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Art. 52 - Diritti dei terzi

1. La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni:

a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati; (2)

b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento; (2)

c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale;

d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso.

2. I crediti di cui al comma 1 devono essere accertati secondo le disposizioni contenute negli articoli 57, 58 e 59 e concorrono al riparto sul valore dei beni o dei compendi aziendali ai quali si riferiscono in base alle risultanze della contabilità separata di cui all’articolo 37, comma 5. (3)

2–bis. Gli interessi convenzionali, moratori e a qualunque altro titolo dovuti sui crediti di cui al comma 1 sono riconosciuti, nel loro complesso, nella misura massima comunque non superiore al tasso calcolato e pubblicato dalla Banca d’Italia sulla base di un paniere composto dai buoni del tesoro poliennali quotati sul mercato obbligazionario telematico (RENDISTATO). (1)

3. Nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

3–bis. Il decreto con cui sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito, presentata ai sensi dell’articolo 58, comma 2, in ragione del mancato riconoscimento della buona fede nella concessione del credito, proposta da soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, è comunicato a quest’ultima ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni. (4)

4. La confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l’estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi. (5)

5. Ai titolari dei diritti di cui al comma 4, spetta in prededuzione un equo indennizzo commisurato alla durata residua del contratto o alla durata del diritto reale. Se il diritto reale si estingue con la morte del titolare, la durata residua del diritto è calcolata alla stregua della durata media della vita determinata sulla base di parametri statistici. Le modalità di calcolo dell’indennizzo sono stabilite con decreto da emanarsi dal Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della giustizia entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

6. Se sono confiscati beni di cui viene dichiarata l’intestazione o il trasferimento fittizio, i creditori del proposto sono preferiti ai creditori chirografari in buona fede dell’intestatario fittizio, se il loro credito è anteriore all’atto di intestazione fittizia.

[7. In caso di confisca di beni in comunione, se il bene è indivisibile, ai partecipanti in buona fede è concesso

diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato, salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto, di taluna delle associazioni di cui all’articolo 416–bis c.p., o dei suoi appartenenti. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 48, comma 5, sesto e settimo periodo.] (6)

[8. Se i soggetti di cui al comma 7 non esercitano il diritto di prelazione o non si possa procedere alla vendita, il bene può essere acquisito per intero al patrimonio dello Stato al fine di soddisfare un concreto interesse pubblico e i partecipanti hanno diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della propria quota di proprietà, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.] (6)

9. Per i beni appartenenti al demanio culturale, ai sensi degli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la vendita non può essere disposta senza previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali.

(1) Comma inserito dall’ art. 1, comma 443, lett. a), L. 147/2013, a decorrere dal 1° gennaio 2014.

(2) Lettera così sostituita dall’ art. 20, comma 1, lett. a), L. 161/2017.

(3) Comma così sostituito dall’ art. 20, comma 1, lett. b), L. 161/2017.

(4) Comma inserito dall’ art. 20, comma 1, lett. c), L. 161/2017.

(5) Comma così sostituito dall’ art. 20, comma 1, lett. d), L. 161/2017.

(6) Comma abrogato dall’ art. 38, comma 3, DL 113/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 132/2018.

