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Ciao amore, ciao

suicidio
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Ciao amore, ciao
 

Il Peso della Sconfitta, la Depressione e il Senso di colpa. Tre scintille di uno stesso tragico epilogo della vita dei tre personaggi di questa storia. Un fil rouge sottile e invisibile che possiamo sentire nelle note della canzone Ciao amore, ciao. Una canzone romantica ma dai retroscena melanconici e drammatici.

Sentiamo per l’ultima volta questa canzone nel 2016 in un albergo di piazza Bologna a Roma. Ciao amore, ciao risuona a tutto volume dalle casse di un IPhone 5 disturbando tutti gli ospiti di quel piano. Era la versione interpretata da Dalida, una delle tre protagoniste di questa storia. Ad ascoltarla era Marco (Marc) un giovane figlio della Roma bene. Ma forse è il caso di fare un salto indietro nel tempo. 

Sanremo 27 gennaio 1967. Un giovane Luigi Tenco prende parte al diciassettesimo Festival della canzone italiana, presentando proprio Ciao amore, ciao in coppia con la cantante Dalida, secondo il regolamento del festival di quell’epoca. Stando a quanto riferivano i rotocalchi del periodo, intercorreva un legame sentimentale tra i due. Il Diciassettesimo Festival della canzone italiana si rivelerà però fatale per il cantautore. Tenco salì sul palco per l’ultima volta verso le 22.30 del 26 gennaio 1967, esibendosi come penultimo artista in gara. Dopodiché, il tragico epilogo. La sua performance non fu gradita dalla giuria e il cantautore non riuscì a passare alla serata finale, classificandosi dodicesimo. Quella stessa notte, tra il 26 e il 27 gennaio 1967, si sparò alla tempia nella stanza 219 dell’Hotel Savoy a Sanremo. I primi a rinvenire il suo corpo senza vita furono Dalida e Lucio Dalla, intorno alle due e venti di notte. Venne trovato un biglietto: “Faccio questo, non perché stanco della vita, tutt’altro! ma come atto di protesta contro un pubblico che manda in finale ‘Io tu e le rose’ (Orietta Berti N.d.S.) e una giuria che seleziona ‘La Rivoluzione’ (Gianni Pettenati N.d.S.). Spero serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi.

Parigi 3 maggio 1987. Facciamo un salto di 20 anni dalla morte di Luigi Tenco. Iolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, si toglie la vita. Nata in Egitto da una famiglia immigrata di origini italiane, dopo aver vinto Miss Egitto nel 1954 inizia la carriera d’attrice e si trasferisce a Parigi. Qui, però, dovrà cambiare i suoi piani. Non riuscendo ad avere successo come attrice inizierà a prendere lezioni di canto. Nell’ottobre del 1966, dopo una serie di successi, la sua casa discografica le presentò il giovane cantautore Luigi Tenco. Un incontro propizio, da cui nacque anche la passione che li portò a partecipare insieme al Festival di Sanremo l’anno successivo. La tragica scomparsa del cantante, nonché suo amato, farà cadere Dalida in un turbinio di dolore e disperazione che la porterà, qualche mese più tardi, a tentare il suicidio. Continuerà la sua carriera di cantautrice, ampliando il suo repertorio e raccogliendo notevoli successi e trionfi in tutta Europa e non solo. La grande carriera e le tournée, anche oltreoceano, non bastarono però ad alleviare la depressione maturata nel corso degli anni. La sua anima fragile e il suo equilibrio già destabilizzato dalle vicende della vita privata, la portarono a porre fine alla sua vita il 3 maggio 1987. Lasciò un ultimo intenso messaggio, scritto su un biglietto: “Perdonatemi, la vita mi è insopportabile”.

Velletri 20 giugno 2017. Sono passati trent’anni e ancora un altro suicidio si consuma tra le note di questa canzone. Ma facciamo un passo indietro. Torniamo a quell’albergo di Roma. I carabinieri fanno irruzione nella stanza 65 dell’Hotel San Giusto non sentendo altri rumori se non la musica che risuonava a tutto volume dal telefono di Marc Prato. “Ciao amore, ciao” nella versione di Dalida. Marc era in stato di semi incoscienza e i militari trovarono alcuni bigliettini d’addio rivolti alla famiglia e agli amici più stretti, ove erano annotati undici punti, come fossero delle disposizioni testamentali, che Marc avrebbe scritto mentre assumeva medicinali che pensava lo avrebbero addormentato per sempre. Il suicidio non è riuscito. Per ora. Torniamo ancora indietro di qualche giorno.

Tutto inizia mercoledì 2 marzo, quando Marc raggiunge la casa di un conoscente, Manuel Foffo. Sono insieme nell’appartamento di quest’ultimo, nel quartiere Collatino a Roma. Manuel è uno studente universitario, figlio di un professionista dell’infortunistica stradale e Marc è un giovane organizzatore di eventi, figlio di un importante giurista romano, con la passione per l’artista Dalida e per i travestimenti. Ancora oggi la foto più diffusa è quella che ritrae Marc davanti allo specchio con alle spalle un cartonato di Dalida. Da quello che si leggerà negli atti processuali e dalle confessioni di Manuel sarebbe stato Marc a portare numerose quantità di cocaina che poi avrebbero consumato in quei giorni dentro casa. Da quella sera inizieranno ad innescarsi una serie di strani discorsi tra i due. Una spirale psichica che li porterà a far entrare nelle loro menti concetti come stupro, violenza ed omicidio, in una sorta di fantasia perversa. L’assunzione di sostanze li farà rapidamente scivolare in preda ai pensieri più orridi, ritenendo che potrebbe essere un modo per fortificare la loro amicizia. Tra i vari deliri Manuel confesserà ai PM che avevano anche pensato di uccidere il padre. Aggiungerà di aver fatto tutto ciò che ha fatto per vendicarsi di lui. L’idea di uccidere il padre di Manuel venne abbandonata quasi subito e i due dovettero ripiegare su un’altra vittima.

La notte di giovedì 3 marzo avrebbero preso la macchina e sarebbero usciti per le strade di Roma con l’intento di trovare questo qualcuno. Il tentativo fallisce. Non è facile per due giovani studenti improvvisarsi dei sequestratori.

Allora, si fa strada l’idea di invitare qualcuno a casa di Manuel, allettandolo con cocaina e la presenza di una donna transessuale, che in realtà non c’è mai stata dentro quella casa. Nessuno accetta l’invito, nonostante fossero stati inviati oltre venti messaggi, fino a quando si fece avanti un giovane. Tale “Jhonny Casilina”. Così era stato salvato nella rubrica di Manuel, perché si erano incontrati tempo prima sulla Casilina. Jhonny è un ragazzo che vive per strada. Il suo nome non compare nelle cronache e nonostante non avesse le agiatezze dei due killer, ha sempre rifiutato ogni offerta di denaro per essere intervistato e si è sempre tenuto lontano dai riflettori. Jhonny è un sopravvissuto. Anche lui è stato ospite di quell’appartamento. Gli è stato offerto un cocktail con l’intento di drogarlo e di stordirlo, ma Jhonny se n’è accorto e l’ha lasciato quasi intonso. Racconterà agli inquirenti che è stata la vita di strada e l’istinto a salvargli la vita. Marc ha fatto delle avance sessuali a Jhonny, offrendogli anche del denaro, ma la sua dignità ha fatto sì che rifiutasse i soldi di Marc e lasciasse l’appartamento.

I due si ritrovano “da capo a dodici”, come si direbbe a Roma. Dovevano trovare una “vittima sacrificale” per soddisfare il loro proposito criminale.

La mattina seguente gli viene in mente un nome. Luca Varani. Luca aveva 23 anni e aveva lasciato gli studi per lavorare in una carrozzeria. Era originario della ex Jugoslavia ed era stato adottato da una modesta famiglia romana. Aveva una fidanzata e tanti amici. Alcuni, sentiti dagli inquirenti, dichiareranno che Luca aveva spesso problemi economici e cercava sempre un modo di “alzare qualche soldo”. Dalle ricostruzioni processuali risulterebbe infatti che i due killer avrebbero offerto una certa somma di denaro in cambio di prestazioni sessuali. L’ossessione di Marc era quella di trovare qualcuno che si prestasse per simulare uno stupro. Luca avrebbe accettato e si sarebbe presentato nell’appartamento di Via Igino Giordani, dal quale però, non ne sarebbe uscito più vivo. Nel corso del gioco erotico i due carnefici gli offriranno un mix di alcool e farmaci, che lo stordiranno e permetteranno ai due di dare inizio ad un’escalation di violenza che capitolerà con la morte di Luca e con il sonno dei due killer accanto al cadavere. Al loro risveglio non riusciranno a capacitarsi del loro insano gesto. Manuel contatterà telefonicamente il padre Walter, che in quel momento si stava avviando fuori città e che prontamente chiamerà l’avvocato di famiglia. Nelle ore successive Marc avrebbe confessato a Manuel la sua volontà di porre fine alla propria vita.

Ed è così che ci troviamo nella stanza d’albergo in Piazza Bologna con le casse di un IPhone 5 a tutto volume che riproducono a ripetizione “ciao amore, ciao” nella versione di Dalida. Come già sappiamo quel suicidio non fu consumato fino in fondo, ma Marc non desisterà e un anno e tre mesi più tardi riuscirà nel suo intento suicidario.

Nel suo testamento emerge la personalità di Marc e il suo senso di inadeguatezza nei confronti di questa vita. Nel suo lascito desiderava che per il suo funerale si facesse una gran festa e che risuonassero le canzoni di Dalida. La sua massima vocazione estetica si palesava nella richiesta di contattare il centro capelli a piazza Mazzini “per rigenerarmi la chioma prima di cremarmi. Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani”. Ancora: “Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna”. Continua: “Organizzate sempre, una volta alla settimana o al mese, una cena o un pranzo con tutti i miei cari amici e amiche che ho amato tanto (…). Fate sempre festa, sentitevi Dalida ogni tanto. Mettete Ciao amore, ciao quando avete finito la festa per me e ricordatevi tutti assieme i miei sorrisi più belli”. In un ultimo appello, chiedeva che venisse buttato e distrutto il suo telefono insieme ai suoi due computer per celare per sempre i suoi segreti. Non un accenno a Luca Varani, ma solo verso sé stesso.

Tutto il resto è cronaca giudiziaria.

In questa nostra ultima storia non c’è soltanto lo sfondo dell’elegante quartiere Collatino di Roma, ma ci sono anche le periferie e la strada da dove proveniva Jhonny Casilina o lo stesso Luca, decisamente meno benestante dei due killer. Vi sono poi una miriade di piani di indagine criminologica e non che sono stati approfonditi e tanti altri che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Le droghe, la noia dei figli della Roma bene, il travestitismo di Marc e la latente omosessualità di Manuel. Già nella sua prima intervista a Porta a Porta, a pochissime ore dal delitto, Valter, il padre di Manuel, si è preoccupato di dichiarare in tv che il figlio non era affatto gay. La folie à deux scaturita da quel nefasto incontro tra due personalità che si sono alimentate vicendevolmente per arrivare al gesto. Ancora, la prostituzione e il disagio economico nel quale versava il giovane Luca. Sono molteplici gli opinionisti e i cronisti che nei mesi e negli anni successivi hanno attribuito a questo o a quel tema le motivazioni del massacro.

Ovviamente, c’è poi il tema del suicidio, che da Émile Durkheim è stato trattato da più e più sociologi. Un epilogo comune a questa e alle altre due storie. Tre morti e una sola canzone. Ciao amore, ciao. Tre differenti enormi ragioni che hanno portato i tre protagonisti delle nostre storie a metter fine alle proprie vite.

La sconfitta, la depressione e il senso di colpa.