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Art. 63

Mezzi di prova

1. Fermo restando l’onere della prova a loro carico, il giudice può chiedere alle parti anche d’ufficio chiarimenti o documenti.

2. Il giudice, anche d’ufficio, può ordinare anche a terzi di esibire in giudizio i documenti o quanto altro ritenga necessario, secondo il disposto degli articoli 210 e seguenti del codice di procedura civile; può altresì disporre l’ispezione ai sensi dell’articolo 118 dello stesso codice.

3. Su istanza di parte il giudice può ammettere la prova testimoniale, che è sempre assunta in forma scritta ai sensi del codice di procedura civile.

4. Qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica.

5. Il giudice può disporre anche l’assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento.

Bibliografia. Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, 1953; Giani, La fase istruttoria in Giustizia amministrativa, 2012; Sorrentino, Il sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica: dal sindacato estrinseco a quello intrinseco in Manuale di diritto amministrativo, 2013. 

 

Sommario. 1. Onere della prova e potere del giudice amministrativo. 2. La richiesta di chiarimenti e documenti da parte del giudice. 3. L’ispezione. 4. La prova testimoniale. 5. La consulenza tecnica d’ufficio e la verificazione: inquadramento generale. 6. Gli altri mezzi di prova previsti al comma 5 con richiamo al c.p.c.: l’accertamento tecnico preventivo, l’interrogatorio libero e le prove raccolte in altro processo.

 

1. Onere della prova e potere del giudice amministrativo

Ai sensi dell’articolo 63, comma 1, CPA, si prevede che il giudice può chiedere alle parti, anche d’ufficio, chiarimenti o documenti, mentre ai sensi dell’articolo 64, comma 1, CPA spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domane e delle eccezioni; il reticolo normativo del codice del processo amministrativo in materia di onere della prova richiama l’articolo 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda; il principio che domina il regime di acquisizione delle prove, anche nel processo amministrativo, è quindi scolpito dal brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit (Consiglio di Stato sez. IV, 22 agosto 2018, n.5030).

Ai sensi degli articoli 63 e 64 CPA, il c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova postula che l’interessato debba avanzare almeno un principio di prova affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi; di conseguenza le parti del processo amministrativo sono tenute a fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità e che riguardino i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Si è rilevato che tale principio, che pure connota il processo amministrativo, non può ridursi ad una inversione dell’onere della prova, dovendosi considerare che l’esercizio di poteri istruttori è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, che in tale valutazione deve rispettare la regola della parità delle parti. Invero gli articoli 63 e 64 cod. proc. amm. onerano inequivocabilmente le parti del processo di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità (o siano agevolmente acquisibili) e che riguardino i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni (T.A.R. Toscana, Firenze sez. I, 28 gennaio 2016, n.135).

Nel giudizio risarcitorio davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli articoli 2697 c.c. (chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63 comma 1 e 64 comma 1 CPA (l’onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio, pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 23 giugno 2015, n.460).

 

2. La richiesta di chiarimenti e documenti da parte del giudice

I chiarimenti non costituiscono atto fidefacente ai sensi degli articoli 2699 e 2700 cod. civ., trattandosi di un mezzo di prova dalla rilevanza esclusivamente processuale (non casualmente, l’articolo 63, comma 1, cod. proc. amm. distingue, quale possibile oggetto delle richieste istruttorie che il giudice può rivolgere alle parti, i chiarimenti dai documenti, potendo solo per questi ultimi porsi un problema di fede privilegiata): di conseguenza, per confutarne i contenuti non è necessaria la proposizione di querela di falso, e quindi gli interessati possono farlo con qualsiasi mezzo (Consiglio di Stato sez. IV, 07 luglio 2015, n.3362).

La dottrina distingue i mezzi di prova in senso proprio e gli altri mezzi istruttori: i primi sono volti a dimostrare un fatto; i secondi permettono al giudice di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dalla pubblica amministrazione ai fini dell’adozione di un provvedimento. Il primo mezzo istruttorio indicato, nel comma 1 della disposizione in commento, è la richiesta di chiarimenti e di documenti che il giudice può chiedere alle parti. Indirettamente tale comma ricorda che il giudice amministrativo, nonostante le novità portate dal Codice, è un processo ancora affidato principalmente alla prova documentale, tipica prova precostituita, dal momento che l’attività amministrativa si concreta sempre in atti scritti (Giani, La fase istruttoria in Giustizia amministrativa, 2012).

 

3. L’ispezione

È inammissibile, perché costituente violazione della disciplina legislativa in tema di acquisizione probatoria, il deposito in giudizio del plastico rappresentante il fabbricato oggetto dell’impugnato permesso di costruire e sul quale il giudice dovrebbe soffermare la propria attenzione ai fini della conoscenza dei fatti di causa, atteso che non può essere assimilato a un deposito documentale e configura invece una domanda implicita d’ispezione di cose, disciplinata dell’articolo 63, c. proc. amm. e dagli articoli 118 e 258 e sgg., c.p.c., ma non necessaria per l’accertamento dei fatti e proposta senza l’espressa autorizzazione da parte del giudice (Consiglio di Stato sez. IV, 20 febbraio 2013, n.1059).

 

4. La prova testimoniale

Nel processo amministrativo non è utilizzabile la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in quanto, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale (che ora può essere ammessa, su istanza di parte, ai sensi dell’articolo 63, comma 3, CPA, in forma scritta, ai sensi del codice di procedura civile), non possiede alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione (Consiglio di Stato sez. IV, 22 agosto 2018, n.5030).

Nel processo amministrativo, ai sensi dell’articolo 63 comma 3, CPA. è inammissibile la prova testimoniale, in quanto diretta a contestare, al di fuori del procedimento di querela di falso, un fatto il cui accertamento è assistito da fede pubblica privilegiata (T.A.R. Umbria, Perugia sez. I, 08 ottobre 2015, n.459). La prova testimoniale, ammessa dall’articolo 63, comma 3, CPA, nel processo amministrativo — essenzialmente documentale, perché incentrato sulla domanda di tutela dell’interesse legittimo a fronte di un procedimento amministrativo — costituisce extrema ratio per consentire al giudice di formarsi un convincimento sui fatti storici rilevanti al fine della decisione (T.A.R. Molise, Campobasso sez. I, 04 maggio 2015, n.174). Nel processo amministrativo vige il principio dispositivo con metodo acquisitivo che impone ai ricorrenti di fornire non la prova della fondatezza delle pretese dedotte, bensì semplici elementi indiziari in merito all’esistenza dei vizi denunciati, in base ai quali il giudice, ritenutane l’attendibilità, eserciterà i poteri istruttori previsti dal Codice del processo amministrativo; ne consegue che escludere a priori le dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio dal novero delle produzioni idonee a costituire principio di prova nel giudizio elettorale non appare sostenibile, ponendosi in contrasto con gli articoli 24 e 111 Cost. (Consiglio di Stato Ad. Plen., 20 novembre 2014, n.32).

Nessuna valenza probatoria può essere assegnata alle dichiarazioni rese per iscritto da conoscenti dell’interessato al di fuori del giudizio, la prova testimoniale potendo essere acquisita unicamente con le forme stabilite dall’articolo 63, comma 3, CPA (T.A.R. Toscana, Firenze sez. II, 28 marzo 2012, n.613).

 

5. La consulenza tecnica d’ufficio e la verificazione: inquadramento generale

La consulenza tecnica, prevista attualmente dall’articolo 19 comma 1 e dall’articolo 63, comma 4 CPA solo se ritenuta dal giudice indispensabile (dovendo altrimenti preferire lo strumento della verificazione), era già ammessa nel processo amministrativo in materia di pubblico impiego, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 10 aprile 1987, nonché in materia di giurisdizione esclusiva, in virtù dell’articolo 35, comma 3, Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, consente al giudice non solo di avere l’ausilio di cognizioni tecniche non possedute, ma anche di affidare al consulente il compito di constatare taluni particolare fatti della causa, fornendo i chiarimenti tecnici ritenuti più opportuni. Si è così inteso riconoscere al giudice amministrativo la disponibilità di uno strumento processuale con cui acclarare la correttezza intrinseca dei giudizi tecnici espressi dall’amministrazione. Si tratta quindi di novità che, pur riguardando un profilo processuale, assume un rilievo tutt’altro che secondario nella disamina della questione relativa alla natura della discrezionalità tecnica e al tasso di incisività del suo sindacato giurisdizionale. (…)

