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Art. 17

Astensione

1. Al giudice amministrativo si applicano le cause e le modalità di astensione previste dal codice di procedura civile. L’astensione non ha effetto sugli atti anteriori.

Bibliografia. E. Allorio, In tema di ricusazione del giudice e di qualificazione degli estremi a ciò richiesti, in GI, 1950, I, 2, 513M; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1957, 177; U. Borsi, La giustizia amministrativa, Cedam, Padova, 1941; V. Caianiello, Manuale di Diritto Processuale Amministrativo, UTET, Torino, 2003; A. Carratta, Tutela di interessi diffusi e astensione obbligatoria e collettiva dell’intero ufficio giudiziario, in Giurisprudenza italiana, 2002, f. 6, 1197; L.P. Comoglio – C. Consolo – B. Sassani – R. Vaccarella, Commentario del codice di procedura civile Vol.1, UTET, 2012; F. Criscuolo, Commento agli articoli 17 e 18, in Codice del processo amministrativo a cura di R. Garofoli – G.Ferrari, NelDiritto Editore, 2010; S. La China, Giudice (astensione e ricusazione), in Digesto civ. IX, Torino, 1993, 26; A. Liberati, Il Nuovo Diritto Processuale Amministrativo, IV volume, CEDAM, 2010; M.A. Sandulli, Il nuovo processo amministrativo. Studi e contributi vol.2, Giuffrè, 2013; T. Segrè, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, in Comm. c.p.c. Allorio I, Torino, 1993, 26.

 

Sommario. 1. Introduzione. 2. Le ipotesi di astensione obbligatoria. 3. Le ipotesi di astensione facoltativa. 4. La decisione. 5. L’omessa astensione del giudice. 6. L’astensione immotivata. 7. L’astensione e la successiva partecipazione al giudizio. 8. L’interesse diffuso del giudice e l’astensione. 9. Il giudizio di rinvio e l’astensione. 10. La decisione cautelare e l’astensione nel successivo giudizio di merito.

 

1. Introduzione

L’istituto dell’astensione ha carattere generale e mira a garantire l’imparzialità del giudice rispetto alla causa che è chiamato a decidere. Ogni qualvolta sia compromessa la terzietà del giudice, difatti, la legge può obbligare il giudice ad astenersi dalla causa e legittimare ognuna delle parti in giudizio a ricusare il giudice che non assolva tale obbligo.

Una lunga tradizione giuridica prevede che la disciplina processuale amministrativa dell’astensione sia analoga a quella contenuta nel codice di procedura civile (R.D. 17 agosto 1907, n. 642, 47; conf. U. Borsi).

Il richiamo alla disciplina processuale civilistica riguarda “incondizionatamente tutte le norme del codice di procedura civile e quindi anche l’articolo 78 disp. att. c.p.c., che disciplina il procedimento di astensione” (M.A. Sandulli; F. Criscuolo).

 

2. Le ipotesi di astensione obbligatoria 

Si ha l’astensione obbligatoria del giudice ogni qualvolta si configura una delle situazioni previste dall’articolo 51, co. I, c.p.c. e, più precisamente, quando il giudice: 1) ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporto di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) ha dato consiglio o prestato patrocinio alla causa o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

Per lungo tempo la giurisprudenza ha dibattuto sulla natura, tassativa o meno, dell’elencazione contenuta nell’articolo 51 c.p.c.

Secondo l’orientamento maggioritario, “i casi di astensione obbligatoria sono tassativi e non suscettibili di interpretazione nè analogica né estensiva” (Cons. St. del 10.7.2017, n. 3373; TAR Puglia - Lecce del 04.9.2017, n. 1430; T. Ferrara del 20.6.2002).

