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Art. 75 - Violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale

1. Il contravventore agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno. (1)

2. Se l’inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni ed è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza. (1)

3. Nell’ipotesi indicata nel comma 2 gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto anche fuori dei casi di flagranza.

4. Salvo quanto è prescritto da altre disposizioni di legge, il sorvegliato speciale che, per un reato commesso dopo il decreto di sorveglianza speciale, abbia riportato condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi, può essere sottoposto a libertà vigilata per un tempo non inferiore a due anni.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 25/2019, ha dichiarato, tra l’altro: a) l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 2, del presente provvedimento, nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”; b) in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. 87/1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”.

Rassegna di giurisprudenza

Inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni della sorveglianza speciale

Il reato di cui all'art. 75, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, prevista dall'art. 8 comma 4, implica un'abitualità o serialità di comportamenti, essendo configurabile soltanto nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati (la Corte ha escluso, nel caso di specie, che l’imputato dovesse essere giudicato responsabile del reato a lui ascritto per il solo fatto di essersi accompagnato, per una volta, con un soggetto raggiunto da avviso orale del Questore) (Sez. 1, 7190/2021).

La prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 8, comma 4, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico (SU, 46595/2019).

Non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura (SU, 51407/2018).

Non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75, comma 2, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell'attualità e della persistenza della pericolosità sociale da parte del giudice della prevenzione al momento della nuova sottoposizione alla misura. (Fattispecie in cui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, imposta al ricorrente con decreto del febbraio 2011 e sospesa durante la detenzione in carcere da lui sofferta per circa sei anni e terminata nel 2017, era stata a lui nuovamente applicata, all'atto della sua scarcerazione, senza una rivalutazione della sua perdurante pericolosità sociale) (Sez. 6, 17021/2020).

Le Sezioni unite (SU, 40076/2017), preso atto che la Grande Camera della Corte Edu con pronuncia del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, ha rilevato la carenza di chiarezza e precisione delle prescrizioni di “vivere onestamente e rispettare le leggi”, previste dall’art. 5, L. 1423/1956, oggi art. 8, comma 4, hanno affrontato il tema dei possibili effetti sulla previsione incriminatrice di cui all’art. 75, di tale decisione. Hanno, dunque, riconosciuto in via interpretativa che, poiché la disposizione in esame, come già accadeva con la previgente di cui all’art. 9 L. 1423/56, ripete “per relationem” la descrizione dei doveri e delle prescrizioni imposte con il provvedimento applicativo della misura di prevenzione personale in conformità alla disciplina della misura stessa, che consente di imporre al soggetto socialmente pericoloso, sia obblighi specifici, che prescrizioni generaliste ed indeterminate nel loro contenuto, quali l’osservanza della legge ed il vivere in modo onesto, la medesima carenza di precisione e chiarezza è riscontrabile anche nel precetto di cui all’art. 75. Pertanto, l’infrazione di tali prescrizioni può rilevare eventualmente in sede di esecuzione del provvedimento prevenzionale ai fini dell’aggravamento della misura, ma non integra una fattispecie autonoma di reato (Sez. 1, 43224/2018).

L’art. 5, comma 3, L. 1423/1956 (ora art. 8, comma 4) prevede che il decreto dispositivo della misura di prevenzione debba prescrivere al suo destinatario di “non detenere e non portare armi”. La giurisprudenza di legittimità, in funzione della identificazione dell’elemento materiale del delitto previsto dall’art. 9, comma 2, della L. 1423, (ora art 75, comma 2), è ferma nell’interpretare la norma indicata nel senso che la nozione di arma deve intendersi in senso restrittivo e limitato alle sole armi proprie (art. 585, comma 2, n. 1, CP; artt. 1 e 2 L. 110/1975), con la conseguenza che essa non comprende gli strumenti atti ad offendere e le munizioni di armi. L’interpretazione tracciata si impone alla luce dei precetti rispettivamente recati dagli art. 25, secondo comma, Cost., dall’art. 49 CDFUE, dall’art. 7 CEDU, oltre che dagli artt. 1 e 2 CP. La giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare che un’interpretazione diversa e che dovesse prediligere una lettura estensiva impedirebbe al sorvegliato speciale di tenere presso il domicilio coltelli o attrezzi di comune uso domestico imponendo limitazioni che oltre al profilo d’afflittività risulterebbero contrarie ed estranee alle finalità della norma. Da quanto detto deriva che risultando il coltello a serramanico arma impropria, la sua detenzione non implica la violazione della prescrizione di non detenere e portare armi (Sez. 1, 17877/2019).