Rassegna di giurisprudenza

Questioni di costituzionalità

Il quadro normativo attuale circa la tutela dei terzi creditori di soggetti colpiti da sequestro o confisca di prevenzione — in estrema sintesi — vede affiancate due discipline, quella prevista dal D. Lgs. 159/2011 e quella della L. 228/2012. Il primo ha costituito una svolta normativa sul tema della tutela dei terzi creditori in buona fede, giacché ha introdotto un sistema organico esteso alla generalità dei creditori del proposto, che possono vedere soddisfatto — sia pur parzialmente e a determinate condizioni — il proprio credito grazie ad un procedimento di verifica in contraddittorio e alla successiva formazione di un piano di riparto. Come appare evidente, tale disciplina rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, quello dei creditori del proposto a vedere soddisfatto il proprio diritto; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il proposto dei risultati economici dell’attività illecita. Il Decreto 159, tuttavia, trova applicazione solo in rapporto ai procedimenti di prevenzione instaurati dopo la sua entrata in vigore (13 ottobre 2011); per le procedure già attivate prima di tale data occorre invece fare riferimento alla L. 228/2012. A norma dell’art. 1, commi 194 e 197 di quest’ultima legge — salvo le eccezioni di cui si dirà — nessun creditore, a decorrere dal primo gennaio 2013, può iniziare o proseguire, a pena di nullità, azioni esecutive sui beni confiscati e gli oneri e pesi iscritti o trascritti su detti beni anteriormente alla confisca sono estinti di diritto: ciò ad esclusione dei casi in cui il bene risulti già trasferito o aggiudicato, anche in via provvisoria, alla predetta data, o sia costituito da una quota indivisa già pignorata (comma 195). Come anticipato, la regola patisce eccezioni: secondo l’art. 1, commi 198, 199 e 200, quando un credito sia garantito da ipoteca iscritta, anteriormente al sequestro, su beni poi sottoposti a confisca di prevenzione, ovvero il creditore abbia iscritto un pignoramento prima della trascrizione del sequestro di prevenzione ovvero, ancora, alla data di entrata in vigore della legge, sia intervenuto nell’esecuzione forzata iniziata da altri con un pignoramento, può proporre domanda di ammissione al credito ai sensi dell’art. 58, comma 2. Altra categoria di creditori che può avvalersi della procedura in discorso è quella dei titolari di diritti di credito da lavoro subordinato, inseriti nella disciplina sulla scorta dell’interpretazione additiva della Corte Costituzionale (sentenza 94/2015). In sostanza, dunque, mentre per i procedimenti di prevenzione iniziati successivamente al 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del Decreto 159) la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica è estesa a tutti i creditori – siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – per i procedimenti pendenti a quella data, la legittimazione è circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti, intervenuti nell’esecuzione altrui o titolari di crediti da lavoro dipendente. Orbene, ci si deve domandare se tale assetto normativo determini la lesione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa. Giova osservare che, sulla manifesta infondatezza della questione, la giurisprudenza di legittimità ha già preso posizione, con le sentenze Sez. 2, 33735/2017 e Sez. 6, 49821/2013. In quest’ultima pronunzia, in particolare, si è rimarcato come la selezione operata dalla L. 228 contemperi l’esigenza della collettività – di privare il soggetto socialmente pericoloso dei beni oggetto dell’azione di prevenzione – con le posizioni soggettive dei terzi che sul patrimonio oggetto di confisca vantino una pretesa, accordando prevalenza alla prima. Ciò non senza un temperamento ottenuto riconoscendo possibilità satisfattive alle categorie di creditori di cui si è detto, sia pur limitate mediante l’accesso alle somme ricavate dalla liquidazione effettuata dall’ANBSC. Dall’inquadramento complessivo della questione e dei diritti che paiono contrapposti, il giudice di legittimità ha valorizzato la forza dell’ablazione da parte dello Stato (che le sezioni unite civili hanno definito acquisto a titolo originario, SU, 10532/2013), a fronte della quale ha poi condivisibilmente respinto l’accusa di irrazionalità della scelta legislativa di differenziazione tra creditori; questi ultimi – senza che ciò possa ritenersi ingiustificato – godono di diversi gradi e modalità di soddisfazione in ragione della presenza di garanzie reali ovvero di un particolare attivismo nella tutela delle proprie ragioni o – si aggiunge, dopo la sentenza 94/2015 della Consulta – della natura del credito. Dalla sentenza 49821/2013 si trae un altro spunto che avvalora l’idea della ragionevolezza del sistema e dell’inesistenza di tensioni di costituzionalità della disciplina in discorso. Contrariamente all’idea che le ragioni dei creditori diversi da quelli sopra indicati restino irrimediabilmente prive di tutela, si può sostenere che il creditore non tutelato dalla L. 228 possa chiedere il fallimento dell’impresa, allorché, come nel caso di specie, vi sia stato il sequestro non solo delle quote, ma anche del patrimonio aziendale. La L. 228, infatti, non esclude l’applicazione delle norme di cui agli artt. 63 e ss. che disciplinano i rapporti della prevenzione reale con le procedure concorsuali e, comunque, anche prima ed a prescindere dal codice antimafia, era ius receptum che l’impresa sottoposta ad ablazione fosse fallibile, ciò essendo in linea con la spinta alla prosecuzione dell’attività aziendale che caratterizza la legislazione in materia. Nulla esclude, dunque, che il creditore chirografario dell’impresa integralmente confiscata, il cui credito non sia suscettibile di insinuazione nel piano di riparto, possa attivarsi e ottenere il fallimento della stessa (o anche insinuarsi nella procedura avviata da altri). Non vale sul punto obiettare che la procedura concorsuale è comunque una procedura esecutiva, sì che l’iniziativa del creditore sarebbe impedita dal divieto di cui al comma 194 dell’art. 1 della L. 228. Due sono gli argomenti utilizzati per ribattere a tale obiezione: un’impresa che, anche dopo l’ablazione, si muove sul mercato deve poter fallire; anche il codice antimafia, da una parte, impone il blocco delle iniziative esecutive individuali e, dall’altra, prevede la fallibilità delle imprese i cui beni siano sequestrati o confiscati. Il precedente evocato ha anche escluso difficoltà ad immaginare, a fallimento dichiarato, la soddisfazione dei creditori concorsuali rispetto alle aspettative statuali di apprensione delle risorse oggetto di ablazione. Ha evidenziato, a questo proposito, che i beni sottoposti a confisca di prevenzione non sono pericolosi in sé, ma solo in quanto siano nella disponibilità del proposto, sicché il fine da perseguire è quello dello spossessamento, che non è mortificato dalla liquidazione a favore dei creditori, di qualsiasi categoria essi siano, purché in buona fede. In altri termini, non osta alla tesi della fallibilità e della praticabilità della soddisfazione concorsuale dei creditori l’idea di una presunta, preconcetta prevalenza delle ragioni statuali rispetto a quelle private, giacché non vi è alcuna ragione, legata per esempio alla pericolosità intrinseca dei beni, che imponga di attrarli sempre e comunque al patrimonio dello Stato; ciò è peraltro dimostrato dalla protrazione della circolazione dei beni legata alle procedure di liquidazione previste sia dal D. Lgs. 159 che dalla L. 228 rispetto alle categorie di creditori ivi tutelate. Altro argomento che induce a ritenere manifestamente infondata l’eccezione del ricorrente può essere tratto dalla sentenza 94/2015, che, come già accennato, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 198, della L. 228 per contrasto con l’art. 36 Cost., nella parte in cui non includeva, tra i creditori la cui posizione fosse tutelabile ex L. 228, anche i titolari di crediti da lavoro dipendente. Ebbene, la Consulta ha espressamente operato una delimitazione della denunzia di costituzionalità del giudice rimettente, sia sotto il profilo delle norme invocate (artt. 3, 24 e 36 Cost.), che dei crediti cui si riferiva il dubbio di legittimità (tutti i crediti privilegiati), concentrando l’esame sul solo art. 36 Cost. e sui soli crediti da lavoro dipendente. Tale opzione può assumere un significato circa la volontà di escludere che tutti i creditori diversi da quelli ipotecari, pignoranti o intervenienti ovvero titolari di crediti da lavoro dipendente – ancorché privilegiati – possano essere considerati ingiustamente pretermessi; il che fornisce una chiave di lettura del dubbio di costituzionalità che oggi si pone in relazione – si badi – ad una categoria creditizia, quella dei creditori chirografari, codicisticamente deteriore rispetto a quella dei creditori privilegiati. Altra traccia esegetica che può trarsi dalla sentenza della Consulta è legata all’unica norma costituzionale con la quale è stata sancita l’esistenza del contrasto, vale a dire l’art. 36 Cost. (norma specifica sulla posizione del lavoratore), mentre non si è affrontata la questione della compatibilità della disciplina denunziata con gli artt. 3 e 24 Cost. pure invocati dal giudice rimettente, ritenendo assorbita la relativa questione. In conclusione deve dunque affermarsi che la questione di costituzionalità posta nel ricorso con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. è manifestamente infondata (Sez. 5, 11988/2018).

 

Estensione delle norme preventive sui diritti dei creditori in buona fede alla confisca disposta ai sensi dell’art. 12–sexies DL 306/1992

Le norme dettate dagli artt. 52 e ss., a tutela dei diritti vantati dai terzi creditori in buona fede sui beni sottoposti a confisca di prevenzione, si applicano anche alle ipotesi di confisca disposta in sede penale ai sensi dell’art. 12–sexies, a far data dall’entrata in vigore dell’art. 1, comma 190, L. 228/2012 (cosiddetta «legge di stabilità»), mentre la disciplina transitoria, prevista dai commi 199 e ss. della stessa legge, al fine di rendere possibile l’applicazione dei criteri di cui al D. Lgs. 159/2011 alle procedure di prevenzione pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, trova applicazione solo rispetto a tali procedure (Sez. 1, 15533/2018).

 

Condizioni per l’inopponibilità della confisca al terzo

In tema di misure di prevenzione patrimoniali proposte prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011, nel caso in cui il terzo rivendichi la legittima proprietà superficiaria di un bene confiscato, si applica la disciplina di cui all’art. 2 ter, comma quarto, della legge n. 575 del 31 maggio 1965, trattandosi di un diritto reale di godimento su cosa altrui, autonomo e differenziato rispetto a quello della proprietà del suolo, con conseguente diritto a vedere accertata la propria dimensione dominicale, la propria buona fede e l’inconsapevole affidamento nell’acquisizione del diritto (Fattispecie nella quale il tribunale, sezione misure di prevenzione, in sede incidentale di esecuzione aveva rigettato l’istanza proposta da una società, estranea rispetto alle parti del procedimento di prevenzione, con la quale si chiedeva la retrocessione dei beni oggetto di proprietà superficiaria in capo alla stessa società - aerogeneratori di energia elettrica, c.d. pale eoliche innestate su strutture portanti infisse al suolo - adesi a dei fondi oggetto di confisca definitiva. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale competente) (Sez. 2, 17056/2022).

Combinando i principi espressi dall’art. 2704 c.c. con l’art. 52, risulta che gli indicatori della certezza della data di una scrittura privata priva di autenticazione possono essere i più vari e mutare caso per caso. Quel che conta è che il credito sia riferibile con certezza a una data anteriore al sequestro, avendo di mira lo scopo che l’art. 52 si prefigge: scongiurare il pericolo di riconoscere l’esistenza di crediti simulati incidenti sul valore del bene confiscato (Sez. 5, 42235/2021).

La tutela dei diritti dei terzi sui beni sequestrati nel procedimento di prevenzione è regolata dalla disposizione dell’art. 52 che fissa le condizioni richieste per l’inopponibilità nei loro confronti della confisca, e che, con specifico riguardo ai crediti assistiti da diritti reali di garanzia sui beni sequestrati, prevede come prima condizione necessaria, ma non sufficiente, l’anteriorità della costituzione della garanzia rispetto al provvedimento di sequestroSi richiede, infatti, che oltre alla predetta condizione di ordine cronologico–temporale, vi siano anche altre due condizioni, indicate alla lett. b) del citato articolo, una di carattere fattuale–oggettivo, ovvero che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, e l’altra di carattere soggettivo, afferente la dimostrazione della buona fede e dell’inconsapevole affidamento del creditore, con onere della prova a carico del creditore medesimo. La richiamata disposizione di cui all’art. 52, al comma 3, stabilisce poi che, nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi. Con riferimento alla condizione, della strumentalità del credito all’attività criminale, secondo l’orientamento maggioritario di legittimità, si ritiene che deve sussistere oggettivamente e che l’accertamento della buona fede diviene irrilevante se manca la prova della strumentalità del credito. Si è, infatti, affermato che dal tenore della su citata disposizione normativa si evince che la condizione di “buona fede” in tanto è suscettibile di considerazione in quanto si riferisca all’erogazione di crediti che risultano essere stati oggettivamente strumentali all’attività illecita del sottoposto a misura di prevenzione. Con la conseguenza che nel caso di assenza di dimostrazione del nesso di strumentalità la suddetta disposizione non consente che il diritto di credito del terzo derivante da atto anteriore al sequestro, e assistito da ipoteca iscritta anteriormente, sia pregiudicato dalla confisca, a prescindere dall’atteggiamento “soggettivo” del creditore (Sez. 1, 42084/2014).

Per escludere l’ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro, il tribunale è tenuto a fornire analitica dimostrazione che il credito è strumentale all’attività illecita del soggetto pericoloso o a quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego, salvo che, una volta dimostrato tale nesso, il creditore non provi di averlo ignorato in buona fede. La buona fede deve sussistere in capo al creditore al momento della costituzione del credito, restando irrilevanti a tale proposito circostanze insorte in un momento successivo che abbiano inciso sulla conoscenza o conoscibilità della strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego. Nell’accertamento della buona fede, il Tribunale deve tenere conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 52, e che pertanto, in caso di mutui ipotecari erogati da aziende di credito, assume particolare rilievo il rispetto della prassi e delle norme in materia di antiriciclaggio. Tali parametri normativi di giudizio non sono né esclusivi, né vincolanti, in quanto il giudice deve considerarli, ma può prenderne in considerazione anche altri non espressamente menzionati dal legislatore e anche disattendere quelli normativamente previsti, purché anche in tal caso fornisca adeguata motivazione. Non basta per l’esclusione del credito che l’erogazione del mutuo non sia conforme ad una corretta gestione bancaria, ma occorre che il mancato rispetto degli obblighi di diligenza cui fa riferimento il comma 3 del citato art. 52 sia sintomatico della mancanza di buona fede. La buona fede deve escludersi non solo quando la banca fosse a conoscenza del nesso di strumentalità all’atto dell’erogazione del credito, ma anche quando l’ignoranza dipenda da colpa, ossia quando avrebbe potuto venire a conoscenza di tale nesso con l’ordinaria diligenza ed in particolare rispettando gli obblighi ai quali viene fatto riferimento nel citato comma 3. L’inosservanza degli obblighi, però, non rileva in quanto tale, ma deve sussistere un nesso di causalità tra il mancato rispetto di detti obblighi e la mancata conoscenza del nesso di strumentalità prima dell’erogazione del credito. L’accertamento dell’esistenza di un nesso eziologico tra la violazione degli obblighi e la mancata conoscenza della strumentalità del credito si impone soprattutto quando il creditore abbia evidenziato, a sostegno della propria buona fede, che intercorre un notevole lasso di tempo tra la erogazione del credito e l’adozione delle misure di prevenzione  (Sez. 5, 12772/2020).

