Codice sorgente: se sei un consulente esterno devi consegnarlo
Indice
1. Il dubbio sulla titolarità del codice sorgente nonostante la clausola contrattuale
2. Le motivazioni del Tribunale sulla titolarità del codice sorgente
3. Osservazioni conclusive sul codice sorgente e sulle misure non solo contrattuali per prevenire liti
Con la sentenza n. 96 del 15 Gennaio 2020 il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Imprese – si è pronunciato in merito all’attribuzione dei diritti sul software sviluppato da un lavoratore autonomo, in forza di un contratto per la realizzazione di una piattaforma, finalizzata alla gestione delle attività aziendali.
1. Il dubbio sulla titolarità del codice sorgente nonostante la clausola contrattuale
Una società ha agito nei confronti di un proprio consulente, con cui aveva concluso un contratto per la realizzazione di una piattaforma elettronica destinata a supportare tutte le attività aziendali, lamentando la mancata consegna dei codici sorgente relativi ai software realizzati in esecuzione del contratto - consegnati solo successivamente a seguito di procedimento d’urgenza instaurato in corso di causa - e domandando il risarcimento dei danni patiti per effetto della ritardata consegna e indisponibilità (anche se temporanea) dei codici stessi.
Nel giudizio, il convenuto ha rigettato le domande della società attrice, sostenendo che, sia in applicazione dei principi generali in tema di titolarità originaria dei diritti di utilizzazione economica in capo all’ideatore, sia in base al contratto, la titolarità dei codici sorgente non potesse essere riconosciuta in capo alla società committente ma a sé medesimo, quale autore dei programmi software.
Secondo il consulente, infatti, con particolare riferimento al contratto, la clausola che prevedeva che la società committente sarebbe divenuta “titolare di tutti i diritti di proprietà industriale e/o intellettuale relativi ad eventuali risultati derivanti o comunque connessi allo svolgimento dei servizi” indicava come l’accordo raggiunto dalle parti dovesse essere interpretato nel senso di attribuire alla società committente i soli risultati fruibili in linguaggio macchina ovverosia i codici oggetto e non anche i codici sorgente.
2. Le motivazioni del Tribunale sulla titolarità del codice sorgente
Quanto ai profili di titolarità dell’opera nell’ambito di un rapporto di lavoro non di tipo subordinato, il Tribunale ha effettuato una sintetica ricognizione delle posizioni espresse dalla giurisprudenza e della disciplina normativa successivamente emanata, con riferimento alla titolarità di creazioni del lavoratore autonomo.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza aveva ritenuto, in taluni casi, applicabili, in via analogica, le disposizioni volte a disciplinare le invenzioni del lavoratore subordinato; in altri, invece, i giudici avevano dato rilievo alla ratio del contratto d’opera, rilevando come, in base a tale contratto, il committente, commissionando l’opera, acquistasse la titolarità della stessa a titolo originario.
Tali posizioni espresse dalla giurisprudenza hanno costituito la base ermeneutica che ha supportato il legislatore nell’introdurre una disciplina specifica per regolamentare la titolarità delle creazioni nell’ambito di rapporti di tipo autonomo, effettuando, inizialmente, con l’articolo 65 del Decreto Legislativo n. 276/2003, riferito al lavoro a progetto, un rinvio generale all’articolo 12 bis della legge sul diritto d’ autore (che riconosce, salvo patto contrario, in capo al datore di lavoro la titolarità del diritto di utilizzazione economica dei programmi per elaboratore) e, successivamente, introducendo nell’ambito della L. n. 81/2017, una specifica norma in tema di “tutela del lavoro autonomo” (articolo 4) che espressamente prevede che “salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali ed a invenzioni realizzate nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo…”.
Tale assetto normativo unitamente alle indicazioni precedentemente fornite dalla giurisprudenza ha indotto i giudici del Tribunale di Bologna, nella controversia in questione, a riconoscere in capo al committente e non al consulente le creazioni di software realizzate in esecuzione del contratto.
I giudici, infatti, nella propria decisione hanno evidenziato che “va affermato il principio per cui nel caso di attività inventivo-creativa del lavoratore autonomo, per regola generale i diritti di utilizzazione economica dell’invenzione/opera dell’ingegno spettano al committente se oggetto del contratto è l’attività inventiva /creativa e salvo patto contrario”.