L’attuale previsione contenuta – in tema di prescrizioni – nell’art. 8, comma 4, non include più la prescrizione «di non dare ragione di sospetti» originariamente contenuta nell’art. 5, comma 3, L. 1423/1956. Vi è dunque contenuto innovativo della trasposizione normativa, con ovvie conseguenze in punto di punibilità.

Detta specifica prescrizione – dal contenuto eccessivamente elastico e contrastante, pertanto con il principio di determinatezza delle condotte astrattamente punibili, data la previsione generalizzante dell’art. 75 – è stata pertanto espunta dall’ordinamento, in forza di quanto previsto dall’articolo 120 che ha espressamente abrogato – tra le altre – la L. 1423/1956.

Trattandosi di previsione incriminatrice, dato il rilievo penale della eventuale violazione commessa dal soggetto sottoposto alla misura di prevenzione, non vi è dubbio circa l’immediata applicabilità del nuovo testo dell’articolo 8 anche a condotte di violazione poste in essere in riferimento a misure disposte ed applicate in forza della L. 1423/1956, ai sensi dell’art. 2 , comma 2, CP (con parziale abolitio criminis, lì dove la prescrizione violata sia identificabile, in concreto, in quella soppressa dal legislatore) (Sez.1, 31199/2015).

La presentazione all’autorità di pubblica sicurezza costituisce una prescrizione che può essere imposta, in base all’art. 8, comma 6, alla persona assoggettata alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, e che è penalmente presidiata in funzione dell’effettività della tutela preventiva assicurata dalla misura (SU, 32923/2014).

 

Inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno

Le Sezioni unite (SU, 40076/2017) hanno affermato che l’inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall’art. 75, comma 2, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni cosiddette specifiche. Pertanto, deve ritenersi irrilevante ad integrare detto reato la violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”.

Le Sezioni unite hanno infatti osservato che si tratta di prescrizioni generiche e indeterminate, la cui violazione può rilevare soltanto ai fini dell’eventuale aggravamento della misura stessa, ma non sotto il profilo penalistico, non integrando gli estremi del reato di cui all’art. 75. Trattasi di un approdo che si inserisce nel solco tracciato da Corte EDU, 23–11–2016, De Tommaso c. Italia, secondo cui la formulazione relativa agli obblighi di “vivere onestamente e rispettare le leggi” non presenta connotati di sufficiente tassatività e determinatezza, non fornendo ai consociati adeguate indicazioni in ordine alle specifiche norme la cui inosservanza potrebbe esporli a conseguenze pregiudizievoli.

La Corte EDU ha ritenuto che si tratti di prescrizioni non sufficientemente dettagliate, e il punto si riconnette al più generale principio, sottolineato dalla Corte sovranazionale nella medesima pronuncia, secondo cui una norma non può essere considerata una “legge” se non è formulata con sufficiente precisione, in modo da consentire ai cittadini di regolare la loro condotta. I consociati devono essere in grado di prevedere, nelle specifiche circostanze, le conseguenze che un determinato atto può comportare (Sez. 1, 11903/2019).

La giurisprudenza di legittimità, prima dell’insegnamento di SU, 40076/2017, aveva ripetutamente affermato che, nell’ipotesi in cui il sottoposto con provvedimento definitivo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno guida un veicolo senza patente o con patente revocata, si configura il concorso formale tra il reato previsto dall’art. 73 e il delitto previsto dall’art. 75, comma 2, (già art. 9 L. 1423/1956), in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro: il presupposto di tale orientamento era la considerazione che il soggetto che guidava senza patente violava sia il precetto specifico, sia il precetto generico di vivere onestamente e rispettare le leggi.

Ma, appunto, le Sezioni unite hanno affermato che l’inosservanza delle prescrizioni generiche di ““vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall’art. 75, comma 2, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni cosiddette specifiche; la predetta inosservanza può, tuttavia, rilevare ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione.

Tale principio ha portato ad escludere che la condotta dell’imputato che si sia posto alla guida di un veicolo con patente revocata configuri il reato di cui all’art. 75, comma 2. Va aggiunto che la Corte costituzionale, con sentenza 25/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 2, nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla misura della sorveglianza speciale ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” (Sez. 1, 45320/2019).