Con riferimento poi all’accertamento del nesso di strumentalità, è condivisibile l’orientamento che richiede come necessaria la verifica della corrispondenza temporale tra l’insorgenza del credito e l’accertata pericolosità sociale del debitore (Sez. 1, 42084/2014), tenendo presente che l’esistenza del nesso ben può presumersi, salva la prova contraria, nell’ipotesi in cui il credito venga erogato entro lo spazio temporale in cui si manifesta ed è attuale la pericolosità sociale del debitore, dovendosi ritenere che la concessione di un mutuo o di un finanziamento sia senz’altro idonea in tal caso ad agevolarne, anche indirettamente, la realizzazione delle attività illecite in conseguenza dell’incremento di disponibilità che deriva dall’erogazione di mezzi finanziari (Sez. 6, 14143/2019).

La nozione di strumentalità del credito, rilevante ai fini dell’art. 52, attiene alla funzionalità alle attività criminose del proposto dell’operazione economica dalla quale scaturisce giuridicamente il diritto di credito fatto valere dal terzo. In giurisprudenza si è fatto riferimento alla oggettiva funzionalità del credito all’attività illecita del prevenuto, anche se l’esistenza di tale nesso di strumentalità può presumersi, salvo prova contraria, in caso di erogazione di disponibilità nel periodo di tempo in cui si manifesta la pericolosità sociale del debitore, ovvero in difetto di allegazione contraria da parte del creditore (Sez. 6, 32524/2015).

In tale pronuncia è stato osservato che «emerge inequivocabilmente dal tenore della su citata disposizione normativa che la condizione di buona fede in tanto è suscettibile di considerazione in quanto si riferisca all’erogazione di crediti che risultano essere stati oggettivamente funzionali (strumentali, dice la norma) all’attività illecita del sottoposto a misura di prevenzione. Mentre caso di assenza di dimostrazione del nesso di strumentalità la suddetta disposizione non consente che il diritto di credito del terzo derivante da atto anteriore al sequestro, e assistito da ipoteca pure iscritta anteriormente, sia pregiudicato dalla confisca, a prescindere dall’atteggiamento soggettivo del creditore (Sez. 1, 42084/2014).

Ai fini della configurabilità del nesso di strumentalità è necessaria, peraltro, la verifica della corrispondenza temporale tra l’insorgenza del credito e l’accertata pericolosità sociale del debitore, tenendo presente che l’esistenza del nesso ben può presumersi, salva la prova contraria, nell’ipotesi in cui il credito venga erogato entro lo spazio temporale in cui si manifesta ed è attuale la pericolosità sociale del debitore, dovendosi ritenere che la concessione di un mutuo o di un finanziamento sia senz’altro idonea in tal caso ad agevolarne, anche indirettamente, la realizzazione delle attività illecite in conseguenza dell’incremento di disponibilità che deriva dall’erogazione di mezzi finanziari. Qualora la prova contraria sia ritenuta insufficiente, ovvero il creditore neppure deduca l’assenza del nesso di strumentalità, così implicitamente ammettendone l’esistenza, la valutazione della sua buona fede va compiuta sulla dei parametri dettati dall’art. 52, comma 3, (ossia, le condizioni delle parti, i rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, il tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché, in caso di enti, alle loro dimensioni). Tuttavia si è già precisato, con riferimento alla disciplina previgente alla novella del 2017, che l’onere della prova dell’assenza di strumentalità non compete al creditore e che non sono consentiti automatismi di trasposizione soggettiva a familiari del proposto. Si è escluso in altri termini che sia stata introdotta una presunzione in danno del creditore, che in tanto può veder riconosciuto il proprio credito, ancorché anteriore, in quanto dimostri, con elementi concreti, la propria buona fede che realizzerebbe una palese compressione dei diritti patrimoniali del privato nonché l’introduzione di una situazione di grave incertezza nei rapporti commerciali e finanziari, che pur avrebbe dovuto portare a dubitare della conformità ai principi fondamentali di una tale disciplina. Infatti la disposizione invocata fissa il principio generale che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le condizioni indicate successivamente. Le condizioni che lasciano impregiudicati i diritti dei terzi creditori attengono principalmente alla certezza del credito, in quanto si è in presenza di una disciplina che tiene conto di come in simili contesti possano risultare sospette le obbligazioni assunte tra privati, possibile manovra di riciclaggio ed occultamento di beni illeciti. Fra tali condizioni assume rilievo quella di cui alla lettera b), ossia che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità. La lettera della norma, peraltro in piena conformità alla sua ragione, a logica ed ai principi in tema di libertà fondamentali nell’ambito del diritto di proprietà e diritto d’impresa, significa chiaramente che i diritti dei terzi creditori non sono pregiudicati, salvo che risulti l’eventuale strumentalità del credito alla attività illecita ovvero la sua funzione di mezzo di riciclaggio. Solo quando tale strumentalità risulti, spetterà al creditore dimostrare l’ignoranza in buona fede di tale nesso di strumentalità. La pronuncia citata non ha mancato di sottolineare il diverso trattamento del credito che sia frutto o reimpiego, non prevedendosi salvezza in questi casi. Inoltre la lettura delle altre condizioni di cui alle lettere c) (nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, si richiede che il creditore provi il rapporto fondamentale) e d) (nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che legittima il suo possesso) dimostra che, ove si è voluto rimettere al creditore la dimostrazione delle condizioni, la legge lo ha detto espressamente, e ciò ben comprensibilmente, perché si è in presenza di quei casi particolari in cui, secondo la legge civile, il creditore è esonerato dalla prova del rapporto sottostante che si presume valido e quindi, quindi, di tipici strumenti di cui si teme l’utilizzo per aggirare le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Nella stessa logica del riparto dell’onere probatorio si colloca la pronuncia della Sez. 1, 39148/2017, secondo la quale in materia di misure di prevenzione patrimoniali, per escludere l’ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro, il tribunale è tenuto a fornire analitica dimostrazione del nesso di strumentalità rispetto all’attività illecita del soggetto pericoloso con riferimento al tipo di operazione commerciale sottostante, non potendo fare ricorso a presunzioni semplici se il credito non deriva da operazioni di finanziamento da parte di istituti di credito (Sez. 5, 10158/2018).

