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Art. 28 - Revocazione della confisca

1. La revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta, nelle forme previste dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale, in quanto compatibili, alla corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’articolo 11 dello stesso codice: (1)

a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento;

b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca;

c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

2. In ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura.

3. La richiesta di revocazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi di cui al comma 1, salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.

4. Quando accoglie la richiesta di revocazione, la corte di appello provvede, ove del caso, ai sensi dell’articolo 46. (2)

(1) Comma così sostituito dall’ art. 7, comma 1, lett. a), L. 161/2017.

(2) Comma così sostituito dall’ art. 7, comma 1, lett. b), L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

Questioni di costituzionalità

È manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 28. La disciplina dell’istituto, nella parte in cui ne limita l’operatività ai fatti successivamente scoperti che privano di fondamento originario la confisca, non si pone in contrasto con alcuna norma costituzionale, né si risolve in una violazione dei principi convenzionali che, per il tramite dell’art. 117 Cost., si atteggiano a parametri interposti di costituzionalità. Si finirebbe altrimenti col piegare l’istituto alla rilevazione di asseriti errori valutativi esaminabili ed effettivamente esaminati nell’ambito del giudizio ordinario, in modo da ottenere una indebita duplicazione del controllo sulla base degli stessi fatti e delle medesime prospettazioni. Lo strumento di tutela per evenienze del tipo di quelle descritte in ricorso, ossia per un eccesso di misura ablatoria conseguente al computo di una voce di spesa che accresce le possidenze economico–finanziarie, creando maggior squilibrio con le entrate, è costituito dalle impugnazioni ordinarie. Non v’è ragione per far refluire nell’alveo dei rimedi straordinari vizi del provvedimento che possono essere rilevati con l’appello o con il ricorso per cassazione seppur nel limitato spettro censorio della sola violazione di legge, peraltro ritenuto costituzionalmente legittimo (Corte costituzionale, 106/2015) (Sez. 1, 18580/2019).

 

Caratteristiche generali dell’istituto

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a), al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, è la richiesta revocazione, di cui all’art. 28, comma 2. La Corte di cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) e lett. b), per far valere gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 24 del 2019, è tenuta all’annullamento senza rinvio della sola misura fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a) (SU, 3513/2022).

La lettura degli artt. 46 e 28 dimostra che la prima norma detta un principio generale che deve trovare applicazione in tutti i casi di restituzione di beni sequestrati o confiscati; il primo comma, non a caso, fa riferimento all’interessato "nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene", quindi contemplando anche il caso di sequestro di beni, successivamente confiscati dal Tribunale, con la revoca della confisca e del sequestro in sede di appello. L’art. 28 cit. estende la disciplina anche ai casi di revocazione della confisca definitiva (In sentenza la Corte ha stimato corretta la tesi dei ricorrenti ed ha accolto il primo motivo di impugnazione poichè in entrambi i casi il giudice della prevenzione aveva affermato l’insussistenza ab origine dei presupposti della confisca (invalidità genetica della misura), decretando così l’equivalenza, ai fini della restituzione, tra la revoca del sequestro e della confisca adottata in sede di appello e la revocazione della confisca adottata ai sensi dell’art. 28 cit.) (Sez. 1, 3635/2022).

In tema di confisca di prevenzione, avverso il provvedimento definitivo di applicazione della misura fondato sulla pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. a) e b),  è esperibile il rimedio della revocazione ex art. 28, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti per effetto della sopravvenuta sentenza 24/2019 della Corte costituzionale (Sez. 2, 33141/2020).

