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Art. 45 - Confisca definitiva. Devoluzione allo Stato

1. A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da

oneri e pesi. La tutela dei diritti dei terzi è garantita entro i limiti e nelle forme di cui al titolo IV.

2. Il provvedimento definitivo di confisca è comunicato, dalla cancelleria dell’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento, all’Agenzia, nonché al prefetto e all’ufficio dell’Agenzia del demanio competenti per territorio in relazione al luogo ove si trovano i beni o ha sede l’azienda confiscata.

Rassegna di giurisprudenza

Natura della confisca di prevenzione

La confisca disposta ai sensi dell’art. 2–ter L. 575/1965, non è di per sé provvedimento di prevenzione in senso stretto, ma piuttosto sanzione amministrativa di carattere ablatorio, equiparabile alla misura di sicurezza prescritta dall’art. 240, comma 2, CP, ciò che fa ad essa conseguire l’istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato bene che ne costituisce l’oggetto (SU, 57/2007).

Quel che pare anche avere avuto soluzione è la natura dell’acquisto del bene confiscato da parte dello Stato che, a seguito dell’estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca acquista un bene non più a titolo derivativo, ma libero dai pesi e dagli oneri, pur iscritti o trascritti anteriormente alla misura di prevenzione. In sostanza, superando la condivisa opinione della giurisprudenza civile e penale sulla natura derivativa del titolo di acquisto del bene immobile da parte dello Stato a seguito della confisca, il legislatore ha inteso ricomprendere questa misura nel solco delle cause di estinzione dell’ipoteca disciplinate dall’art. 2878 c.c.

Alla stregua di tale normativa, dunque, in ogni caso, la confisca prevarrà sull’ipoteca. La salvaguardia del preminente interesse pubblico, dunque, giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso, ora, ad una tutela di tipo risarcitorio (SU civili, 10532/2013).

L’acquisto, da parte dello Stato, di un bene sottoposto alla misura di prevenzione della confisca di cui alla L. 575/1965  ha, dopo l’entrata in vigore della L. 228/2012, natura originaria (e non derivativa) e – poiché tale nuova disciplina è applicabile a tutte le misure di prevenzione disposte prima del 13 ottobre 2011, ex art. 1, comma 194, della L. 228 – la stessa, in base al principio “tempus regit actum”, trova immediata applicazione, quale “ius superveniens”, anche nei giudizi in corso, con conseguente inapplicabilità dell’art. 111 CPC (essendosi al di fuori del fenomeno della successione a titolo particolare nel diritto controverso) ed esclusione, per il prevenuto il cui immobile sia stato confiscato, della possibilità di continuare ad esercitare, come sostituto processuale dello Stato, le azioni a tutela del diritto di proprietà (Sez. 6 civile, 12586/2017; SU civili, 10532/2013) (Sez. 6 civile, 5003/2018).

 

Conformità alla Costituzione della normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniali

La generale questione della conformità della normativa italiana in materia di misure di prevenzione (anche patrimoniali) ai principi comunitari ed alla Carta Costituzionale è già stata risolta in senso positivo sia dalla Corte EDU che dal Giudice delle leggi e non v’è ragione alcuna per sottoporla anche alla CGUE atteso che l’art. 17 della Carta di Nizza (CDFUE) disponendo che “Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente” e che “Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge ...” di fatto enuncia principi coincidenti con quelli di cui all’art. 42 della Costituzione e conformi ai principi generali della Convenzione EDU.

È appena il caso di evidenziare che l’art. 17 CDFUE fa riferimento al diritto di godere della proprietà dei beni acquisiti “legalmente”, mentre quelli oggetto della confisca di prevenzione sono beni che, al ricorrere di certe condizioni, si ha ragione di ritenere che siano stati acquisiti “illegalmente”.

Ancora, è pacifico che sussiste un “pubblico interesse” a privare i soggetti ritenuti pericolosi dei beni che si ritengono oggetto di illecita accumulazione e che le regole e le condizioni in base alle quali si può procedere all’ablazione dei beni sono effettivamente “previste dalla legge” (nella specie il Decreto 159/2011 che ha sostituito la L. 1423/1956 e le altre disposizioni in materia).