Ai fini della prova della buona fede, l’ente creditizio deve fornire la prova che l’erogazione del finanziamento sia avvenuta sulla base di una approfondita ed autonoma valutazione delle caratteristiche soggettive e patrimoniali dei soggetti coinvolti, con particolare riferimento alla capacità finanziaria e reddituale ed alle condizioni patrimoniali del debitore e dei suoi familiari, nonché alle finalità, alla regolarità amministrativa ed alla sostenibilità finanziaria dell’operazione negoziale sottostante al finanziamento (Sez. 1, 9677/2017).

Il terzo comma dell’art. 52, laddove esemplifica i modi di valutare la buona fede, va interpretato nel senso che, al di fuori dei casi di rapporti particolari e diretti tra le parti, si deve tenere conto del normale svolgimento dei rapporti di obbligazione considerando in particolare la dimensione degli enti interessati, le relative attività ed il rispetto dei comuni obblighi di diligenza, e che con riferimento specifico alle operazioni bancarie la buona fede sarà dimostrata dalla regolare gestione del rapporto nel rispetto della normativa bancaria e della normativa antiriciclaggio (Sez. 6, 36690/2015).

La natura dell’atto di fusione e la conseguente generale confusione dei patrimoni delle due società partecipanti alla fusione – fermo restando il principio secondo cui la prova della ignoranza in buona fede del nesso di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita deve essere fornita con riguardo alla posizione soggettiva sia del cedente che del cessionario (Sez. 6, 39368/2017) – indeboliscono la presunzione di mala fede del cessionario, e devono quindi far ritenere sufficienti, una volta che sia stata ritenuta provata anche la buona fede del cosiddetto cedente, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della buona fede del soggetto subentrante nella titolarità del credito, le allegazioni riferite alla mancanza di rapporti con il soggetto destinatario del provvedimento di prevenzione, il lasso temporale intercorso tra l’insorgenza del credito ed il subentro, la diversità e pluralità dei soggetti dei rapporti contrattuali ceduti (Sez. 6, 14143/2019).

Grava sulla parte proponente la domanda di accertamento del credito ai sensi dell’art. 52 l’onere di provare la fondatezza della domanda nei suoi fatti costitutivi, mentre al giudice compete, quando richiesto dal dibattito processuale e dalla natura delle circostanze da accertare, l’attivazione d’ufficio per l’assunzione di documentazione e informazioni pertinenti presso “autorità’ pubbliche che le detengano” (Sez. 1, 28275/2018).

 

Diritti reali di godimento

Nel procedimento di prevenzione regolato dalla L. 575/1965, il terzo proprietario del bene confiscato, che sia rimasto estraneo al procedimento, è legittimato soltanto a proporre incidente di esecuzione (Sez. 6, 26346/2019).

La fattispecie della confisca del bene indiviso ha ricevuto espressa regolamentazione da parte del legislatore solo nel 2010. L’art. 5, comma 1, DL 4/2010, convertito con modificazioni nella L. 50/240, che ha istituito l’ANBSC, ha introdotto, aggiungendo un periodo al comma 5 dell’art. 2–ter L. 575/1965, la possibilità per i proprietari di “beni immobili sequestrati in quota indivisa” di intervenire nel procedimento di confisca e di ottenere, con il provvedimento di confisca, un indennizzo. Più compiuta è la regolamentazione dettata dall’art. 52, commi 7 e 8, secondo cui (comma 7) “in caso di confisca di beni in comunione, se il bene è indivisibile, ai partecipanti in buona fede è concesso diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato, salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto, di taluna delle associazioni di cui all’art. 416–bis c.p. o dei suoi appartenenti; ove poi (comma 8) non sia esercitato il diritto di prelazione “o non si possa procedere alla vendita, il bene può essere acquisito per intero al patrimonio dello Stato al fine di soddisfare un concreto interesse pubblico e i partecipanti hanno diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della propria quota di proprietà, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente”. Le regole introdotte a partire dal 2010 non trovano applicazione al caso di specie: lo escludono per il DL 4/2010 la disciplina transitoria di cui all’art. 7, comma 3 del decreto e, per il D. Lgs. 159/2011, la disciplina transitoria ex art. 117, comma 1 (“le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto [13 ottobre 2011], sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione; in tali casi continuano ad applicarsi le norme previgenti”), disciplina transitoria che (in mancanza di una diversa regola ad hoc) vale anche per le modificazioni introdotte con il DL 113/2018 (convertito con modificazioni dalla L. 132/2018), d’altro canto intervenuto successivamente alla deliberazione in camera di consiglio della presente pronuncia. Ciò significa che la fattispecie in esame va letta alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza prima della entrata in vigore, in particolare, del D. Lgs. 159/2011. Preliminarmente va precisato che è precluso a questo Collegio l’esame della questione circa l’attribuzione della causa al giudice civile ovvero a quello penale. La decisione del Tribunale di primo grado, che aveva respinto l’eccezione formulata in primo grado dall’Agenzia del demanio, non è stata censurata in appello dall’Agenzia, che non ha riproposto l’eccezione e si è limitata a chiedere il rigetto dell’impugnazione di Ammutinato, così che l’esame della questione, coperta da giudicato interno, è precluso a questa Corte. Principio affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità è quello secondo cui la condizione di comproprietà di un bene non osta all’ammissibilità della confisca della quota del bene, che sia in comune al terzo e al soggetto sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale, sostituendosi a quest’ultimo lo Stato quale comproprietario del bene, con il terzo comproprietario che non è privo di tutela, ma può fare valere le sue ragioni. Nel caso di bene in comproprietà indivisa, infatti, il “diritto di proprietà del terzo non è intaccato dal provvedimento ablativo sotto alcun profilo, né è configurabile un pregiudizio patrimoniale o di altra natura ricollegabile alla titolarità in capo allo Stato, piuttosto che a un congiunto o ad altro privato, di porzione indivisa dello stesso cespite” (così Cass. pen. 28751/2018, in relazione alla confisca di un’area utilizzata quale discarica abusiva di rifiuti pericolosi); la diversa identità del comproprietario che si determina per effetto della misura – conclude la medesima pronuncia – “non comporta alcuna compressione dell’altrui titolarità del diritto pro quota del bene”. Né al riguardo rileva il carattere originario e non più derivativo (come si riteneva in precedenza) dell’acquisto della proprietà mediante confisca antimafia – carattere originario dell’acquisto che è esso sì applicabile anche alle misure disposte prima del 13 ottobre 2011 (v. Cass. 12586/2017, seguendo SU, 10532/2013) – in quanto riguarda solo una quota e non l’intero bene, senza che sia di ostacolo alla comunione il carattere originario dell’acquisto di una quota e derivativo di quello di un’altra. La mancata compressione del diritto del terzo comproprietario del bene comporta che questi possa ottenere la trasformazione della sua quota in porzione del bene mediante il procedimento di scioglimento della comunione, secondo le norme comuni (cfr. ancora Cass. pen., 28751/2018, per la quale va “demandato alla fase esecutiva il compimento delle attività necessarie per l’individuazione della quota anche mediante divisione”). D’altro canto quando nel 2011 il legislatore ha regolato la confisca della quota del bene in comunione, si è occupato unicamente dell’ipotesi dell’indivisibilità del bene oggetto di comunione (cfr. il sopra riportato comma 7 dell’art. 52, nonché il comma 7–ter dell’art. 48 introdotto dal DL 113/2018, che parla di “divisione del bene”), così che se ne desume, a contrariis, che se il bene è divisibile (id est, frazionabile in natura), si applicano le norme del codice civile e del codice di procedura civile sulla divisione (sull’autonomia della procedura volta “alla individuazione dei terzi titolari di un diritto sui beni oggetto della misura di prevenzione meritevoli di tutela e destinati ad essere in tutto o in parte soddisfatti”, procedura governata, ove non sia diversamente disposto, da principi mutuati dal diritto civile” v. Cass. pen., 1402/2017).

