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Art. 18

Ricusazione

1. Al giudice amministrativo si applicano le cause di ricusazione previste dal codice di procedura civile. 

2. La ricusazione si propone, almeno tre giorni prima dell’udienza designata, con domanda diretta al presidente, quando sono noti i magistrati che devono prendere parte all’udienza; in caso contrario, può proporsi oralmente all’udienza medesima prima della discussione. 

3. La domanda deve indicare i motivi ed i mezzi di prova ed essere firmata dalla parte o dall’avvocato munito di procura speciale. 

4. Proposta la ricusazione, il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l’istanza inammissibile o manifestamente infondata. 

5. In ogni caso la decisione definitiva sull’istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito.

6. I componenti del collegio chiamato a decidere sulla ricusazione non sono ricusabili.

7. Il giudice, con l’ordinanza con cui dichiara inammissibile o respinge l’istanza di ricusazione, provvede sulle spese e può condannare la parte che l’ha proposta ad una sanzione pecuniaria non superiore ad euro cinquecento.

8. La ricusazione non ha effetto sugli atti anteriori. L’accoglimento dell’istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato.

Bibliografia. R. Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice, Giuffrè, 2012; M. Corradino – S. Sticchi Damiani, Il processo amministrativo, Giappichelli Editore, 2014; D. De Carolis, La ricusazione nel processo amministrativo, in DP AMM, 2000, 840; R. Giovagnoli - L. Ieva – G. Pesce, Il processo amministrativo di primo grado, Giuffrè, Milano, 2005, 209; G. Iudica, Il conflitto d’interessi nel diritto amministrativo, Giappichelli Editore, 2016; A. Liberati, Il Nuovo Diritto Processuale Amministrativo, IV volume, CEDAM, 2010; V. Lopilato – A. Quaranta, Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Giuffrè, 2011; P. Patrito – M. Protto, Ricusazione dell’intero collegio giudicante, in Urbanistica e Appalti, 2011, 12, 1490; N. Saitta, Sistema di Giustizia Amministrativa, Giuffrè, 2012; V. Segrè, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, in Comm. c.p.c. Allorio, I, Torino, 1973, 640; C. Spaccapelo, La tutela dell’imparzialità del giudice tributario, in DPT, 2004, 4, 836.

 

Sommario. 1. Introduzione. 2. Le differenze con la disciplina civilistica della ricusazione. 3. Le ipotesi di ricusazione e il deposito della istanza. 4. La ricusazione dell’intero collegio. 5. La revoca della ricusazione e il contraddittorio. 6. La decisione e la condanna alle spese. 7. L’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della ricusazione. 8. Le conseguenze della mancata ricusazione. 9. Il reclamo e la ricusazione. 10. La fase cautelare e la ricusazione del giudice nel giudizio di merito.

 

1. Introduzione

Mutuando una definizione della giurisprudenza di legittimità, l’istanza di ricusazione è lo strumento attribuito alla parte per denunciare l’esistenza di situazioni di parzialità del giudice (giudice monocratico, magistrato del processo di primo grado e dell’impugnazione) e ha carattere strumentale rispetto alla decisione di merito. L’istanza di ricusazione dipende, difatti, dalla causa sulla quale si fonda sicchè, quando quest’ultima viene meno, l’istanza diviene inammissibile secondo il principio generale, ricavabile anche dall’articolo 39 c.p.p., in base al quale “la ricusazione si considera non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l’astensione è accolta” (Cass. Civ. del 09.09.2005, n. 18066).

 

2. Le differenze con la disciplina civilistica della ricusazione

Generalmente la disciplina amministrativa della ricusazione segue quella civilistica: “Per quanto ivi non espressamente previsto, può farsi ricorso in via analogica alla disciplina contenuta negli articoli 52 e 54 del codice di procedura civile, il quale costituisce la legge processuale generale a cui bisogna far riferimento in difetto di norme processuali speciali” (TAR Abruzzo – L’Aquila del 08.01.1999, n. 7).

Il richiamo alla disciplina processuale civilistica, tuttavia, non può dirsi assoluto perché vi sono delle differenze tra la ricusazione amministrativa e quella civilistica.

