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Art. 46 - Restituzione per equivalente

1. La restituzione dei beni confiscati, ad eccezione dei beni culturali di cui all’articolo 10, comma 3, del codice

dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi degli articoli 136 e seguenti del medesimo codice, e successive modificazioni, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell’articolo 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico. In tal caso l’interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene ha diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato come risultante dal rendiconto di gestione, al netto delle migliorie, rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua. In caso di beni immobili, si tiene conto dell’eventuale rivalutazione delle rendite catastali. (90)

2. Il comma 1 si applica altresì quando il bene sia stato venduto. (1)

3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il tribunale determina il valore del bene e ordina il pagamento della somma, ponendola a carico:

a) del Fondo Unico Giustizia, nel caso in cui il bene sia stato venduto;

b) dell’amministrazione assegnataria, in tutti gli altri casi.

(1) Comma così sostituito dall’ art. 18, comma 2, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

La lettura degli artt. 46 e 28 dimostra che la prima norma detta un principio generale che deve trovare applicazione in tutti i casi di restituzione di beni sequestrati o confiscati; il primo comma, non a caso, fa riferimento all’interessato "nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene", quindi contemplando anche il caso di sequestro di beni, successivamente confiscati dal Tribunale, con la revoca della confisca e del sequestro in sede di appello. L’art. 28 cit. estende la disciplina anche ai casi di revocazione della confisca definitiva (In sentenza la Corte ha stimato corretta la tesi dei ricorrenti ed ha accolto il primo motivo di impugnazione poichè in entrambi i casi il giudice della prevenzione aveva affermato l’insussistenza ab origine dei presupposti della confisca (invalidità genetica della misura), decretando così l’equivalenza, ai fini della restituzione, tra la revoca del sequestro e della confisca adottata in sede di appello e la revocazione della confisca adottata ai sensi dell’art. 28 cit.) (Sez. 1, 3635/2022).

L’art. 28, ultimo comma, prevede che, quando accoglie la richiesta di revocazione, la corte d’appello trasmette gli atti al tribunale che ha disposto la confisca, affinché provveda, ove del caso, ai sensi dell’art. 46. La finalità perseguita dalla disciplina impone, in conseguenza, di fornire dell’art. 46 una lettura coerente con i parametri costituzionali e sovranazionali, che garantiscono sia la tutela della proprietà (art. 42 Cost.; art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU) sia la effettività della tutela giurisdizionale, principio generale del nostro ordinamento (Cost., art. 24, 103 e 113), del diritto sovranazionale (art. 6 e 13 CEDU) e del diritto dell’Unione, attualmente sancito dall’art. 47 CDFUE. A tal riguardo, CGUE, 14/09/2017, Bozza c. Italia, ha ribadito che «il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. L’esecuzione di una sentenza, Indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del processo, ai sensi dell’articolo 6» (par. 42) e che «da questi principi deriva l’obbligo per gli Stati contraenti di assicurare che ciascun diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione» (par. 43). In tale prospettiva, non è ammissibile che il soggetto dell’ordinamento, dopo avere conseguito l’accertamento della fondatezza della sua pretesa, possa vedersi precluso il concreto soddisfacimento dell’interesse protetto. Tale risultato può essere raggiunto, nel presente procedimento, attraverso una piana lettura dell’art. 46, il quale, a differenza di quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, pur disciplinando analiticamente la restituzione per equivalente, in relazione a talune ipotesi correlate alla complessità che le vicende gestorie dei patrimoni confiscati possono presentare, presuppone, come regola generale, laddove sia venuto meno il titolo genetico, la restituzione dei beni confiscati. Quando, infatti, il comma 1 dell’art. 46 dispone che «la restituzione dei beni confiscati [...] può avvenire anche per equivalente [...]» dimostra, in termini chiarissimi, che la regola generale è la restitutio in integrum e che le eccezioni sono rappresentate dai casi nei quali, per ragioni di efficiente svolgimento dei procedimenti di amministrazione dei beni confiscati, il legislatore si pone il problema della coesistenza di un interesse pubblico che giustifica il sacrificio, peraltro adeguatamente indennizzato, della pretesa restitutoria. Del resto, sarebbe del tutto paradossale che il legislatore delegato si fosse occupato delle ipotesi nelle quali la natura del bene e, in generale, l’interesse pubblico (comma 1) o la vendita dello stesso (comma 2) giustificano l’esclusione della restituzione diretta e avesse lasciato prive di tutela le situazioni nelle quali neppure si pone quel problema di bilanciamento, che le ipotesi in principio ricordate sollevano, tra l’interesse del privato alla restituzione di un bene sottrattogli per effetto di un provvedimento emanato in assenza dei presupposti giustificativi e l’interesse pubblico alla conservazione dello stesso (comma 1) o del terzo acquirente (comma secondo). Ne discende che colui che abbia ottenuto il provvedimento di revocazione ha diritto alla restituzione di quanto gli è stato confiscato e, in generale, come si desume dalla sentenza SU, 57/2007, al ripristino della situazione anteriore alla confisca, privata di effetti ex tuncEvidentemente, tale conclusione che riposa sul fondamento costituzionale e sovranazionale sopra ricordato e che impone una coerente lettura del dato normativo, non è messa in discussione dal fatto che le somme delle quali si tratta siano state impiegate per l’amministrazione di altro bene confiscato. Né, in senso contrario, assume rilievo l’inciso contenuto nell’ultimo comma dell’art. 28, laddove prevede che il tribunale, al quale gli atti sono stati trasmessi dalla corte d’appello che abbia disposto la revocazione, provvede, ai sensi dell’art. 46 «ove del caso». La norma non introduce valutazioni di opportunità – che sarebbero di dubbia legittimità costituzionale, in quanto sganciate da parametri normativi puntuali e prevedibili negli esiti applicativi – ma rinvia semplicemente ai possibili epiloghi decisori che l’art. 46 prefigura, in relazione alle diverse situazioni che possono verificarsi in concreto. In linea generale, ossia, a parte le ipotesi richiamate dal comma 3 del medesimo art. 46, che si giustificano per la destinazione impressa al bene confiscato nel frattempo, il soggetto obbligato alla restituzione è l’ANBSC, cui compete, ai sensi dell’art. 44, la gestione dei beni confiscati (Sez. 5, 32692/2018).