Del tutto inconferente è, poi, l’osservazione difensiva relativa al fatto che le pronunce della Corte EDU che hanno riconosciuto validità ed assenza di contrasto tra la normativa comunitaria e la normativa italiana in materia di misure di prevenzione, hanno avuto principale riguardo ai profili della c.d. “pericolosità qualificata”, ritenendo che proprio in un settore nel quale è più forte l’interesse dello Stato a contrastare le attività della criminalità organizzata è, in un certo senso, possibile comprimere le esigenze difensive procedendo ad una inversione dell’onere della prova e prevedere forme di aggressione ai patrimoni illeciti sulla base non di prove ma di presunzioni qualificate.

In realtà non v’è chi non veda come l’interesse pubblico ricorre anche nell’aggressione ai patrimoni dei c.d. “pericolosi generici” e ciò di fatto ha trovato conferma in una recentissima pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 24/2019) che si è anche occupata della questione della determinatezza della normativa in materia, atteso che l’art. 16 fa richiamo, quanto all’individuazione dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, ai “soggetti di cui all’art. 4” e quest’ultimo fa, a sua volta, richiamo non solo ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’art. 416–bis CP od indiziati di aver commesso altri reati comunque legati a vicende di criminalità organizzata (art. 4, comma 1, lett. a e b) ma anche a quelli “di cui all’art. 1, lett. a) e b)”, cioè ai c.d. “pericolosi generici”.