L’iniziativa del dante causa dei ricorrenti, partecipante privato alla comunione, di chiedere la divisione era pertanto legittima e compito del giudice adito era quello di verificare la divisibilità in natura del bene e, in caso positivo, di provvedere di conseguenza. Qualora il bene non sia frazionabile in natura ovvero si tratti di cosa che, se frazionata, cesserebbe di servire all’uso cui è destinata (art. 1112 CC), la divisione non può essere disposta. Al riguardo il ricorrente ha chiesto, sin dal primo grado, che in caso di indivisibilità del bene, questo gli sia “assegnato”. L’attribuzione dell’intero bene viene, necessariamente, a incidere sulla quota del bene confiscato e sulla destinazione del medesimo a servizio del pubblico interesse. Come si è supra precisato, le disposizioni applicabili al caso in esame non prevedono la possibilità di scioglimento della comunione mediante vendita del bene. Tale possibilità è invece contemplata dai commi 7 e 8 dell’art. 52, che dispongono lo scioglimento secondo forme pubblicistiche, mediante prelazione in favore del “partecipante in buona fede”, vendita o acquisizione al patrimonio dello Stato, in base a un procedimento (come si ricava dal rinvio che il comma 7 opera all’art. 48, comma 5, sesto e settimo periodo) d’evidenza pubblica per il quale è competente l’ANBSC. Neppure è prevista la possibilità di attribuire l’intero bene al terzo comproprietario, possibilità che, assente nel D. Lgs. 159/2011, è stata inserita dal DL 113/2018. L’art. 48, comma 7–ter, dispone che, qualora il bene risulti indivisibile, il partecipante in buona fede può “chiedere l’assegnazione dell’immobile, previa corresponsione del conguaglio dovuto, […] in conformità al valore determinato dal perito nominato dal tribunale”; ove l’assegnazione non sia chiesta, “si fa luogo alla vendita a cura dell’Agenzia [..] o, in alternativa, all’acquisizione del bene per intero al patrimonio dello Stato”. Si tratta di stabilire se queste modalità di scioglimento della comunione possano essere disposte dal giudice adito sulla base dell’interpretazione delle norme applicabili al caso in esame. La risposta è negativa per la vendita del bene, vendita che il legislatore, quando l’ha disciplinata, ha voluto che avvenga in forme pubblicistiche e a cura dell’ANBSC (art. 48, comma 5) e che non può essere disposta nelle forme comuni (è vero che, secondo le disposizioni applicabili alla fattispecie – art. 2–undecies della L. 575/1965, nella stesura di cui alla L. 512/1999 – è configurabile la vendita del bene confiscato, ma solo eccezionalmente, ove la stessa sia “finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso”). La risposta è invece positiva per l’attribuzione dell’immobile. Considerato che, come si è supra detto, è configurabile, in base alle norme applicabili e all’interpretazione ad esse data dalla giurisprudenza di legittimità, la confisca della quota del bene in comunione, che tale confisca non comprime il diritto del terzo, terzo al quale va riconosciuta la medesima tutela accordata a chi vanta diritti nei confronti del bene oggetto di confisca, che tale tutela trova la sua base giustificativa nella “situazione di buona fede e di affidamento incolpevole” (SU, 10532/2013, si veda pure Corte costituzionale, 1/1997), è possibile l’attribuzione del bene, previa determinazione del suo valore, ai ricorrenti ove il giudice di merito ne accerti la buona fede (Sez. 2 civile, 29862/2019).

 

Diritti reali di garanzia

I creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all’esito dei procedimenti per il quali non si applica la disciplina del D. Lgs. 159/2011, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dall’art. 1, comma 199, L. 228/2012, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all’art. 1, comma 206, della stessa legge, in quanto il termine di decadenza decorre indipendentemente dalle predette comunicazioni. L’applicazione di detto termine è, comunque, subordinata all’effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui è stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca ed è, in ogni caso, fatta salva la possibilità per il creditore di essere restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile (SU, 39608/2018).