Una prima differenziazione riguarda il termine di presentazione della istanza ove il ricusante conosca già il nome del giudice designato: nel codice di procedura amministrativa, infatti, il termine per il deposito della istanza è di tre giorni – e non, invece, di due giorni - prima dell’udienza (TAR Abruzzo - L’Aquila, 08.01.1999, n. 7). 

Una seconda e innovativa differenziazione è data dal fatto che la ricusazione amministrativa non comporta automaticamente la sospensione del giudizio: la domanda di ricusazione è sottoposta, secondo il co. IV dell’articolo 18 CPA, al giudizio di ammissibilità del collegio che giudica la controversia il quale “può disporre la prosecuzione del giudizio, quando ritenga la richiesta di ricusazione inammissibile o manifestatamente infondata” (M. Corradino – S. Sticchi Damiani).

Va rilevato inoltre che la disciplina processuale amministrativa prescrive un termine di trenta giorni entro il quale il collegio deve pronunciarsi sulla domanda ricusatoria previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito; l’articolo 52 del codice processuale civile, al contrario, non prevede alcun termine, limitandosi a statuire che “la ricusazione sospende il giudizio”.

 

3. Le ipotesi di ricusazione e il deposito dell’istanza

Si procede alla ricusazione quando si verifica una delle ipotesi tassative previste dall’articolo 51, co. I, c.p.c. e il giudice non si astiene dal decidere una causa.

L’istanza di ricusazione viene depositata direttamente dalla parte processuale e/o dal suo procuratore sia prima dell’udienza (quando è già noto il nome del giudice designato per la causa) che, diversamente, nel corso della prima udienza. La domanda di ricusazione necessita di una adeguata motivazione ossia “deve riguardare ipotesi effettive e concrete, non potendosi risolvere in generiche e apodittiche affermazioni di principio” (Cons. St. del 04.02.2004, n. 393).

Al momento del deposito vanno altresì indicati i mezzi di prova che, osserva la dottrina, sono tutti quelli previsti dal codice di procedura civile, anche nel giudizio di legittimità (A. Liberati; G. Pesce).

 

4. La ricusazione dell’intero collegio

La ricusazione riguarda il singolo giudice e non l’intero collegio giudicante (Cons. St. del 06.06.2011, n. 3406; TAR Lazio – Latina del 14.03.2014, n. 203). 

È opinione condivisa che l’istanza di ricusazione non può avere fondamento “nel fatto stesso della mera appartenenza, del singolo giudice o del collegio, all’ordinamento giudiziario cui la legge affida il potere di giudicare, in quanto non ravvisabili in dette circostanze particolari motivi di interesse o di contrasto del giudicante o del collegio con una delle parti, che siano tale da sorreggere la proposta ricusazione, le cui cause devono essere sempre riferibili direttamente o indirettamente al Giudice come persona fisica” (Cons. St. del 02.04.2012, n. 1958).

Invero questo orientamento non viene condiviso da una parte della dottrina perchè “specie in un ambiente ristretto come quello del Consiglio di Stato può accadere che i rapporti intercorrenti tra magistrati della stessa sezione siano meritevoli di un apprezzamento ai fini della compatibilità alla decisione. Si pensi, ad esempio, ad una controversia alla assegnazione di un posto di presidente T.A.R., in cui le parti siano un magistrato di provenienza T.A.R. ed un magistrato della medesima sezione del Consiglio di Stato chiamata a decidere sul caso” (A. Liberati).

 

5. La revoca della ricusazione e il contraddittorio

La ricusazione è revocabile nelle stesse modalità con cui è stata presentata senza il bisogno di alcuna notifica alla controparte: “in base al principio del contrarius actus la revoca dell’istanza in parola può essere proposta direttamente dalla parte e non necessita della previa notifica ad alcuna controparte” (TAR Abruzzo – L’Aquila del 08.01.1999, n. 7).

L’assenza di un obbligo di notifica non lede il principio del contraddittorio poiché le parti processuali possono intervenire nel procedimento di ricusazione a tutela delle proprie ragioni.