Al riguardo, infatti, il Giudice delle leggi, occupandosi delle questioni di costituzionalità delle fattispecie astratte previste dai numeri 1) e 2) dell’art. 1 L. 1423/1956, poi riprodotte in termini pressoché identici nelle lettere a) e b) dell’art. 1 che vedono come destinatari «coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi» (lett. a), e «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» (lett. b), ha evidenziato e ricordato che: a) presupposto comune dell’applicazione della normativa è la pericolosità del soggetto e che, al riscontro probatorio delle sue passate attività criminose, deve dunque affiancarsi una ulteriore verifica processuale circa la sua pericolosità, in termini – cioè – di rilevante probabilità di commissione, nel futuro, di ulteriori attività criminose; b) il requisito della pericolosità per la sicurezza pubblica del destinatario delle misure di prevenzione deve risultare da evidenze che la legge indica ora come «elementi di fatto», evidenze che debbono essere vagliate dal tribunale nell’ambito di un procedimento retto da regole probatorie e di giudizio diverse da quelle proprie dei procedimenti penali; c) sono comunque necessari elementi che facciano ritenere pregresse attività criminose da parte del soggetto, sì da chiamare in causa necessariamente le garanzie che la CEDU e la stessa Costituzione sanciscono per la materia penale; d) la Corte EDU ha espressamente escluso che le misure di prevenzione personali (ma la questione di riflesso involge anche quelle patrimoniali) sottoposte al suo esame costituiscano sanzioni di natura sostanzialmente punitiva, come tali soggette ai vincoli che la CEDU detta in relazione alla “materia penale” (Corte EDU, sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso contro Italia, paragrafo 143), ulteriormente chiarendo che le misure di prevenzione disciplinate nell’ordinamento italiano sono legittime in quanto sussistano le condizioni previste dal paragrafo 3 della norma convenzionale in questione (in particolare: idonea base legale, finalità legittima, “necessità in una società democratica” della limitazione in rapporto agli obiettivi perseguiti); e) le misure di prevenzione patrimoniali sono del tutto indipendenti dal procedimento penale eventualmente aperto nei confronti del destinatario della proposta di misura di prevenzione, essendo piuttosto basate sui medesimi “indizi che legittimano l’applicazione delle misure di prevenzione personali: a tali indizi la disciplina originaria ha affiancato ulteriori presupposti quali la sussistenza di «sufficienti indizi, come la notevole sperequazione fra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati», dai quali si possa ritenere che i beni dei quali il soggetto risultava disporre, anche indirettamente, «fossero il frutto di attività illecite o ne costituissero il reimpiego», nonché ai fini della loro definitiva confisca, la mancata dimostrazione dell’origine lecita dei beni già oggetto di sequestro; f) la concreta adozione delle misure patrimoniali, come affermato dalla stessa Corte costituzionale, non ha la sua ragion d’essere esclusivamente nei caratteri dei beni che colpiscono, in quanto esse sono rivolte non a beni come tali, in conseguenza della loro sospetta provenienza illegittima, ma a beni che,  oltre a ciò, sono nella disponibilità di persone socialmente pericolose; in altre parole, la pericolosità del bene è considerata dalla legge derivare dalla pericolosità della persona che ne può disporre (sentenza 335/1996); g) il presupposto giustificativo della confisca di prevenzione è «la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita» (SU, 4880/2014); il sequestro e la confisca in parola condividono, a ben guardare, la medesima finalità sottesa alla confisca cosiddetta “allargata” misura che la stessa Corte costituzionale ha recentemente ritenuto radicarsi, per l’appunto, «sulla presunzione che le risorse economiche, sproporzionate e non giustificate, rinvenute in capo al condannato derivino dall’accumulazione di illecita ricchezza che talune categorie di reati sono ordinariamente idonee a produrre» (sentenza 33/2018); h) la confisca “di prevenzione” e la confisca “allargata” (e i sequestri che, rispettivamente, ne anticipano gli effetti) costituiscono dunque altrettante species di un unico genus, che la Corte costituzionale ha identificato nella «confisca dei beni di sospetta origine illecita», ossia accertata mediante uno schema legale di carattere presuntivo, la quale rappresenta uno strumento di contrasto alla criminalità lucro–genetica ormai largamente diffuso in sede internazionale: tale strumento è caratterizzato «sia da un – allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa», in funzione dell’esigenza di «superare i limiti di efficacia della confisca penale “classica”: limiti legati all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o di derivazione – tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna»; i) la giurisprudenza di legittimità, con riferimento tanto al sequestro e alla confisca di prevenzione quanto alla confisca “allargata”, ha da tempo intrapreso un percorso volto a circoscrivere l’area dei beni confiscabili, limitandoli a quelli acquisiti in un arco temporale ragionevolmente correlato a quello in cui il soggetto risulta essere stato impegnato in attività criminose; rispetto, in particolare, al sequestro e alla confisca di prevenzione, le Sezioni unite sono pervenute a tale risultato chiarendo la necessità di accertare lo svolgimento di attività criminose da parte del soggetto con riferimento al lasso temporale nel quale si è verificato, nel passato, l’incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare (SU, 4880/2014), requisito, quest’ultimo, non scritto, ma discendente evidentemente dalla necessità di conservare ragionevolezza alla presunzione (relativa) di illecito acquisto dei beni, sulla quale il sequestro e la confisca di prevenzione si fondano.

Tale presunzione, infatti, in tanto ha senso, in quanto si possa ragionevolmente ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attività criminose nelle quali il soggetto risultava essere impegnato all’epoca della loro acquisizione, ancorché non sia necessario stabilirne la precisa derivazione causale da uno specifico delitto; I) la presunzione relativa di origine illecita dei beni, che ne giustifica l’ablazione in favore della collettività, non conduce necessariamente a riconoscere la natura sostanzialmente sanzionatorio–punitiva delle misure in questione, ciò in quanto l’ablazione di tali beni costituisce non già una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione, la quale determina – come ben evidenziato dalla recente pronuncia, già menzionata, delle Sezioni unite – un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquisito la materiale disponibilità, risultando «sin troppo ovvio che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico.

Non può, dunque, ritenersi compatibile con quella funzione l’acquisizione di beni contra legem, sicché nei confronti dell’ordinamento statuale non è mai opponibile un acquisto inficiato da illecite modalità»; m) nelle numerose occasioni in cui la Corte EDU ha sinora esaminato doglianze relative all’applicazione della confisca di prevenzione, mai è stata riconosciuta natura sostanzialmente penale a questa misura.