Per un orientamento interpretativo ripetutamente seguito in giurisprudenza, invero, la verificazione può essere disposta solo per l’esame di fatti specifici da cui evincere lo scorretto esercizio del potere da parte dell’amministrazione, non anche per ottenere una nuova valutazione tecnica, sostitutiva di quella già compiuta dall’amministrazione, come accade, invece, disponendo la consulenza tecnica. Tale criterio discretivo è apparso peraltro coerente con la tesi, sostenuta in giurisprudenza fino al 1999, volta a riconoscere quel sindacato solo estrinseco della discrezionalità tecnica, di cui la verificazione consente per l’appunto, sul piano processuale, l’esercizio (Sorrentino, Il sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica: dal sindacato estrinseco a quello intrinseco in Manuale di diritto amministrativo, 2013).

In dottrina è stata prospettata una differente impostazione quanto ai rapporti tra verificazione e consulenza, ritenuti differenti solo per quel che attiene ai soggetti cui affidare l’incarico tecnico, appartenenti all’amministrazione in caso di verificazione, estranei alla stessa in caso di consulenza (Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, 1953).

La verificazione e la CTU costituiscono strumenti di ausilio del giudice nella valutazione della prova e non possono in alcun modo valere a colmare le lacune di allegazione e probatorie poste a carico delle parti. Come noto, infatti, la CTU non può ritenersi come una relevatio ab onus probandi, essendo unicamente mezzo di ausilio del giudice per la valutazione della prova, il cui onere ricade sulle parti ex articolo 64 CPA Tali considerazioni valgono anche in relazione alla richiesta verificazione alla quale il giudice potrebbe ricorrere solo dopo che la parte abbia almeno offerto un principio di prova (T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 03 giugno 2019, n.2989).

 

6. Gli altri mezzi di prova previsti al comma 5 con richiamo al c.p.c.: l’accertamento tecnico preventivo, l’interrogatorio libero e le prove raccolte in altro processo

Presupposto necessario per la domanda di accertamento tecnico preventivo di cui all’articolo 63 c. proc. amm. e 696 c.p.c. è il rischio di dispersione della prova nell’intervallo di tempo occorrente per proporre l’azione di merito davanti al giudice competente. Pertanto, ove il ricorrente non fornisca alcun serio elemento di urgenza, tale da far ragionevolmente ritenere la sussistenza del suddetto rischio, il ricorso per a.t.p. va respinto (T.A.R. Sardegna, Cagliari sez. II, 28 aprile 2014, n.298).

La ratio dell’ATP regolato dall’articolo696 c.p.c. è quella di ovviare al pericolo della dispersione della prova prima che la parte interessata attivi un giudizio di merito, ovvero definisca con un accordo un procedimento contenzioso già iniziato. Presupposto essenziale è la sussistenza di un’urgenza concreta di far verificare, ante causam, lo stato dei luoghi, ovvero la qualità o la condizione di una cosa, in chiara correlazione con un’esigenza di tipo cautelare che è resa evidente dall’incipit della norma, laddove utilizza la locuzione "Chi ha urgenza di far verificare...". Si è in presenza, dunque, di un mezzo processuale tipico del regime probatorio che è preordinato, attesa la sua valenza conservativa, all’anticipazione del momento di acquisizione della prova e, quindi, è intimamente connesso a quel giudizio di merito nel quale, invece, in via ordinaria avrebbe dovuto trovare espletamento la prova stessa. Soccorre, a tal ultimo riguardo, l’inciso che segue il già richiamato incipit della norma in questione in quanto con la precisazione introdotta (“...prima del giudizio...”) il codificatore non ha inteso meramente determinare il momento temporale dell’acquisizione della prova, ma ne ha caratterizzato la teleologia, preordinando l’utilizzo dello strumento probatorio ad un procedimento giurisdizionale che sia quanto meno probabile, in ragione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda di ATP (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5769).

Non esistono ragioni per affermare che l’interrogatorio libero, che non costituisce un mezzo di prova ma solo uno strumento di possibile convincimento del giudice di natura sussidiaria, in particolare laddove le dichiarazioni di parte trovino riscontro in altri elementi di prova, deve ritenersi incompatibile con la funzione e la struttura del processo amministrativo (Consiglio di Stato sez. III, 23 febbraio 2012, n.1069).

Alla luce della disciplina introdotta dal c. proc. amm., anche nel giudizio amministrativo deve ritenersi ammissibile l’interrogatorio libero delle parti: la sua ammissibilità, infatti, oltre a non essere preclusa dal carattere formale dell’attività amministrativa procedimentale (come si desume dall’ammissibilità della testimonianza scritta e dalla possibilità del giudice di desumere argomenti di prova anche dal comportamento delle parti nel corso del processo, ex articolo 64, comma 4, c. proc. amm.), si impone sia in considerazione della pari dignità delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte (che impone di evitare disparità di tutela sul terreno probatorio tra la sede giurisdizionale ordinaria e quella amministrativa); sia in ossequio al principio di parità delle parti (articolo 2 c. proc. amm.), concretizzando la facoltà della parte privata di formulare chiarimenti (non a caso l’articolo 63, comma 1, c. proc. amm., riferisce il potere del giudice di chiedere chiarimenti “alle parti”) (T.A.R. Lombardia, Milano sez. III, 06 aprile 2011, n.904).

In mancanza di un divieto di legge e in ossequio al principio di atipicità delle prove il g.a. può legittimamente utilizzare, come fonte anche esclusiva del proprio convincimento, le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (Consiglio di Stato sez. IV, 12 luglio 2012, n.4120).

 

Il punto di vista dell’Autore

La disposizione in commento introduce il Titolo III dedicato all’attività istruttoria: senza dubbio l’elencazione fornita in 5 commi dei mezzi di prova rende il senso dell’unitarietà e della completezza del loro utilizzo, senza lasciare adito a dubbi di sorta o difficili interpretazioni.

Dopo aver enunciato il principio basilare dell’onere della prova (che verrà poi trattato nel successivo articolo), vengono trattati rapidamente (grazie anche al richiamo alla disciplina processualcivilistica) i mezzi ammessi (con la sola esclusione dell’interrogatorio formale ed il giuramento): è proprio l’analisi di quest’ultimi che ci conferma il fatto che quello amministrativo è un processo fondato sugli atti e documenti scritti, trovando poca applicazione altri mezzi di prova che, seppur ammessi, in concreto vengono utilizzati raramente.

In tal senso depone senza dubbio lo scarso utilizzo della prova testimoniale che, se ammessa dal giudice, deve essere resa in forma scritta: sul punto è interessante la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 32/2014 che, in materia elettorale, fornisce rilevanza di principio di prova alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

Allo stato attuale, nel novero di quelli elencati dall’articolo 63 CPA, i mezzi di prova maggiormente utilizzati restano la verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio che si sostanziano in valutazioni, sotto il profilo squisitamente tecnico, del materiale probatorio già acquisito in giudizio: dalla disposizione si legge una gradazione nella scelta del legislatore che sembra prediligere, tra le due figure di ausiliario del giudice, il verificatore e, se necessario, il consulente tecnico d’ufficio.

Infine, ruolo importante rivestono i documentati chiarimenti richiesti alla P.A. entro un termine previamente fissato dal giudice, ovvero una relazione scritta corredata della necessaria documentazione: normalmente, la prassi giudiziaria vede una richiesta del genere allorquando l’Amministrazione resistente non sia costituita in giudizio e si rende necessario chiarire alcuni aspetti illustrati nel ricorso.