 

6. La decisione e la condanna alle spese

Il collegio chiamato a decidere sulla ricusazione deve essere quello del quale fa parte il giudice ricusato che non partecipa alla decisione; non viene adito in alcun modo un organo giurisdizionale di livello superiore. Orbene il procedimento di ricusazione si conclude con una ordinanza che: (I) dichiara inammissibile o rigetta l’istanza; (II) accoglie l’istanza.

Il codice prevede all’articolo 18, co. V, CPA, che la decisione sulla ricusazione sia adottata dal collegio, entro trenta giorni dalla sua proposizione, previa sostituzione del magistrato ricusato: “è però, stranamente, previsto che il giudice ricusato debba essere sentito senza che siano precisati né la sede né il momento né la modalità né l’eventuale contraddittorio” (N. Saitta).

L’ordinanza con cui il giudice dichiara l’inammissibilità o respinge la ricusazione provvede sulle spese e può condannare la parte privata e/o pubblica che l’ha proposta ad una sanzione pecuniaria non superiore ad euro cinquecento (articolo 18, co.VII, CPA).

La condanna alla sanzione pecuniaria, in sostanza, è subordinata alla valutazione discrezionale del giudice ma non sempre è stato così.

In epoche meno recenti, difatti, la pregressa disciplina disponeva che, in caso di rigetto della domanda di ricusazione, la parte istante (non la pubblica amministrazione) sarebbe stata condannata ad una multa “fino a lire centocinquanta” (articolo 50, co. II-III, del R.D. n. 642 del 1907).

La pregressa disciplina, in altri termini, dava luogo ad un automatismo della condanna che, pur ledendo il diritto di difesa costituzionalmente garantito, veniva giustificato dalla giurisprudenza amministrativa nella misura in cui rafforzava non solo “il senso di responsabilità del cittadino a non proporre istanze di ricusazione infondate” quanto anche il potere disciplinare dello stesso giudice (TAR Abruzzo – L’Aquila, 08.01.1999, n. 7).

Poi, all’inizio del nuovo millennio, si è compreso che un simile automatismo non era più compatibile con i principi del giusto processo e, grazie all’intervento della Corte Costituzionale, è stato abolito.

L’automatismo della condanna, prescindendo da ogni valutazione del caso concreto, “comporta una irragionevole compressione” del diritto di difesa, “in contrasto con il principio di uguaglianza. Si viene infatti a trattare allo stesso modo, sotto il profilo dell’applicazione della sanzione, la posizione di chi ha proposto la ricusazione ragionevolmente fidando nella sua ammissibilità e nella sussistenza delle ragioni su cui essa si fondava, e quella del ricorrente che non versi in tale situazione” (Corte Cost. del 21.03.2002, n. 78; Corte Cost. del 13.06.2000, n. 186).

 

7. L’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della ricusazione

L’ordinanza di rigetto della ricusazione non è autonomamente impugnabile per via della natura non giurisdizionale dell’intero procedimento di ricusazione (TAR Abruzzo – L’Aquila del 08.01.1999, n. 7; contr. D. De Carolis).

Ciò implica, a livello pratico, l’inutilizzabilità del ricorso ordinario e straordinario in Cassazione avverso le pronunce del Consiglio di Stato e dei TAR (“pure insuscettibili di essere gravate mediante regolamento di giurisdizione”) nonché l’inappellabilità delle stesse ordinanze di rigetto dinanzi al Consiglio di Stato: “nel rigoroso rispetto del principio di tipicità dei mezzi d’impugnazione e dei provvedimenti reclamabili, infatti, tali mezzi possono essere proposti solo nei confronti di sentenze, ex articolo 91 CPA, e non di ordinanze, prive come sono in linea generale, di contenuto decisorio” (V. Lopilato - A. Quaranta).

La non impugnabilità della ordinanza sulla ricusazione sembra non porsi in contrasto con i dettami costituzionali (in particolar modo con il principio del giusto processo ex articolo 111 Cost.) proprio perché l’incompatibilità del giudice e il rigetto della istanza di ricusazione possono, invece, valere come motivo d’impugnazione di una sentenza di per sé suscettibile di gravame (Cons. St. del 16.03.2001, n. 1553): “la tutela della lesività di tale decisione (i.e.: il rigetto della ricusazione) può ben espletarsi attraverso l’impugnazione della sentenza definitiva del giudizio di secondo grado nel quale è stata emessa” (Cass. Civ. del 20.04.2005, n. 8292).

 

8. Le conseguenze della mancata ricusazione

La mancata astensione/ricusazione del giudice non inficia la validità della decisione emessa (Cons. St. del 06.03.2003, n. 1228); essa, piuttosto, può incidere sulla persona del magistrato e sul suo rapporto di servizio (R. Chieppa).

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno osservato come la mancata astensione del giudice nel processo amministrativo non rappresenti un vizio di giurisdizione bensì la violazione di norme processuali (Cass. Civ. Sez. Un. del 12.12.2013, n. 27847): “solo nel caso dell’omissione dell’applicazione delle regole processuali in tema di ricusazione, oppure di applicazione meramente apparente di tali regole, vi è un radicale vizio della costituzione del giudice non terzo che può ridondare in vizio attinente la giurisdizione” (G. Iudica).

 

9. Il reclamo e la ricusazione

Il giudice che ha partecipato al giudizio di merito non deve astenersi nella successiva fase di reclamo: quest’ultima, difatti, ha carattere meramente eventuale sicchè “il meccanismo della ricusazione, qualora sia volto a fare questione di terzietà del giudice, non può essere attivato” (Cons. St. del 17.04.2003, n. 2007).

 

10. La fase cautelare e la ricusazione del giudice nel giudizio di merito

La partecipazione del giudice alla fase cautelare ante causam non pregiudica la sua deliberazione nel successivo giudizio di merito (Cons. St. del 06.03.2003, n. 1228). Tale condotta potrebbe, invece, dar luogo a una incompatibilità meritevole di ricusazione anche se, osserva la giurisprudenza, “l’aver trattato della controversia in sede di procedimento cautelare ante causam neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998) un’ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell’incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio” (Cass. Civ. del 31.10.2018, n. 27924).

Giova verificare, in simili ipotesi, se la fase cautelare si sia limitata a una sommaria deliberazione o se, invece, abbia dato luogo a una valutazione concreta della controversia in grado di condizionare il successivo giudizio di merito. 

 

Il punto di vista dell’Autore

Valgono anche per la ricusazione le considerazioni già manifestate per l’astensione: occorre una riforma integrale degli istituti in questione, predisponendo una regolamentazione di base valida per ogni ordinamento processuale e una, invece, specifica per materia.

La materia della ricusazione, del resto, presenta molteplici criticità che rischiano di pregiudicare il diritto di difesa dei cittadini: si pensi, ad esempio, alla ininfluenza della mancata ricusazione sulla validità della sentenza (se non nei casi di impugnazione della sentenza e/o in quelli in cui il giudice ha un interesse diretto nella causa) così come alla sola perseguibilità in via penale e disciplinare della condotta del giudice parziale “non astenutosi dalla decisione della lite”.

Finora la dottrina ha proposto diverse strade per la risoluzione delle suddette problematiche. La prima passa per un riconoscimento della natura autonoma e giurisdizionale del procedimento di ricusazione. La seconda, al contrario, mantenendo intatta la natura non giurisdizionale del procedimento di ricusazione, prevede l’incidente di costituzionalità dell’articolo 51 c.p.c. (per violazione degli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione) e il potenziamento della disciplina in tema di responsabilità civile del giudice per il cattivo esercizio della funzione giurisdizionale.

Ad avviso di chi scrive, ogni possibile soluzione va implementata nella piena consapevolezza che il c.d. giusto processo non implica solo il diritto del cittadino ad un giudice giusto e imparziale ma, anche, il diritto alla ragionevole durata del processo.

Il procedimento di ricusazione non può prestare il fianco a impugnazioni temerarie e necessita di essere bilanciato da meccanismi che aumentino il senso di responsabilità del cittadino. Uno di questi meccanismi è dato certamente dalla sanzione pecuniaria, disposta dall’articolo 18, co. VII, CPA, per le istanze di ricusazione inammissibili o manifestatamente infondate; l’esiguità dell’importo (“non superiore ad euro cinquecento”), tuttavia, rischia di vanificare l’intento deflattivo della sanzione pecuniaria e si confida, pertanto, in un incremento della stesso.