È stato conseguentemente escluso che ad essa possano applicarsi gli artt. 6, nel suo “volet pénal”, e 7 CEDU; e si è invece affermato che la misura rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 1, Prot. addizionale CEDU, in ragione della sua incidenza limitatrice rispetto al diritto di proprietà (ex multis: Corte EDU, sezione seconda, sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia; decisione 15 giugno 1999, Prisco contro Italia; sentenza 22 febbraio 1994, Raimondo contro Italia); n) pur non avendo natura penale, sequestro e confisca di prevenzione restano peraltro misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addizionale CEDU): esse dovranno, pertanto, soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui – segnatamente: 1) la sua previsione attraverso una legge (artt. 41 e 42 Cost.) che possa consentire ai propri destinatari, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della “base legale” della restrizione, di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addizionale CEDU); 2) l’essere la restrizione “necessaria” rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addizionale CEDU), e pertanto proporzionata rispetto a  tali obiettivi, ciò che rappresenta un requisito di sistema anche nell’ordinamento costituzionale italiano per ogni misura della pubblica autorità che incide sui diritti dell’individuo, alla luce dell’art. 3 Cost.; nonché 3) la necessità che la sua applicazione sia disposta in esito a un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni “giusto” processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU, nel suo “volet civil’), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta.

Tutto ciò doverosamente premesso, la Corte costituzionale ha ulteriormente ricordato, con specifico riguardo alla legittimità della normativa che prevede l’applicazione delle misure di prevenzione (anche patrimoniali) ai soggetti «abitualmente dediti a traffici delittuosi» e a «coloro [...] che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose», alla luce del decisum della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza De Tommaso del 23 febbraio 2017 che ha ritenuto che le disposizioni in parola non soddisfino gli standard qualitativi – in termini di precisione, determinatezza e prevedibilità – che deve possedere ogni norma che costituisca la base legale di un’interferenza nei diritti della persona riconosciuti dalla CEDU o dai suoi protocolli che, con riferimento alle “fattispecie di pericolosità generica” disciplinate dall’art. 1, numeri 1) e 2), L. 1423/1956 e – oggi – dall’art. 1, lettere a) e b): a) allorché si versi – come nelle questioni ora all’esame – al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione, purché tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa; b) la locuzione «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» è oggi suscettibile di essere interpretata come espressiva della necessità di predeterminazione non tanto di singoli “titoli” di reato, quanto di specifiche “categorie” di reato; c) la giurisprudenza di legittimità ha correttamente delineato i limiti applicativi di detta disposizione. In sostanza, la Corte costituzionale ha rilevato in tempi recentissimi che la normativa di cui all’art. 1, lettera a), a sua volta richiamata dagli artt. 16 e 24, è conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli della normativa comunitaria e, per l’effetto, ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 6, 8, 16, 20 e 24, con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU, e all’art. 25, terzo comma, Cost., nonché degli artt. 20 e 24, con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, il che – come detto – rende manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale in questa sede sostanzialmente riproposte (Sez. 2, 31549/2019).

 

La confisca di prevenzione non rientra nel concetto di “materia penale” messo a fuoco dalla giurisprudenza della Corte EDU

Deve essere escluso in radice il carattere sanzionatorio della confisca di prevenzione. Come puntualmente osservato da SU, Spinelli, la Corte di Strasburgo ha escluso che, in rapporto ai criteri identificativi della penalty e della matière pénale – come individuati da consolidata linea interpretativa, maturata sulla scia delle sentenze 08/06/1976, Engel c. Paesi Bassi; 09/01/1995, Welch c. Regno Unito; 30/08/2007, Sud Fondi c. Italia ed altre, alla luce degli artt. 6 e 7 CEDU, e cioè: natura dell’infrazione secondo il diritto interno; natura della sanzione e concreta gravità della stessa – fosse giustificabile l’inquadramento dell’istituto nella categoria sanzionatoria. Proprio con riferimento alla confisca di prevenzione italiana, numerose pronunce della stessa Corte EDU hanno escluso l’operatività dei principi di irretroattività e del ne bis in idem dettati per la materia penale dall’art. 7 CEDU, mentre in altre pronunce (17/05/2011, Capitani e Campanella c. Italia; 02/02/2010, Leone c. Italia; 05/01/2010, Bongiorno c. Italia; 08/07/2008, Perre c. Italia; 13/11/2007, Bocellari e Rizza c. Italia), nel censurare la difformità della procedura di prevenzione italiana rispetto alla regola dell’udienza pubblica, si è puntualizzato che la previsione convenzionale violata, ex art. 6 CEDU, attiene a quella parte della disciplina del “giusto processo” che non è riservata all’ambito della “materia penale”).

La sentenza Corte EDU del 22/02/1994, Raimondo c. Italia, ha osservato che la confisca di prevenzione è «destinata a bloccare i movimenti di capitali sospetti per cui costituisce un’arma efficace e necessaria per combattere questo flagello», mentre la sentenza del 15/06/1999, Prisco c. Italia, ha affermato che la confisca di prevenzione «colpisce beni di cui l’AG ha contestato l’origine illegale allo scopo che il ricorrente potesse utilizzarli per realizzare ulteriormente vantaggio a proprio profitto o profitto dell’organizzazione criminale con la quale è sospettato di intrattenere relazione».

Va, del resto, considerato che l’ordinamento sovranazionale consente interventi dell’autorità invasivi del «diritto al rispetto dei beni» quando ciò sia determinato da ragioni di pubblica utilità, come sancito dall’art. 1, Prot. 1, CEDU, riconoscendo la potestà discrezionale degli Stati–membri di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni «in modo conforme all’interesse generale».

Ed è utile, altresì, il riferimento alla decisione–quadro UE, GAI n. 212 del 2005, adottata nell’ambito del Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea, e, da ultimo, la Direttiva 2014/42/UE, approvata dal Parlamento europeo il 25 febbraio 2014, che, nel considerando 21, stabilisce che «la confisca estesa dovrebbe essere possibile quando un’AG é convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose.

Ciò non significa che debba essere accertato che i beni in questione derivino da condotte criminose. Gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’AG ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività.

In tale contesto, l’AG deve considerare le circostanze specifiche del caso, compresi i fatti e gli elementi di prova disponibile in base ai quali può essere adottata una decisione di confisca estesa. Una sproporzione tra il bene dell’interessato ed il suo reddito legittimo può rientrare tra i fatti idonei ad indurre l’AG a concludere che i beni derivano da condotte criminose. Gli Stati membri possono inoltre fissare un periodo di tempo entro il quale si può ritenere che i beni siano derivati da condotte criminose».

Alla stregua della vigente normativa, la precipua finalità della confisca di prevenzione è, dunque, quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza.

Tale finalità si pone, dunque, in piena sintonia con la ratio decidendi delle menzionate pronunce EDU e con i principi informatori dell’ordinamento convenzionale.

E’ risaputo, d’altronde, che, nell’approccio ermeneutico agli istituti delle diverse legislazioni, la giurisprudenza comunitaria reputa decisiva, ai fini dell’accertamento della reale essenza giuridica, l’individuazione dei tratti sostanziali, enucleabili dalla disciplina positiva, applicando i menzionati parametri identificativi, al fine di scongiurare quella che, efficacemente, è stata definita la “truffa delle etichette”, ovverosia la suggestione di ingannevoli qualificazioni nominalistiche degli stessi istituti da parte degli ordinamenti interni (Sez. 6, 48610/2017).

 

Confisca e azioni esecutive

Solo la confisca definitiva determina l’acquisizione del bene al patrimonio dello stato (art. 45) e, di conseguenza, giustifica l’estinzione ex lege delle procedure esecutive (Sez. 1, 36255/2017).

 

Linee guida, circolari e prassi

CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati”, ottobre 2015, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929