Quel che pare anche avere avuto soluzione è la natura dell’acquisto del bene confiscato da parte dello Stato che, a seguito dell’estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca acquista un bene non più a titolo derivativo, ma libero dai pesi e dagli oneri, pur iscritti o trascritti anteriormente alla misura di prevenzione. In sostanza, superando la condivisa opinione della giurisprudenza civile e penale sulla natura derivativa del titolo di acquisto del bene immobile da parte dello Stato a seguito della confisca, il legislatore ha inteso ricomprendere questa misura nel solco delle cause di estinzione dell’ipoteca disciplinate dall’art. 2878 c.c. Alla stregua di tale normativa, dunque, in ogni caso, la confisca prevarrà sull’ipoteca. La salvaguardia del preminente interesse pubblico, dunque, giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso, ora, ad una tutela di tipo risarcitorio (SU civili, 10532/2013).

Contro il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione delibera su una richiesta di ammissione al pagamento del credito in favore del terzo titolare di una garanzia reale su un bene oggetto di confisca di prevenzione, può essere proposto ricorso per cassazione non solo per violazione di legge, ma anche per tutti i motivi previsti dall’art. 606, comma 1, CPP, compresi quelli relativi alla motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6, 44784/2015).

Ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia reale sul bene oggetto del provvedimento di confisca di prevenzione, non è sufficiente che l’ipoteca sia stata costituita mediante iscrizione nei registri immobiliari prima del sequestro e del provvedimento ablativo, ma è richiesta l’inderogabile condizione della buona fede e dell’affidamento incolpevole del creditore ipotecario, da desumersi sulla base di elementi – in particolare su una situazione di oggettiva apparenza – che rendano scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza, di cui spetta allo stesso fornire la dimostrazione (Sez. 5, 6449/2015).

La buona fede del terzo creditore, che vanta sul bene un diritto di garanzia reale sorto antecedentemente al provvedimento di confisca, è configurabile soltanto nel caso in cui, avendo riguardo alla particolare attività svolta dal medesimo, risulti dimostrata: A) l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa; B) l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto; C) un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto. Per accertare la strumentalità del credito all’attività illecita, costituisce, invece, un indice di assenza di buona fede e integra una condotta negligente, per inosservanza degli obblighi di informazione derivanti dalla legge o da norme di comune prudenza, l’erogazione di un finanziamento per un importo manifestamente eccessivo rispetto al reddito dichiarato, anche se le garanzie siano congrue, poiché tale dato, contribuendo a qualificare l’operazione bancaria come certamente vantaggiosa e garantita per l’Istituto sotto il profilo economico, non realizza gli interessi del beneficiario, determinando a suo carico un debito eccessivo rispetto alla soglia di sostenibilità; l’erogazione di somme di danaro a soggetto privo di redditi leciti accertati; il finanziamento di un soggetto dalla evidente opacità, desumibile da indici indicatori quali l’improvvisa importanza dei mutui successivamente contratti o l’inusitato accumulo immobiliare registratosi in capo a stretti familiari, pur a fronte di redditi tali da non giustificare tali operazioni, specie quando tali indici emergano in contesti locali di non rilevanti dimensioni o riguardino soggetti da tempo in rapporti con l’istituto bancario, sì che non può dirsi realizzata in stato di buona fede l’operazione bancaria, certamente vantaggiosa e garantita per l’istituto sotto il profilo economico, effettuata nella consapevolezza della personalità opaca del contraente. In definitiva, si versa in una situazione di assenza di buona fede quando, in base a elementi oggettivi, l’istituto contraente può rappresentarsi l’alto rischio di collisione del privato interesse della banca con il prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminale. Situazione che si realizza nel caso in cui venga concesso il mutuo fondiario nella consapevolezza che il soggetto destinatario è diverso da quello apparente o la garanzia fornita sia in contrasto con la direttiva europea in materia di antiriciclaggio (Sez. 1, 41941/2018).

Ai fini dell’ammissione del credito garantito da ipoteca iscritta, anteriormente al sequestro, su un bene sottoposto a confisca, una volta dimostrato il nesso di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del prevenuto, è necessario che il creditore dia prova della propria buona fede, dimostrando, con riferimento al momento della stipula del contratto, l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa e un errore scusabile sulla situazione apparente del debitore (Sez. 6, 25505/2017).

Ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia del terzo sul bene oggetto di confisca, è richiesta l’inderogabile condizione della sua buona fede, ravvisabile nel caso in cui, avuto riguardo alla attività svolta dal medesimo, risulti dimostrata: a) l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa; b) l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto; c) un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto (Sez. 6, 2334/2015).

In tema di onere della prova della buona fede, l’anteriorità dell’iscrizione ipotecaria rispetto alla trascrizione del sequestro non è pacificamente sufficiente, perché la valutazione della buona fede va compiuta sulla base dei parametri dettati dall’art. 52, comma 3 (ossia, le condizioni delle parti, i rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, il tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale). Il creditore, al fine di dimostrare la propria buona fede in ordine alla strumentalità del credito all’attività criminale, deve fornire la prova non solo della mancanza di collusione nell’attività illecita, ma anche dell’inconsapevolezza con riguardo a tale strumentalità e dell’errore scusabile sulla situazione apparente del debitore (Sez. 6, 14143/2019).

L’onere della prova della buona fede del cessionario nel momento del subentro nel credito, sebbene non possa ritenersi ostacolato per effetto dell’anteriorità della trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, tuttavia non può neppure ritenersi soddisfatto ove non sia stata provata la buona fede in capo al creditore originario anche all’epoca della costituzione del credito (SU, 29847/2018).

In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l’ammissibilità della ragione creditoria, né determina automaticamente uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la propria buona fede (SU, 29847/2018).

In tema di cessione del credito, immedesimandosi il soggetto incorporante con il soggetto incorporato, deve valere la prova della buona fede con riguardo al momento dell’erogazione del credito, e quindi la insufficienza dell’anteriorità dell’iscrizione ipotecaria e la necessità di dimostrare che la procedura di finanziamento fosse avvenuta ab origine in modo regolare. La conseguenza della ricostruzione dei rapporti fra il creditore originario ed il creditore cessionario nei termini della successione di quest’ultimo nella stessa posizione creditoria del primo, comporta che, oltre al presupposto dell’anteriorità al sequestro, anche la condizione della buona fede del creditore sull’assenza di strumentalità all’attività illecita deve sussistere all’epoca della costituzione del credito e in capo al creditore originario. Quindi il creditore cessionario è chiamato a provare, ai fini dell’ammissione del credito, la sussistenza originaria del requisito della buona fede, oltre alla buona fede propria sotto il profilo, segnalato dalla giurisprudenza di legittimità, della mancanza di accordi fraudolenti con il proposto (Sez. 1, 57848/2017).

La buona fede deve essere esclusa allorché vi sia sproporzione tra redditi dichiarati e il valore degli immobili acquisiti e concessi in garanzia, senza alcuna valutazione del merito del credito, in concreto utilizzato per mimetizzare l’illecita provenienza delle risorse e l’esercizio di attività illecite (Sez. 6, 7136/2016).

 

Diritti di credito

La separazione dei beni assoggettati a sequestro o confisca di prevenzione produce l’effetto dell’ineludibile devoluzione della verifica dei relativi crediti e diritti in capo al giudice delegato del tribunale di prevenzione, nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 52 e ss., anche a costo della duplicazione dell’attività del GD del tribunale fallimentare, con la conseguenza (ovviamente in relazione al solo caso di sequestro successivo) che, se sono pendenti giudizi di impugnazione ex art. 98 l. fall. con riferimento ai crediti e ai diritti inerenti ai rapporti oggetto del sequestro di prevenzione, a prevalere è l’accertamento endo-prevenzionale, disponendo l’art. 64, comma 4, l. fall. che “il tribunale fallimentare [deve] sospende[re] il giudizio sino all’esito del procedimento di prevenzione” (Sez. 1, 24311/2022).

La decisione SU, 39608/2018, approfondendo in motivazione la questione della rimessione in termini del creditore, chiarisce che il rimedio è utilmente azionabile, ai sensi dell’art. 175, comma 1, CPP, solo nel caso in cui il creditore dimostri che, nonostante le informazioni in suo possesso, non ha potuto proporre domanda tempestiva per causa a lui non imputabile. Escluso che in tale nozione rientri l’omessa o tardiva comunicazione di cui all’art. 1, comma 206, L. 228/2012, le Sezioni unite hanno aggiunto che il presupposto dell’istituto può essere ravvisato quanto, nonostante la conoscenza del procedimento, il terzo interessato non è venuto a conoscenza dell’esito dello stesso e non ha comunque conosciuto del provvedimento definitivo di confisca per ragione non imputabile a suo difetto di diligenza. Da queste conclusioni delle Sezioni unite discende: a) che, ai fini della decorrenza del termine di decadenza, è sufficiente la conoscenza del procedimento e non necessariamente del provvedimento; b) che la mancanza di prova della conoscenza del provvedimento definitivo di confisca non esclude la decorrenza del termine, ma pone il problema, costituente proprio l’oggetto della richiesta di restituzione nel termine, della imputabilità al ricorrente di tale situazione (Sez. 5, 28342/2019).

Il sistema procedurale delle misure di prevenzione conosce una pluralità di procedimenti tipizzati, successivi al giudicato, fra i quali quello avente ad oggetto le domande di tutela del credito inciso da confisca, di cui alla L. 228/2012. Tuttavia, pur non potendosi negare l’affermazione del generale principio per cui la competenza esecutiva, intesa come titolarità del potere/dovere di regolamentare eventuali questioni interpretative del giudicato che incidano su diritti soggettivi è da riconoscersi anche nel sistema della prevenzione – in quanto attributo coessenziale alla funzione giurisdizionale – non può – al contempo – riconoscersi l’applicabilità al settore tipico della prevenzione delle singole disposizioni procedimentali contenute nel codice di rito penale in tema di esecuzione, posto che il rinvio alle previsioni di cui all’art. 666 CPP (in quanto compatibili) è dettato dal legislatore del Codice antimafia per la fase della cognizione (art. 7, comma 9) e non riguarda, pertanto, la fase esecutiva (Sez. 1, 40765/2018).

 

…Diritti di credito vantati da banche

Con specifico riferimento ad ipotesi in cui il creditore ricorrente è un istituto di credito, si è condivisibilmente affermato che: – «la buona fede assume rilievo nel caso di specie non tanto in funzione dell’affidabilità di un determinato soggetto a far fronte al proprio debito, ma nel quadro di un giudizio di meritevolezza del perdurante riconoscimento di un credito, pur originato da causali implicanti il coinvolgimento in affari di criminalità. Di qui la necessità di un riscontro ex post della mancanza di elementi tali da far ritenere illo tempore concretamente plausibile agli occhi del creditore quel nesso di strumentalità» (Sez. 6, 25505/2017); – «gli operatori bancari esperti nelle norme e negli usi bancari nonché nella normativa in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un livello di diligenza piuttosto elevato, essendo tenuti a verificare l’affidabilità di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta e l’esame di tutta la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca, oneri che si sono rafforzati dopo l’entrata in vigore della Legge n.346/1986, cd. Rognoni–La Torre» (Sez. 6, 50018/2015); – «la buona fede non può che consistere nella regolarità delle attività di istruzione della pratica secondo le comuni regole e prassi bancarie nonché rispetto della normativa antiriciclaggio» (Sez. 6, 36690/2015); – «non può dirsi realizzata in buona fede un’operazione bancaria certamente vantaggiosa e garantita per l’Istituto sotto il profilo economico (oltre che resa in esito alle procedure a tal fine previste), ma effettuata nella consapevolezza della evidente opacità del contraente e, in definitiva, dell’alto rischio di collusione del privato interesse della banca con il prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminale e mafiosa» (Sez. 6, 32524/2015) (riassunzione dovuta a Sez. 2, 13521/2018).

 

Linee guida, circolari e prassi

CNDCEC, “La riforma del codice antimafia: le problematiche applicative e il ruolo del professionista post–riforma”, marzo 2018, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf

FNC, “La riforma del d. lgs. n. 159 del 2011.Antimafia, corruzione e nuovi mezzi di contrasto”, 5 dicembre 2017, reperibile al seguente link: https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/inf–per/informativa–periodica_20171205.pdf

FNC, “La tutela dei terzi nella legislazione antimafia”, 29 febbraio 2016, reperibile al seguente link: http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/filemanager/active/0976/2016.02.29_la_tutela_dei_terzi_D_AMORE.pdf?fid=976

CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati”, ottobre 2015, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929

https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf