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Art. 53 - Limite della garanzia patrimoniale (1)

1. I crediti per titolo anteriore al sequestro, verificati ai sensi delle disposizioni di cui al capo II, sono soddisfatti dallo Stato nel limite del 60 per cento del valore dei beni sequestrati o confiscati, risultante dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi, al netto delle spese del procedimento di confisca nonché di amministrazione dei beni sequestrati e di quelle sostenute nel procedimento di cui agli articoli da 57 a 61.

(1) Articolo modificato dall’ art. 1, comma 443, lett. b), L. 147/2013, e, successivamente, così sostituito dall’ art. 20, comma 2, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 (sull’assunto che invertirebbe ingiustificatamente l’onere della prova, ponendo il creditore di un bene confiscato, soggetto del tutto estraneo ad ogni attività illecita, in condizione di irragionevole disuguaglianza rispetto al creditore di un bene non confiscato.) è manifestamente infondata.

È  stato infatti, al riguardo, opportunamente chiarito, in giurisprudenza, che, ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia reale sul bene oggetto del provvedimento di confisca di prevenzione, non è sufficiente che l’ipoteca sia stata costituita, mediante iscrizione nei registri immobiliari, prima del sequestro e del provvedimento ablativo, ma è richiesta l’inderogabile condizione della buona fede e dell’affidamento incolpevole del creditore ipotecario, da desumersi sulla base di elementi – in particolare di una situazione di oggettiva apparenza – che rendano scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza, di cui spetta al creditore fornire la dimostrazione (Sez, 5, 6449/2015).

Attraverso tale assetto normativo, il legislatore ha contemperato le esigenze di salvaguardia delle ragioni creditorie con l’interesse pubblicistico al contrasto della criminalità e alla prevenzione della commissione di ulteriori reati mediante accumulo patrimoniale, che si esplica anche attraverso la neutralizzazione del rischio che l’azione di contrasto patrimoniale sia resa inefficace dal ricorso al finanziamento bancario.

Trattasi di un’opzione legislativa non irragionevole e pienamente rientrante nella discrezionalità del legislatore, anche per quanto riguarda il regime della prova, onde non è ravvisabile alcun vulnus ai parametri costituzionali, tanto più che il giudice che intenda respingere l’istanza di ammissione è tenuto a fornire adeguata motivazione sulle ragioni per le quali gli elementi forniti debbano ritenersi insufficienti (Sez. 6, 50265/2015).

Appare opportuno svolgere una breve premessa circa il rapporto esistente tra la «formalizzazione normativa» dei criteri di riconoscimento giuridico della tutelabilità del credito in ipotesi di confisca di beni già oggetto di ipoteca volontaria (art. 52) e gli orientamenti giurisprudenziali maturati in costanza della L. 575/1965 (e successive modificazioni).

Va rilevato che, sul tema in questione, vi è stata – nel corso del tempo – ampia stratificazione giurisprudenziale, stante la necessità di contemperare due posizioni teoriche tra loro apparentemente inconciliabili : da un lato, la natura della confisca «speciale» prevista dalla normativa antimafia (ritenuta, in prevalenza, come modo di acquisto della proprietà a titolo originario in capo allo Stato), dall’altro, la tutela del diritto di credito assistito da garanzia reale sulla res confiscata, con sacrificio della condizione di un terzo potenzialmente estraneo alla attività illecita.

L’evoluzione giurisprudenziale ha portato, col tempo, a ritenere che la devoluzione del bene alla mano pubblica non comporta, di per sé, la totale «cancellazione» della storia del bene medesimo, né comporta l’automatica estinzione dei diritti dei terzi gravanti sull’oggetto, a condizione che il terzo, pur se creditore garantito da ipoteca, dimostri in concreto la sua posizione di «buona fede» e di «affidamento incolpevole» nei momenti essenziali della intervenuta contrattazione civilistica.