Nel sistema vigente delle misure di prevenzione, avverso la decisione definitiva sulla confisca, una volta esperiti i rimedi ordinari previsti dagli artt. 10 e 27 dell’appello per la rivalutazione del merito e del ricorso per cassazione per violazione di legge, l’unico rimedio esperibile rimane quello della revocazione previsto dall’art. 28, strutturato come un rimedio straordinario, azionabile davanti alla corte di appello nelle forme previste dall’art. 630 CPP, e teso sostanzialmente a riparare ad un errore giudiziario, quando dopo la definitività della confisca, sopravvengano nuovi elementi di prova che dimostrino il difetto originario dei presupposti di applicazione della confisca. Si tratta di un istituto introdotto dal nuovo codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, per colmare un vuoto normativo della previgente legislazione, al quale la giurisprudenza aveva peraltro già posto rimedio attraverso una interpretazione estensiva della norma di cui all’art. 7, comma 2, L. 1423/1956, che da istituto chiaramente finalizzato ad adeguare la misura di prevenzione personale ai mutamenti sopravvenuti di “pericolosità” del prevenuto, con efficacia ex nunc, era stato rimodulato dalla giurisprudenza per annettervi la eccezionale portata di rimedio volto a determinare la rimozione ex tunc della misura della confisca, per la sopravvenuta prova del suo difetto genetico, sulla falsariga di una “revisione” del relativo “giudicato”. Tanto il rimedio dell’art. 7, di competenza dell’organo giudicante che l’ha emessa – ancora applicabile per le confische disposte sulla base di proposte anteriori al 13 ottobre 2011, data di entrata in vigore del citato D. Lgs. 159/2011 – quanto il nuovo mezzo di impugnazione di cui all’art. 28, di competenza della corte di appello, si caratterizzano per avere il medesimo ambito di operatività rapportato alla straordinarietà del rimedio, ontologicamente incompatibile con qualsiasi possibilità di “riesame” dello stesso quadro fattuale già delibato in sede di applicazione della misura, posto che, ove così non fosse, pur restando immutati i “fatti” oggetto del giudizio di prevenzione, le relative statuizioni giurisdizionali sarebbero rivedibili sine die e ad nutumL’art. 28 stabilisce, infatti, che la revocazione della confisca avverso le decisioni definitive sulla confisca di prevenzione, può essere richiesta, nelle forme previste dall’art. 630 CPP, solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura: “a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludono in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato” (Sez. 6, 23839/2019).

La fisiologica revocabilità delle misure di prevenzione personale, soggette al principio rebus sic stantibus, regolata prima dall’art. 7 L. 1423/1956, ed ora dall’art. 11, perché ancorata alla perdurante verifica dell’attualità della pericolosità, non può ovviamente estendersi alla misura di prevenzione della confisca, che comportando l’ablazione definitiva del patrimonio frutto dell’accumulazione di proventi illeciti, può essere revocata solo nei limiti previsti dall’art. 28, attraverso l’istituto della revocazione, introdotto per porre rimedio a decisioni frutto di errori resi palesi da emergenze nuove, non valutate nel corso del procedimento di prevenzione e che ne minano la legittimità per difetto genetico dei relativi presupposti. D’altra parte va osservato che il rimedio dell’incidente di esecuzione è stato ammesso dalla giurisprudenza di legittimità, formatasi nella vigenza della confisca disposta ai sensi dell’art. 2–ter L. 575/1965, soltanto nei confronti del terzo interessato che non avesse potuto partecipare al procedimento di cognizione, al fine di assicurare il diritto alla tutela giudiziaria delle proprie ragioni, e quindi mai per riproporre le stesse questioni già affrontate nella sede della cognizione o che potevano essere dedotte nel procedimento di prevenzione. È stato affermato, infatti, che in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il terzo che rivendicasse la legittima titolarità del bene confiscato chiedendone la restituzione poteva proporre incidente di esecuzione solo se non avesse partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, nel quale avrebbe potuto svolgere (sia che fosse chiamato dal tribunale con decreto motivato ovvero avesse deciso di intervenire nel procedimento) le deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Nel caso invece in cui il terzo, formalmente intestatario del bene, avesse partecipato al giudizio di cognizione senza osservare l’onere di allegazione di cui all’art. 2–ter, comma 5, L. 575/1965, il ricorso all’incidente di esecuzione non era consentito, in quanto strumentale solo a rimettere in discussione il titolo non contestato dal soggetto già posto in condizione di rivendicare il suo diritto sul bene ed a riproporre in sede di esecuzione questioni già scrutinate dal giudice della prevenzione, che il ricorrente ben avrebbe potuto allegare al suo atto di intervento (Sez. 6, 37025/2002).Si ritiene di poter riaffermare lo stesso principio anche dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 159/2011, essendo ora prevista la partecipazione al procedimento di prevenzione oltre che dei terzi che vantino diritti di proprietà o comproprietà dei beni sequestrati, anche dei terzi che vantino diritti reali o personali di godimento, con la conseguenza che anche questi soggetti possono far valere le proprie ragioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione nel corso del procedimento di prevenzione, essendo anche legittimati ad avvalersi dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari previsti dagli art. 6, 10, 27 e 28, con la conseguenza che il rimedio del ricorso all’incidente di esecuzione può trovare ancora una sua ragione di essere solo nei casi in cui il terzo non abbia partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, perché non messo nelle condizioni di parteciparvi (Sez. 6, 23839/2019).