Eppure, solo poche settimane or sono, il Consiglio di Stato ha assunto una posizione antitetica a quella dominante, stabilendo che le ipotesi di astensione obbligatoria ex articolo 51 c.p.c., non essendo tassative, non possono essere interpretate in via restrittiva quanto, invece, esemplificativa. L’obbligo di astensione, prosegue il Consiglio di Stato, derivato dal principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’articolo 97 della Costituzione, “ha carattere immediatamente e direttamente precettivo e non tollera alcun tipo di compressione” (Cons. St. del 09.03.2020, n. 1654).

 

3. Le ipotesi di astensione facoltativa

Le ipotesi di astensione facoltativa sono previste dall’articolo 51, co. II, c.p.c., secondo cui “in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore”.

La Corte Costituzionale ha chiarito nella sentenza n. 123/1999 che “l’espressione del comma 2 è formulata dal legislatore in termini necessariamente generici, stante la varietà delle ipotesi possibili, e comporta in sede applicativa la valutazione in concreto della ricorrenza di una grave ragione idonea a determinare l’astensione del giudice” (M.A. Sandulli).

 

4. La decisione

La decisione sull’astensione viene assunta dal capo dell’ufficio ove opera il giudice in questione: “per capo dell’ufficio deve intendersi, per il Consiglio di Stato il Presidente della Sezione in cui il magistrato appartiene, mentre per i TAR il Presidente del Tribunale. Per il TAR di Roma il Presidente della sezione, mentre per i TAR con sezioni interne dovrebbe essere il presidente di quella cui il magistrato è assegnato” (V. Caianiello).

Il legislatore ha ragionevolmente rimesso la valutazione dell’astensione facoltativa nelle mani di un soggetto diverso dall’interessato “sia per impedire arbitrarie astensioni allorchè difettino i relativi presupposti, sia per consentire un giudizio più obiettivo e distaccato sulla opportunità che il giudice sia esonerato dall’obbligo di decidere” (M.A. Sandulli).

 

5. L’omessa astensione del giudice

L’omessa astensione del giudice ha rilevanza soltanto ove quest’ultimo abbia un interesse proprio e diretto nella causa; solo in questa particolare ipotesi, difatti, la violazione dell’obbligo di astensione rappresenta, pur in difetto di una specifica istanza di ricusazione, una causa di nullità della sentenza (Cons. St. del 01.04.1996, n. 413; Cons. St. del 12.03.1996, n. 334; Cass. Civ. n. 16119 del 2006; Cass. Civ. n. 13370 del 2005; Cass. Civ. n. 7252 del 2004).

Nei restanti casi in cui non vi sia un interesse proprio e diretto del giudice, l’omissione dell’obbligo di astensione non compromette, in assenza di una specifica istanza di ricusazione, la validità del processo e della decisione (Cons. St. del 01.04.1996, n. 413).

 

6. L’astensione immotivata

L’astensione immotivata del giudice non ha alcuna rilevanza nel processo né incide sul principio dell’immutabilità del giudice naturale (Cons. St. del 28.01.2005, n. 180; Cass. Civ. del 20.02.1998, n. 1842; Cass. Civ. del 22.05.1997, n. 4577).

 

7. L’astensione e la successiva partecipazione al giudizio

La condotta manifestata dal giudice che, dopo essersi astenuto, torni a far parte del collegio giudicante determina la nullità della costituzione del giudice, integrando un vizio nella composizione del collegio ai sensi dell’articolo 158 c.p.c. (Ad. Plen. Cons. St. del 03.06.1980, n. 20; Cass. Civ. del 12.02.2000, n. 1566; Cass. Civ. del 29.12.1999, n. 14676).

 

8. L’interesse diffuso del giudice e l’astensione

Secondo la giurisprudenza “non vi è alcun obbligo di astensione, riconducibile alla sussistenza di un interesse tale da rendere il giudice parte, nel caso in cui sia dedotta in giudizio la tutela di interessi diffusi di cui, uti cives, i magistrati siano titolari. Tantomeno è applicabile all’ipotesi descritta l’articolo 30 bis c.p.c., che consente lo spostamento di competenza ad altro ufficio giudiziario solo quando un magistrato della sede giudiziaria presso la quale la causa viene instaurata assuma personalmente ed effettivamente la qualità di parte” (Trib. Catania del 12.06.2001; A. Carratta).