Sin dalla nota decisione SU, 9/1999, si è affermato, infatti, che il sacrificio dei diritti vantati da terzi su res oggetto di confisca non può essere ritenuto conforme ai principi generali dell’ordinamento lì dove il terzo sia da ritenersi «estraneo» alla condotta illecita altrui (l’orientamento è ribadito, tra le molte, da Sez. 1, 34039/2014). Si è, altresì, precisato che l’essere la confisca un modo «autoritativo» di acquisto del diritto di proprietà non comporta che il trasferimento stesso possa avere un contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare del bene, lì dove insistano diritti – non estinti – di terzi estranei.

Ciò che rileva è, pertanto, l’attenta qualificazione della particolare condizione fattuale e giuridica del terzo che deve connotarsi – per evitare di ricadere nella condizione di soggetto colpevolmente avvantaggiato dall’altrui azione illecita – in termini di buona fede, intesa come non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dall’attività illecita commessa dal soggetto poi espropriato dei beni a seguito della procedura di prevenzione.

Si condivide – in proposito – l’orientamento espresso – tra le molte – da Sez. 1, 30326/2011, circa l’identificazione delle condizioni che portano al riconoscimento del diritto del terzo «estraneo all’illecito», nel senso che va di certo esclusa un’accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessità di un atteggiamento doloso del terzo, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la posizione soggettiva del detto terzo come necessaria adesione consapevole e volontaria alla altrui attività illecita.

Per rendersi conto della insostenibilità di una simile tesi basta considerare che rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento, che trascende la ripartizione tra diritto civile e diritto penale, quello per cui la nozione di colpevolezza o di volontà colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e che, conseguentemente, un comportamento non può classificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo (vale a dire, dalla consapevolezza e dalla volontà della condotta e dell’evento), ma anche quando tale consapevolezza e tale volontà siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto ad imprudenza, negligenza e imperizia: sicché, non può parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l’uso della «ordinaria diligenza e prudenza».

In buona sostanza, deve ritenersi esistente un nesso di alternatività e di reciproca esclusione tra buona fede e affidamento incolpevole, da un canto, e addebitabilità della mancata conoscenza dovuta a colpa, dall’altro, di guisa che l’esistenza dell’un requisito deve reputarsi incompatibile con l’altro: con l’ulteriore conseguenza che non può certamente ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre «conoscibile», se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitabile a condotta colposa. In altre parole, per ottenere il riconoscimento del suo diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, è da ritenersi che il soggetto terzo debba allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua estraneità all’illecito pregresso (intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell’attività illecita realizzata all’epoca dal contraente poi sottoposto ad ablazione), ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza – da rapportarsi al caso in esame – teso ad escludere rimproverabilità di tipo colposo.

Tale assetto risulta sostanzialmente recepito nella articolata disciplina introdotta dal D. Lgs. 159/2011, ove si è formalizzato un vero e proprio subprocedimento (art. 52 e ss.) teso a regolamentare ì criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede, a determinare le condizioni di accesso al riconoscimento di detti crediti, con soddisfazione concessa nei limiti del 70% del valore dei beni sequestrati o confiscati (risultante dalla stima redatta dall’amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita, art. 53), a tutelare la par condicio creditorum (art. 57 e ss.), ad estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante (art. 55), solo per segnalarne alcuni punti qualificanti.

Si tratta di una disciplina particolarmente articolata, mossa dalla esigenza primaria di qualificare in diritto le modalità di acquisto al patrimonio dello Stato dei beni confiscati in via definitiva (a titolo originario, come viene espresso nell’art. 45 del decreto citato), al contempo fornendo tutela ai creditori ante–sequestro di accertata buona fede (siano essi assistiti o meno da diritti reali di garanzia) e ciò allo scopo di ridurre le incertezze manifestatesi in passato sul tema e rendere omogenei e prevedibili nei loro esiti i contenziosi, di notevole impatto economico.