In aggiunta, ad ulteriore conferma di quanto sopra, il Tribunale ha potuto evincere il diritto della società attrice al riconoscimento della titolarità dei codici sorgenti anche per effetto della interpretazione del contratto stesso: per i giudici, infatti, la clausola a cui aveva fatto riferimento il consulente e che, secondo le proprie argomentazioni difensive, era tale da legittimare l’attribuzione dei soli codici oggetto alla società committente, doveva, invece, essere interpretata in senso inclusivo “di tutti i risultati dell’attività del consulente”, senza, pertanto, che la formulazione della stessa potesse dare adito a diverse interpretazioni e, in particolare, a legittimare la distinzione tra codici oggetto e codici sorgente.
Con particolare riferimento ai danni, va considerato che la società attrice, a causa della mancata disponibilità dei codici sorgente, ha dovuto intraprendere svariate attività, nel tentativo di riuscire ad operare autonomamente attraverso la piattaforma; in particolare, nel testo della decisione, viene indicato che la stessa aveva dovuto intervenire con la scrittura di un software provvisorio, con l’impiego sia di risorse interne che esterne anche per la risoluzione di alcuni “blocchi” - intesi come istruzioni che fanno cessare il funzionamento di un programma ad una certa data - appositamente inseriti dal consulente, nonché, infine, con la quasi totale riscrittura dei software oggetto del contratto.
Si tratta, come è possibile notare, di una serie di operazioni particolarmente onerose, sia sotto il profilo tecnico che economico, che, frequentemente, vengono poste in essere nei casi in cui, per svariate circostanze (per lo più, laddove il tema dei diritti IP non sia stato nella formazione dell’accordo attentamente considerato e/o compiutamente disciplinato), insorgano tra le parti controversie in merito all’attribuzione dei diritti e alla conseguente consegna dei codici sorgente.
Relativamente al risarcimento dei danni, il Tribunale di Bologna, in linea di principio, ha riconosciuto gli aggravi lamentati dalla società.
Sul punto, tuttavia, il Tribunale, per effetto di carenze sotto il profilo probatorio (dovute al fatto che i fatti lamentati non erano stati documentalmente supportati) non ha potuto accogliere le domande di risarcimento formulate dalla società attrice ed ha proceduto ad una liquidazione in via equitativa.
Al riguardo è utile riportare il passaggio della pronuncia perché tratta la questione dell’onere probatorio spesso di difficile assolvimento: “Può pertanto ritenersi ragionevolmente e presuntivamente provato che
l’indisponibilità dei codici sorgente per il periodo da gennaio a ottobre 2016 sia stato causa di un danno organizzativo e disfunzionale del sistema impresa, la cui oggettiva difficoltosa determinazione nel quantum consente di ritenere, in via equitativa, che esso sia da liquidarsi in misura corrispondente alla ragione creditoria del consulente, con conseguente elisione delle reciproche poste di credito debito”.
3. Osservazioni conclusive sul codice sorgente e sulle misure non solo contrattuali per prevenire liti
La decisione in esame mette in luce le problematiche che, per lo più, le imprese affrontano nei casi in cui la propria controparte contrattuale, alla quale è stato affidato l’incarico di sviluppare creazioni di software, non effettui la consegna dei codici sorgente.
Ciò induce, ancora di più e tenuto ulteriormente conto delle indicazioni fornite dal legislatore in merito alla titolarità di invenzioni/creazioni sviluppate da lavoratori autonomi, a prestare specifica attenzione nella negoziazione del contratto di sviluppo del software – anche con riferimento alla determinazione del corrispettivo, la cui quantificazione dovrà necessariamente tenere conto della titolarità dei diritti – e nella redazione del testo contrattuale, che con specifico riferimento alla disciplina dei diritti IP dovrà essere formulato con chiarezza ed in maniera esauriente, in modo tale da evitare che, nella fase esecutiva possano insorgere problemi interpretativi.
Peraltro, forse ancora più importante, si consiglia di prevedere particolari misure come il salvataggio del codice sorgente in corso d’opera all’interno di specifica area condivisa (e protetta), in modo da consentire al committente il prelievo e l’utilizzo in qualsiasi momento.