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il terzo che rivendichi la legittima titolarità del bene confiscato chiedendone la restituzione può proporre incidente di esecuzione solo se non ha partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, nel quale può svolgere (sia che venga chiamato dal tribunale con decreto motivato ovvero decida di intervenire nel procedimento) le deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca; con la conseguenza che qualora il terzo, formalmente intestatario del bene, partecipi al giudizio di cognizione e non osservi l’onere di allegazione di cui all’art. 2–ter, comma 5, L. 575/1965 il ricorso all’incidente di esecuzione non è consentito, in quanto servirebbe a porre in discussione il titolo non contestato dal soggetto posto in condizione di rivendicare il suo diritto sul bene e a riproporre in sede di esecuzione questioni già scrutinate dal giudice della prevenzione e che il ricorrente ben avrebbe potuto allegare al suo atto di intervento (Sez. 1, 23114/2019).

La revocazione ex art. 28 è da ritenersi proponibile anche nella particolare ipotesi di decisione irrevocabile emessa in sede di prevenzione nei confronti di un soggetto ritenuto rientrare nelle categorie di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1 come modificate a seguito dell’intervento in parte demolitivo ed in parte interpretativo operato dalla Corte costituzionale con la pronuncia 24/2019 (Sez. 2, 33641/2020).

Temi procedurali

…Diritto inter-temporale

Il rimedio della revocazione previsto dall'art. 28  non si applica alle misure di prevenzione patrimoniali derivanti da proposte depositate prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del citato d. Lgs. n. 159), dovendosi continuare ad applicare ad esse l'istituto della revoca di cui all'art. 7 L. 1423/1956 (Sez. 1, 15296/2021).

Ancora prima dell’introduzione dell’art. 28, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell’art. 2–ter, comma 3, L. 575/1965 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ex tunc a norma dell’art. 7, comma 2, L. 1423/1956 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (SU, 57/2007). È poi intervenuto il legislatore che ha introdotto all’articolo 28 la revocazione della confisca di prevenzione, da proporre «nelle forme previste dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale, alla Corte d’appello individuata secondo i criteri di cui all’articolo 11 dello stesso codice». Per quanto riguarda il diritto intertemporale, questione oggetto del presente conflitto negativo di competenza, deve farsi riferimento al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «il rimedio della revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, attribuito dall’art. 28 alla competenza della Corte d’appello, non si applica ai provvedimenti di confisca adottati prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del citato D. Lgs. 159/2011); a tali decisioni continua ad applicarsi l’art. 7 L. 1423/1956, secondo cui competente per la revoca della confisca è l’organo giudicante che l’aveva disposta» (Sez. 1, 45278/2013), con la precisazione che deve aversi riguardo alla data della proposta della misura di prevenzione (Sez. 1, 44544/2019, richiamata da Sez. 2, 34294/2018).