L’opzione legislativa di fondo è del tutto chiara: l’estinzione di diritto delle garanzie reali (all’atto della confisca) in tanto è possibile in quanto venga contestualmente fornita al titolare del diritto di credito una adeguata tutela delle sue ragioni. Si tratta di due facce della stessa medaglia, che portano a compimento la lunga elaborazione concettuale di dottrina e giurisprudenza sul tema.

Tale disciplina risulta – in modo incontroverso – applicabile al caso in esame in virtù dell’espresso rinvio operato dal comma 200 dell’art. 1 della L. 228/2012 all’art. 52. Quanto alla descrizione del contenuto normativo, può affermarsi che la formalizzazione dei criteri di riconoscibilità della buona fede del creditore (al di là della costituzione del diritto reale di garanzia in epoca anteriore al sequestro, si richiede che il credito non sia strumentale all’attività illecita – o a quella che ne costituisce frutto o reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità) realizza una sostanziale continuità con l’elaborazione giurisprudenziale antecedente alla entrata in vigore del D. Lgs. 159/2011, come si è detto espressa da SU, 9/1999 in poi, e come è stato ben precisato dalle SU civili, 10532/2013.

Nessun rilievo – in particolare – può darsi al fatto che il presupposto della “buona fede’ (o l’affidamento incolpevole all’atto della conclusione del contratto) sia stato, sino alla emanazione del D. Lgs. 159/2011, ritenuto quale condizione di «mantenimento» del diritto di credito originario e della correlata garanzia reale, in una visione che, nel più avveduto approccio sul tema, tendeva a privilegiare la natura derivativa dell’acquisto del bene da parte dello Stato, mentre, in virtù di quanto previsto dall’art. 45, l’acquisizione al patrimonio dello Stato del bene oggetto di confisca è oggi espressamente qualificata come a titolo originario, posto che è la stessa normativa sopravvenuta a recepire la necessità di contestuale tutela dei diritti dei terzi in buona fede assegnando agli stessi lo strumento risarcitorio – in tal caso – della ammissione del credito al pagamento nei confronti dell’erario.

Il riconoscimento della «estraneità del credito» a nessi funzionali di strumentalità con l’attività illecita – cui è equiparata la prova della ignoranza «in buona fede» di tale strumentalità (ex art. 52 co.1 lett. b) – altro non rappresenta, pertanto, che la formalizzazione normativa della pregressa elaborazione giurisprudenziale per cui la «estraneità» del terzo alla condotta illecita altrui segna il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie, con contestuale riconoscimento di azionabilità della pretesa nei confronti dello Stato, qui con il limite di «capienza» di cui all’art. 53.

E la successiva norma di cui al comma 3 dell’art. 52 (nella valutazione della buona fede il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché in caso di enti alle dimensioni degli stessi) non fa altro che esporre le opportune linee guida in punto di modalità della verifica (norma che orienta il giudice nell’esercizio dei poteri ricostruttivi), riprendendo ancora una volta i contenuti del fondamentale insegnamento rappresentato da SU, 9/1999, nel cui ambito si era ampiamente evidenziata la necessità di evitare approcci generalizzanti, affermandosi che al giudice spetta il compito di valutare l’uso della diligenza richiesta dalla «situazione concreta» in riferimento a quanto allegato dall’istante (Sez. 1, 24713/2015).

 

Linee guida, circolari e prassi

CNDCEC, “La riforma del codice antimafia: le problematiche applicative e il ruolo del professionista post–riforma”, marzo 2018, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf

FNC, “La riforma del d. lgs. n. 159 del 2011.Antimafia, corruzione e nuovi mezzi di contrasto”, 5 dicembre 2017, reperibile al seguente link: https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/inf–per/informativa–periodica_20171205.pdf

FNC, “La tutela dei terzi nella legislazione antimafia”, 29 febbraio 2016, reperibile al seguente link: http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/filemanager/active/0976/2016.02.29_la_tutela_dei_terzi_D_AMORE.pdf?fid=976

CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati”, ottobre 2015, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929

https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf