuale in ragione dell’assenza di un contratto fra le parti capace di generare obbligazioni. In base a questo indirizzo ermeneutico veniva, quindi, applicato il gravoso onere probatorio sancito dall’articolo 2043 codice civile al soggetto che volesse agire per il risarcimento del danno.

In senso critico si era posto un orientamento dottrinale minoritario che aderiva alla tesi del terzo genere di responsabilità con dei tratti propri sia della responsabilità contrattuale sia della responsabilità extracontrattuale. Invero, la predetta dottrina evidenziava come nei casi di responsabilità medica o della banca non si potesse affermare la totale estraneità fra i soggetti in quanto fra di essi vi sarebbe un legame giuridicamente rilevante.

Tuttavia, la teoria del terzo genere venne abbandonata in ragione delle insormontabili critiche poste dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria che sottolinearono come non vi fosse alcun fondamento normativo che sostenesse un genere del tutto atipico, dal punto di vista sostanziale e processuale, di responsabilità. Difatti, l’adesione alla tesi del tertium genus minerebbe la certezza e la prevedibilità del diritto con conseguente lesione del diritto di difesa, contraddittorio e del giusto processo ex artt. 24, 111 Cost. ed articolo 6 CEDU.

In ragione delle aspre critiche mosse alle anzidette ricostruzioni, venne a consolidarsi la tesi del ‘contatto sociale qualificato’ in base alla quale: è contrattuale la responsabilità in tutti quei casi in cui, nonostante fra le parti sussista un contratto, esse sono comunque legate da altri fatti o atti generanti un dovere di proteggere gli interessi della controparte. Sicché dal punto di vista probatorio la parte che volesse richiedere il risarcimento derivante ‘dall’inadempimento’ dell’obbligo di protezione beneficerebbe della presunzione sancita dall’articolo 1218 codice civile e, quindi, questa si dovrà limitare ad allegare il titolo, l’inadempimento e provare il danno conseguenza.  

Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito ad un revirement giurisprudenziale sull’onere della prova nel caso di responsabilità medica in ragione della proliferazione delle numerose cause intentate dalle persone offese per ottenere un risarcimento del danno. Inoltre, il fenomeno del contenzioso sanitario ha anche condotto, seppur involontariamente, i medici ad adoperare pratiche di medicina difensiva, attiva o passiva, onde evitare di esser chiamati in causa. Per tal ragione, prima il Legislatore e poi la giurisprudenza sono intervenuti sul tema della responsabilità medica al fine di scongiurare il peso di una procedura giudiziaria in capo al medico.

In particolare, il legislatore è intervenuto in materia con la c.d. ‘Legge Balduzzi del 2012’ e con la ‘Legge Gelli-Bianco del 2017’ modificando il regime di responsabilità civile e penale del medico. Invero, con la legge Gelli-Bianco è stato costruito il sistema del doppio binario secondo il quale, il paziente leso poteva domandare il risarcimento alla struttura sanitaria ai sensi dell’articolo 1218 codice civile o, in via alternativa, al medico che ha operato, in base all’articolo 2043 codice civile salvo che fra il paziente e il medico non sia stato un contratto.

Si deve ulteriormente sottolineare che per la responsabilità sanitaria è stato predisposto, oltre all’obbligo assicurativo del medico, anche l’onere di risolvere la controversia bonariamente mediante la proposizione di un ricorso ex articolo 696 bis c.p.c ovvero mediante il procedimento di mediazione.

Se da un verso il Legislatore è intervenuto in merito alla natura della responsabilità sanitaria e degli strumenti funzionali ad evitare l’eccessivo contenzioso, dall’altro la giurisprudenza si è concentrata sull’aspetto dell’onere probatorio per la violazione degli obblighi di protezione, aggravandolo in capo al paziente.

Difatti, nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sancito il principio di diritto secondo cui, al paziente compete l’allegazione di un ‘inadempimento qualificato’ e non anche di un generico inadempimento. In altri termini, il paziente dovrà ‘dimostrare’ che quel determinato comportamento negligente del medico abbia cagionato la morte o l’aggravamento della patologia; tuttavia, egli non dovrà dimostrare il nesso di causalità tra condotta ed evento poiché presunto ai sensi dell’articolo 1218 codice civile Invece, sul convenuto graverà la dimostrazione dell’interruzione del nesso di causalità, l’assenza di colpa o la mancata configurazione di un danno conseguenza.

In conclusione, le Sezioni Unite della Cassazione hanno voluto rendere più gravoso l’onere in capo al paziente al fine di limitare il contenzioso medico senza però mutare la natura giuridica della responsabilità medica, la quale comunque rimane contrattuale ex artt. 1173, 1218 codice civile

 

La rivoluzionaria tesi del c.d. doppio ciclo causale

Dal 2017 in poi Corte di Cassazione ha aderito alla tesi del c.d. ‘doppio ciclo causale’ che ha stravolto le regole classiche dell’onere probatorio in tema di responsabilità da inesatto adempimento del medico. Secondo questo indirizzo ermeneutico la responsabilità medica è delineata dalla presenza di due tipologie di nesso di causalità alla luce dell’articolo 2697 c.1 e c.2. codice civile; in altri termini, in base all’articolo 2697 c. 1 codice civile starà all’attore-paziente dimostrare il nesso di causalità tra l’inadempimento del medico e l’evento morte ovvero l’aggravio della patologia. Viceversa, ai sensi dell’articolo 2697 c.2 codice civile starà al convenuto-medico dimostrare l’interruzione del nesso di causalità dopo che l’attore abbia assolto al suo onere probatorio.

La tesi del doppio ciclo causale si fonda in primo luogo sul fatto che l’attore-paziente è il soggetto più vicino alla prova rispetto al medico, in quanto è proprio il paziente a conoscere le proprie patologie pregresse. In secondo luogo, è stato evidenziato come nel campo della responsabilità medica non può trovare accoglimento il principio della presunzione dell’inadempimento poiché non è detto che la causa più prossima di questo sia la condotta del medico e non anche altri fattori biologici derivanti da patologie pregresse.

In senso critico si è posto un orientamento giurisprudenziale e dottrinale minoritario che sottolineava la fallacia dell’indirizzo ermeneutico avallato dalla Cassazione del 2017 alla luce di un’interpretazione sistematica, letterale conforme alla ratio legis dell’articolo 2697 codice civile Invero, è stato precisato che sia il sistema civilistico che quello penalistico si basano su una sola tipologia di nesso di causalità ovvero quella descritta dall’art 40 c.p. Inoltre, proprio l’articolo 2697 codice civile non tipizza una differenziazione fra causalità costitutiva e causalità modificativa\estintiva, limitandosi a delineare l’onere della prova gravante sull’attore e il convenuto.

Ancora, veniva criticato pure l’assunto per il quale la presunzione di inadempimento non dovesse valere per la responsabilità sanitaria poiché non esiste nessuna norma che deroga alla regola generale sancita dall’articolo 1218 codice civile Quindi, l’adesione alla tesi del doppio ciclo causale oltre a non trovare alcun fondamento nel sistema giuridico, mina irrimediabilmente il diritto di difesa, del contraddittorio e della certezza del diritto ex artt. 24, 111 Cost. e articolo 6 CEDU al solo fine di scongiurare la proliferazione del contenzioso civile in materia sanitaria.

 

L’onere probatorio in caso di azione per inesatto adempimento

Orbene, rimane da analizzare il tema dell’onere probatorio in caso di azione di inesatto adempimento e delle altre azioni in tema di responsabilità contrattuale, dando conto dei recenti arresti giurisprudenziali e dottrinali.

Prima degli anni Duemila la giurisprudenza era divisa in due macro-filoni ermeneutici; secondo un primo orientamento minoritario l’azione di adempimento, di inesatto adempimento, di risoluzione e del risarcimento del danno hanno il medesimo onere probatorio in base al principio di unitarietà dell’ordinamento e al principio di certezza del diritto.

Viceversa, la giurisprudenza a quei tempi maggioritaria sosteneva una diversificazione dell’onere probatorio in base alla quale: l’attore che chiede l’adempimento deve limitarsi ad allegare il titolo costitutivo del diritto e l’inadempimento della controparte; l’attore che esperisce l’azione di inesatto adempimento, risoluzione o del risarcimento del danno, invece, non deve limitarsi all’allegazione ma provare l’inadempimento della controparte in quanto fatto costitutivo della pretesa ex articolo 2697 codice civile

L’interpretazione in esame veniva supportata da una serie di argomenti logici, sistematici e letterali; in primo luogo, veniva evidenziato che la presunzione sancita dall’articolo 1218 codice civile si riferisce esclusivamente al caso dell’inadempimento e non anche all’inesatto adempimento. In secondo luogo, l’articolo 1218 codice civile non è l’unica norma che disciplina l’onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale ma vi sono una serie di norme sulle azioni esperibili che delineano un tipo di onere ad hoc, come avviene ad esempio per l’azione di risoluzione ex articolo 1453 codice civile o per le azioni edilizie ex artt. 1483 ss. codice civile

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2001 le quali hanno aderito all’indirizzo minoritario\unitario in base al quale vige lo stesso regime dell’onere probatorio per tutti i tipi di azioni contrattuali in base ad un’interpretazione teleologica, letterale conforme ai principi costituzionali e alla ratio degli artt. 1218 e 2697 codice civile Invero, è stato evidenziato come l’articolo 2697 codice civile sancisce che i fatti negativi non devono essere provati dall’attore e, quindi, l’inesatto adempimento, in quanto fatto negativo, non deve essere da questi provato. In altri termini, a fondare la pretesa risarcitoria, l’adempimento o la risoluzione non è l’inadempimento totale ovvero parziale ma direttamente il titolo\contratto quale elemento costitutivo che deve essere meramente allegato.

Oltretutto, le Sezioni Unite hanno precisato che l’onere probatorio dovesse essere unitario in quanto le norme sulla risoluzione, sul risarcimento del danno o sulle azioni edilizie nulla sanciscono in merito agli aspetti concernenti l’onus probandi. Infine, la tesi unitaria veniva ritenuta preferita per esigenze di difesa, contraddittorio e certezza del diritto che rappresentano i capi saldi del nostro ordinamento civile ex artt. 24, 111 Cost. e articolo 6 CEDU.

La predetta teoria unitaria è stata ben accolta in giurisprudenza con la sentenza delle Sezioni Unite del 2008 e delle plurime pronunce emesse dal 2009 sino al 2017, salvo per due casi del tutto peculiari concernenti la responsabilità medica e le azioni edilizie in tema di compravendita di un’immobile.

In rapporto al primo, è già stato evidenziato come le Sezioni Unite del 2008 hanno richiesto al paziente l’allegazione di un ‘inadempimento qualificato’ senza tuttavia snaturare i presupposti della responsabilità contrattuale. Inoltre, si è già dato conto dell’ulteriore tesi giurisprudenziale del doppio ciclo causale in tema di inesatto adempimento dell’obbligo di protezione del medico che sdoppia la causalità materiale in causalità costitutiva ex articolo 2697 codice civile e causalità estintiva ex articolo 2697 c.2 codice civile

Tuttavia, la disciplina dell’onere probatorio sulle azioni edilizie (azione di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno) è mutata radicalmente con il recente arresto delle Sezioni Unite del 2019 che hanno enunciato il principio di diritto in base al quale compete all’acquirente dimostrare che la cosa venduta è viziata. Difatti, secondo le Sezioni Unite la consegna di un bene che presenta vizi non costituisce un inesatto adempimento poiché l’unico obbligo del venditore è trasferire la proprietà al compratore e non anche garantire l’espressa assenza di vizi salvo apposita clausola contrattuale. In ragione di ciò, la garanzia per vizi rappresenta una ‘obbligazione atipica\accessoria non contrattualizzata’ dal carattere ripristinatorio. Di conseguenza le azioni edilizie sottostanno al principio secondo cui compete alla parte più vicina alla prova dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa e, quindi, all’acquirente poiché è il soggetto che si trova in possesso del bene ed è munito della possibilità di ‘cristallizzare’ e dimostrare agevolmente la presenza dei vizi.

In definitiva, il regime dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale è un tema tutt’ora al centro di numerosi dibattiti giurisprudenziali e dottrinali soprattutto in settori particolarmente complessi come nel caso della responsabilità medica. Del resto, tale questione oltre ad avere delle interessanti implicazioni dogmatiche, ha delle fondamentali ricadute pratiche sul piano della tutela dei diritti e, in particolare, del diritto di difesa e del contraddittorio. Invero, gli accesi dibattiti della giurisprudenza traggono la loro origine dalla ricerca di una risposta di giustizia sostanziale e processuale il cui interrogativo si basa sullo scegliere su quale parte del processo far gravare il peso della prova. Esempio cardine di tale esigenza di giustizia sostanziale sono stati i plurimi interventi della Corte di Cassazione in materia di responsabilità sanitaria che, per esigenze deflattive del contenzioso e di tutela del medico, ha addossato l’onere della prova sul paziente\danneggiato.
In conclusione, starà all’interprete l’arduo compito di bilanciare i diversi valori in gioco e le esigenze della società avendo come faro orientativo i principi del contraddittorio, del diritto di difesa e della certezza del diritto.