 

…Irrituale acquisizione di atti

Non essendo previsto parere alcuno da parte del PM sulla richiesta di revisione alla quale è omologata, quanto a modalità, quella di revocazione della confisca di prevenzione per l’espresso richiamo di cui all’art. 28, comma 1, – ove tale parere sia irritualmente acquisito, esso deve essere comunicato a pena di nullità al richiedente, ai fini di una corretta instaura/ione del contraddittorio (SU, 15189/2012).

 

Sentenze definitive

L’art. 28 ammette la revocazione quando “i fatti accertati con sentenze penali definitive (...) escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca”: quindi, è lo stesso legislatore ad aver creato un obbligo di correlazione tra gli esiti delle pronunzie emesse nei due campi in esame (penale e di prevenzione); ecco che il procedimento di prevenzione non ha più il compito di “recupero’ di materiali cognitivi vacui, atipici e inidonei alla costruzione di una contestazione formale – ispirata ai principi di tassatività e determinatezza quanto una funzione marcatamente specialistica e, alfine, anticipatoria di forme di contenimento della pericolosità sociale apprezzate in sede giurisdizionale sulla base di indicatori non dissimili – anche in caso di pericolosità generica – da quelli che il legislatore considera in fattispecie incriminatrici di parte speciale. Le condotte di reato, in altre parole, sono poste a monte della valutazione di pericolosità sociale perché ricomprese nella selezione normativa delle fattispecie astratte di pericolosità generica, fermo restando che il giudice della prevenzione apprezza tali condotte (già giudicate o giudicabili) in via autonoma e per finalità diverse da quelle della applicazione di una pena (Sez. 1, 36258/2017).

 

Prove nuove

In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'art. 28, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore (SU, udienza del 26 maggio 2022, informazione provvisoria).

“Prova nuova” ai sensi della disciplina introdotta dal codice antimafia è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell’ambito del suddetto procedimento: «l’art. 28, a differenza dell’abrogato art. 7, comma 2, L. 1423/1956 che disciplinava genericamente la revoca della misura di prevenzione, è stato rubricato dal legislatore del 2011 (il quale è intervenuto con l’intento di colmare un vuoto normativo e, verosimilmente, di offrire criteri fermi ad una giurisprudenza non sempre univoca) come “revocazione” della confisca, sicché può dirsi che la scelta della rubrica costituisca un inedito riferimento all’istituto della revocazione di cui all’art. 395 CPC e comunque la manifestazione di una volontà di mutatio libelli»; riferimento, questo alla disciplina processual–civilistica, non solo nominalistico, poiché «in entrambi i casi la disciplina positiva indica come imprescindibile, oltre al requisito della “decisività” della prova nuova, quello della “scoperta di essa dopo la adozione del provvedimento conclusivo da revocare”»; di qui l’«interpretazione dell’art. 28 la cui lettera rimanda in modo chiaro alle prove che “sono scoperte dopo” oltre a quelle che sono “sopravvenute” alla conclusione del procedimento: l’una espressione, cioè, deve intendersi che, nell’ottica della prevenzione a differenza che in quella processual–civilistica, si aggiunga e rafforzi l’altra con la necessaria integrazione interpretativa di carattere logico–sistematico, in base alla quale, ai fini della revocazione della confisca di prevenzione, la necessità della “scoperta” successiva – oggi in modo netto rispetto al passato – implica la incompatibilità di tale situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione degli elementi, da parte dell’interessato, nel procedimento concluso con provvedimento di cui, in seguito, si richiede la revocazione»; pertanto, «nell’ottica di una configurazione restrittiva dell’istituto rispetto a quella accreditata prima del 2011, la revocazione della confisca di prevenzione è legittimata, dall’art. 28 e per le procedure che sottostanno a tale normativa, dalle sole prove decisive che siano scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo dunque pre–esistenti) e che siano ad essa sopravvenute (sia nel senso della scoperta che nel senso della formazione), a tanto indirizzando anche il disposto dell’art. 28, comma 3 il quale, a differenza di quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza in riferimento all’art. 7 cit., non lascia l’interessato libero di far valere, quando ritenga, la prova decisiva non dedotta e non valutata in precedenza; ma pone, a pena di inammissibilità, un termine massimo per la richiesta di revocazione della confisca definitiva, ancorato al verificarsi di uno dei casi di cui al comma 1 e dunque decorrente, per quanto ci riguarda, dalla scoperta della prova nuova sopravvenuta al provvedimento definitivo» (Sez. 5, 28628/2017) (Sez. 5, 32471/2019).

Prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), CPP, ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi: – sia le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna; – sia quelle scoperte successivamente ad essa; – sia quelle non acquisite nel precedente giudizio; – sia quelle acquisite nel precedente giudizio, ma non valutate neppure implicitamente (purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudicante). Non assume all’uopo rilievo la circostanza che l’omessa conoscenza della “prova nuova” da parte del giudicante sia imputabile a comportamento processuale negligente, od addirittura doloso, del condannato, poiché tali ultime circostanze potrebbero al più essere prese in considerazione ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario. Per evidente identità di ratio con quanto correntemente si ritiene in tema di revisione, appare ragionevole ritenere che, anche ai fini della revocazione della confisca di prevenzione ex art. 28, continuino a rientrare tra le prove “sopravvenute”, quelle preesistenti, ma scoperte solo dopo che la revocanda statuizione di confisca sia divenute definitiva, e quindi non valutate nemmeno implicitamente (Sez. 2, 19414/2019).

In tema di revisione, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta, proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova, deve avere ad oggetto, oltre che l’affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta. Tale affermazione assume valenza ulteriore ove si considerino le peculiarità che caratterizzano il procedimento di prevenzione rispetto al processo penale “ordinario”, proprio sul versante dei profili “dimostrativi” e delle particolari regole di giudizio dettate in tema di apprezzamento del materiale probatorio, che, evidentemente, influiscono (accrescendolo) sul quantum necessario per asseverare l’errore’ del giudizio di prevenzione da revocare. Ne deriva che il complessivo quadro posto a base della decisione da revocare, non soltanto non è risultato probatoriamente compromesso, ma neppure logicamente screditato, rendendo dunque impraticabile qualsiasi ipotesi di “errore giudiziario” che, come si è detto, sta alla base del particolare istituto oggetto dell’odierno ricorso (Sez. 6, 27597/2019).

La prova nuova che legittima alla revocazione è quella – documentale – e solo preesistente alla decisione impugnata riferita a tale disciplina, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, e che sia stata recuperata solo successivamente a tale decisione: una interpretazione che, tuttavia, potrebbe cooperare alla interpretazione dell’art. 28 la cui lettera rimanda in modo chiaro alle prove che “sono scoperte dopo” oltre a quelle che sono “sopravvenute” alla conclusione del procedimento: l’una espressione, cioè, deve intendersi che, nell’ottica della prevenzione a differenza che in quella processual–civilistica, si aggiunga e rafforzi l’altra con la necessaria integrazione interpretativa di carattere logico–sistematico, in base alla quale, ai fini della revocazione della confisca di prevenzione, la necessità della “scoperta” successiva – oggi in modo netto rispetto al passato – implica la incompatibilità di tale situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione degli elementi, da parte dell’interessato, nel procedimento concluso con provvedimento di cui, in seguito, si richiede la revocazione. La correttezza di tale interpretazione si rinviene anche dalla disciplina del secondo caso di revocazione (lett. b), il quale è regolato facendo riferimento ad altro tipo di documento ( le sentenze penali definitive) di cui si dice, più chiaramente, che possono essere, alternativamente, quelle “sopravvenute” oppure anche quelle soltanto “conosciute” in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione (sebbene preesistenti), così introducendo plasticamente una differenziazione tra le due connotazioni accostate in forma disgiunta e per la loro ontologica diversità. “Sopravvenute” sono le sentenze formate dopo il provvedimento di prevenzione e “conosciute dopo” sono le sentenze anche a quello preesistenti. D’altra parte, il riferimento alla disciplina della revisione penalistica, contenuto nell’art. 28, è non all’istituto ma, dichiaratamente, soltanto “alle forme” dell’art. 630 CPP (si pensi, in particolare al giudice competente), non avendo, il legislatore del 2011, rinunciato a formulare una autonoma casistica delle ipotesi nelle quali la revocazione è richiedibile. In conclusione, nell’ottica di una configurazione restrittiva dell’istituto rispetto a quella accreditata prima del 2011, la revocazione della confisca di prevenzione è legittimata, dall’art. 28 e per le procedure che sottostanno a tale normativa, dalle sole prove decisive che siano scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo dunque pre–esistenti) e che siano ad essa sopravvenute (sia nel senso della scoperta che nel senso della formazione), a tanto indirizzando anche il disposto dell’art. 28, comma 3, il quale, a differenza di quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza in riferimento all’art. 7 cit., non lascia l’interessato libero di far valere, quando ritenga, la prova decisiva non dedotta e non valutata in precedenza; ma pone, a pena di inammissibilità, un termine massimo per la richiesta di revocazione della confisca definitiva, ancorato al verificarsi di uno dei casi di cui al comma 1 e dunque decorrente, per quanto ci riguarda, dalla scoperta della prova nuova sopravvenuta al provvedimento definitivo (Sez. 5, 28628/2017).

La prova nuova che consente la revoca della misura di prevenzione deve presentarsi, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la decisione, non essendo, quindi, sufficiente evocare un qualsiasi elemento favorevole che finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva (Sez. 2, 41507/2013).

 

Modalità della richiesta di revocazione

L’art. 28 rimanda alle forme, previste dall’art. 630 CPP; l’articolo in questione non disciplina le formalità di proposizione della domanda, per cui è condivisibile la tesi che rimanda per la loro determinazione all’art. 633 CPP, così che la proposizione della richiesta può essere fatta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale (Sez. 5, 21161/2018).

 

Soggetti legittimati alla richiesta

L’art. 24 consente la confisca di beni di cui la persona abbia “la disponibilità a qualsiasi titolo”, così che anche il detentore fiduciario con disponibilità effettiva dei beni è legittimato a chiedere la revoca della confisca (Sez. 6, 44883/2017).

 

Obbligo restitutorio conseguente alla revocazione

L’art. 28, ultimo comma, prevede che, quando accoglie la richiesta di revocazione, la corte d’appello trasmette gli atti al tribunale che ha disposto la confisca, affinché provveda, ove del caso, ai sensi dell’art. 46. La finalità perseguita dalla disciplina impone, in conseguenza, di fornire dell’art. 46 una lettura coerente con i parametri costituzionali e sovranazionali, che garantiscono sia la tutela della proprietà (art. 42 Cost.; art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU) sia la effettività della tutela giurisdizionale, principio generale del nostro ordinamento (Cost., art. 24, 103 e 113), del diritto sovranazionale (art. 6 e 13 CEDU) e del diritto dell’Unione, attualmente sancito dall’art. 47 CDFUE. A tal riguardo, CGUE, 14/09/2017, Bozza c. Italia, ha ribadito che «il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. L’esecuzione di una sentenza, Indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del processo, ai sensi dell’articolo 6» (par. 42) e che «da questi principi deriva l’obbligo per gli Stati contraenti di assicurare che ciascun diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione» (par. 43). In tale prospettiva, non è ammissibile che il soggetto dell’ordinamento, dopo avere conseguito l’accertamento della fondatezza della sua pretesa, possa vedersi precluso il concreto soddisfacimento dell’interesse protetto. Tale risultato può essere raggiunto, nel presente procedimento, attraverso una piana lettura dell’art. 46, il quale, a differenza di quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, pur disciplinando analiticamente la restituzione per equivalente, in relazione a talune ipotesi correlate alla complessità che le vicende gestorie dei patrimoni confiscati possono presentare, presuppone, come regola generale, laddove sia venuto meno il titolo genetico, la restituzione dei beni confiscati. Quando, infatti, il comma 1 dell’art. 46 dispone che «la restituzione dei beni confiscati [...] può avvenire anche per equivalente [...]» dimostra, in termini chiarissimi, che la regola generale è la restitutio in integrum e che le eccezioni sono rappresentate dai casi nei quali, per ragioni di efficiente svolgimento dei procedimenti di amministrazione dei beni confiscati, il legislatore si pone il problema della coesistenza di un interesse pubblico che giustifica il sacrificio, peraltro adeguatamente indennizzato, della pretesa restitutoria. Del resto, sarebbe del tutto paradossale che il legislatore delegato si fosse occupato delle ipotesi nelle quali la natura del bene e, in generale, l’interesse pubblico (comma 1) o la vendita dello stesso (comma 2) giustificano l’esclusione della restituzione diretta e avesse lasciato prive di tutela le situazioni nelle quali neppure si pone quel problema di bilanciamento, che le ipotesi in principio ricordate sollevano, tra l’interesse del privato alla restituzione di un bene sottrattogli per effetto di un provvedimento emanato in assenza dei presupposti giustificativi e l’interesse pubblico alla conservazione dello stesso (comma 1) o del terzo acquirente (comma secondo). Ne discende che colui che abbia ottenuto il provvedimento di revocazione ha diritto alla restituzione di quanto gli è stato confiscato e, in generale, come si desume dalla sentenza SU, 57/2007, al ripristino della situazione anteriore alla confisca, privata di effetti ex tunc. Evidentemente, tale conclusione che riposa sul fondamento costituzionale e sovranazionale sopra ricordato e che impone una coerente lettura del dato normativo, non è messa in discussione dal fatto che le somme delle quali si tratta siano state impiegate per l’amministrazione di altro bene confiscato. Né, in senso contrario, assume rilievo l’inciso contenuto nell’ultimo comma dell’art. 28, laddove prevede che il tribunale, al quale gli atti sono stati trasmessi dalla corte d’appello che abbia disposto la revocazione, provvede, ai sensi dell’art. 46 «ove del caso». La norma non introduce valutazioni di opportunità – che sarebbero di dubbia legittimità costituzionale, in quanto sganciate da parametri normativi puntuali e prevedibili negli esiti applicativi – ma rinvia semplicemente ai possibili epiloghi decisori che l’art. 46 prefigura, in relazione alle diverse situazioni che possono verificarsi in concreto. In linea generale, ossia, a parte le ipotesi richiamate dal comma 3 del medesimo art. 46, che si giustificano per la destinazione impressa al bene confiscato nel frattempo, il soggetto obbligato alla restituzione è l’ANBSC, cui compete, ai sensi dell’art. 44, la gestione dei beni confiscati (Sez. 5, 32692/2018).

 

Applicabilità della revocazione per la correzione di errori di fatto

La procedura di correzione dell’errore di fatto di cui all’art. 625–bis CPP non è applicabile alla sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione in materia di misure di prevenzione, per la quale è previsto il distinto rimedio della revoca, attualmente disciplinato dall’art. 28, comma 3 (Sez. 6, 1996/2017).

 

Possibilità di una procedura preventiva patrimoniale dopo la revocazione

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, stante la natura della decisione che le applica, inidonea a determinare un giudicato in senso proprio, nessuna preclusione sussiste a che, annullato per vizi formali un decreto di confisca, si instauri, in costanza di esecuzione di una misura di prevenzione personale, una nuova procedura di sequestro e confisca sui medesimi beni oggetto del provvedimento annullato (SU, 36/2001).

 

Linee guida, circolari e prassi

G. Muntoni (presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma), “Giurisprudenza e prassi operative del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione”, relazione tenuta per il corso su “Misure di prevenzione patrimoniale: potenzialità e problematiche del contrasto ai patrimoni illeciti” organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 6 giugno 2019, reperibile al seguente link: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2019/2019_06%20–%20Giugno/13%20–%20Misure%20di%20prevenzione/Relazione%20–%20Dott_%20Guglielmo%20Muntoni.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario”, nota n. 5810 dell’8 novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_21020.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/