 

9. Il giudizio di rinvio e l’astensione

Anche il giudice del rinvio deve astenersi ai sensi dell’articolo 51, co. I, n. 4), c.p.c., (Cons. St. del 24.01.2014, n. 5; Cons. St. del 26.05.2010, n. 3345; Cons. St. del 25.03.2009, n. 2; Cons. St. del 05.07.2007, n. 3814).

 

10. La decisione cautelare e l’astensione nel successivo giudizio di merito

La partecipazione del giudice ad un precedente giudizio cautelare non gli impone di astenersi, ai sensi dell’articolo 51, co. I, c.p.c., nel successivo giudizio di merito (Ad. Plen., Cons. St. del 24.01.2014, n. 4; Ad. Plen. Cons. St. del 25.03.2009, n. 2; Cons. St. del 30.07.2008, n. 3806).

Questa considerazione è dettata dalla natura del procedimento cautelare ante causam che non anticipa e non vincola la decisione di merito ma mira alla tutela temporanea di un diritto potenzialmente pregiudicabile in via grave e irreparabile (Cass. Civ. del 21.11.1997, n. 11612).

Del resto il giudizio di merito che segue la fase cautelare non è descrivibile come valutazione operata sulla stessa res judicanda per cui resta escluso il rischio che l’imparzialità della decisione di merito sia minata dal condizionamento risalente alle ragioni della fase incidentale (Cons. St. del 09.11.2001, n. 5733).

Quest’orientamento, tuttavia, non esclude che il giudice di merito – il quale abbia già conosciuto la causa in una precedente fase cautelare e/o di urgenza – possa astenersi ai sensi dell’articolo 51, co. II, per “gravi ragioni di convenienza”: vi sono, difatti, ipotesi nelle quali il giudizio cautelare non si limita a una sommaria delibazione quanto, invece, a una concreta valutazione concreta della controversia che potrebbe condizionare il successivo giudizio di merito.

 

Il punto di vista dell’Autore

In più occasioni, nel corso degli ultimi anni, il legislatore ha sottolineato la centralità del principio/dovere di imparzialità e terzietà del giudice (articolo 111 della Costituzione); l’interesse del legislatore verso questa tematica, paradossalmente, non ha condotto ad alcuna rivisitazione delle disposizioni processuali della astensione e della ricusazione che, ancora oggi, scontano una certa obsolescenza lessicale e sostanziale.

L’inadeguatezza del quadro normativo è stata “curata” dai tribunali, ove possibile, con una interpretazione flessibile e intelligente delle norme ma l’esito non può dirsi soddisfacente: il carattere tassativo dell’articolo 51, co. I, c.p.c. limita l’operatività dell’astensione nelle ipotesi non espressamente previste dalla legge.

Eclatante è il caso dell’interesse proprio del giudice o di un suo prossimo congiunto nella causa: nel processo penale un simile interesse determina l’astensione obbligatoria del giudice ai sensi dell’articolo 36, co. I, lett. H) c.p.p. Nel processo civile, invece, il carattere tassativo dell’articolo 51 c.p.c. ha impedito per lungo tempo che questo interesse configurasse una ipotesi di astensione obbligatoria.

Solo con l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione si è potuto rimediare all’evidente anomalia: i giudici, operando una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 51 c.p.c., hanno esteso l’operatività dell’astensione obbligatoria anche alla ipotesi in cui il giudice e/o il suo prossimo congiunto abbiano un interesse proprio nella causa.

Tutte queste riflessioni, in conclusione, delineano la limitatezza dell’attuale disciplina dell’astensione che, per abbandonare incongruenze e fallacie, merita di essere articolata sia su un piano generale, comune a tutti gli ordinamenti processuali, che su uno speciale valevole per ogni singola materia.