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Art. 34–bis - Controllo giudiziario delle aziende (1)

1. Quando l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’articolo 34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d’ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività. Nel caso in cui risultino applicate le misure previste dall'art.  94-bis, il Tribunale valuta se adottare in loro sostituzione il provvedimento di cui al comma 2 lett. b).  (2)

2. Il controllo giudiziario è adottato dal tribunale per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni. Con il provvedimento che lo dispone, il tribunale può:

a) imporre nei confronti di chi ha la proprietà, l’uso o l’amministrazione dei beni e delle aziende di cui al comma 1 l’obbligo di comunicare al questore e al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, ovvero del luogo in cui si trovano i beni se si tratta di residenti all’estero, ovvero della sede legale se si tratta di un’impresa, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a euro 7.000 o del valore superiore stabilito dal tribunale in relazione al reddito della persona o al patrimonio e al volume d’affari dell’impresa. Tale obbligo deve essere assolto entro dieci giorni dal compimento dell’atto e comunque entro il 31 gennaio di ogni anno per gli atti posti in essere nell’anno precedente;

b) nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bimestralmente, gli esiti dell’attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero.

3. Con il provvedimento di cui alla lettera b) del comma 2, il tribunale stabilisce i compiti dell’amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo e può imporre l’obbligo:

a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l’oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza e di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l’autorizzazione da parte del giudice delegato;

b) di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 nei confronti dell’amministratore giudiziario;

c) di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi;

d) di adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24–ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni;

e) di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi.

4. Per verificare il corretto adempimento degli obblighi di cui al comma 3, il tribunale può autorizzare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell’impresa nonché presso uffici pubblici, studi professionali, società, banche e intermediari mobiliari al fine di acquisire informazioni e copia della documentazione ritenute utili. Nel caso in cui venga accertata la violazione di una o più prescrizioni ovvero ricorrano i presupposti di cui al comma 1 dell’articolo 34, il tribunale può disporre l’amministrazione giudiziaria dell’impresa.

5. Il titolare dell’attività economica sottoposta al controllo giudiziario può proporre istanza di revoca. In tal caso il tribunale fissa l’udienza entro dieci giorni dal deposito dell’istanza e provvede nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale. All’udienza partecipano il giudice delegato, il pubblico ministero e, ove nominato, l’amministratore giudiziario.

6. Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il  tribunale,  sentiti   il   procuratore   distrettuale competente, il prefetto  che  ha  adottato  l'informazione  antimafia interdittiva nonché (3) gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali.

7. Il  provvedimento che dispone l'amministrazione giudiziaria prevista dall'articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo  sospende  il termine di cui all'articolo 92, comma 2, nonché gli effetti  di  cui all'articolo  94.  Lo  stesso  provvedimento  è   comunicato   dalla cancelleria del tribunale al prefetto dove ha sede legale  l'impresa, ai fini dell'aggiornamento della banca  dati  nazionale  unica  della documentazione antimafia di cui all'articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell'applicazione delle misure di cui all'articolo 94-bis nei successivi cinque anni. (4)

(1) Articolo inserito dall’ art. 11, comma 1, L. 161/2017.

(2) L'ultimo periodo di questo comma è stato introdotto dall'art. 47, comma 1, lettera a), DL 152/2021.

(3) L'attuale formulazione dell'inciso tra le parole "Il" e "nonché" si deve all'art. 47, comma 1, lettera b), DL 152/2021.

(4) L'attuale formulazione del comma si deve all'art. 47, comma 1, lettera c), DL 152/2021.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, che il tribunale è tenuto a compiere per disporre il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall'art. 34-bis, commi 2 e 3 (Sez. 5, 2750/2022).

È compito del giudice della prevenzione riconoscere (in modo autonomo rispetto ai contenuti della interdittiva prefettizia e sulla base degli elementi di fatto raccolti in sede amministrativa o ulteriormente allegati dalle parti) i tratti di simile rapporto, nel senso che il controllo su domanda non può avvenire nelle ipotesi di 'stabile agevolazione' o in quelle di 'coincidenza soggettiva tra l'imprenditore e il portatore di pericolosità', essenzialmente perché si tratta di casi in cui non risulta ragionevole formulare una prognosi di recupero dell'attività aziendale verso modelli rispettosi dell'ordine economico e della libera concorrenza. Questi aspetti, che conducono a ritenere infondata la prospettazione circa un 'automatismo' tra domanda della impresa (raggiunta da interdittiva antimafia) e ammissione al controllo ex art. 34-bis, comma 6, sono stati di recente precisati da Sez. 1, 24678/2021, i cui contenuti vengono qui riproposti. Va premesso che il Tribunale delle Misure di Prevenzione è stato individuato dal legislatore come organo giurisdizionale cui spetta l'adozione - nelle diverse forme previste dalle disposizioni regolatrici - di provvedimenti tesi all'accertamento (momento cognitivo) ed al contrasto (momento dispositivo) di diverse situazioni di fatto correlate alla pericolosità sociale. La pericolosità è in primis considerata come condizione soggettiva, inerente alla persona fisica (artt. 1 e 4), lì dove le condotte pregresse tenute da un determinato individuo siano «inquadrabili» in una delle ipotesi tipiche (previste dalla legge e costituzionalmente valide perché rispondenti al parametro della tassatività descrittiva, come affermato dalla Corte costituzionale con la decisione 24/2019) e possano in tal senso essere poste a base di una prognosi di pericolosità soggettiva attuale. Ma la pericolosità è anche vista dal legislatore come una forma di relazione tra una o più condotte individuali (contra legem) ed i beni patrimoniali, o nel senso della avvenuta accumulazione, in forza delle ricadute di condotte vietate, di beni in capo al soggetto pericoloso (con neutralizzazione di simile relazione attraverso le tradizionali misure del sequestro e della confisca) o nel senso della strumentalizzazione di realtà economico/aziendali a fini di incremento o mantenimento di una condizione di potere ed influenza «di mercato» riconducibile alle finalità perseguite da gruppi criminali organizzati (in particolare di stampo mafioso, nel cui ambito la proiezione economica dell'agire rappresenta una delle finalità tipizzate nella previsione incriminatrice di cui all'art. 416-bis CP). Le necessità di contrasto alla pericolosità economico/patrimoniale, in un sistema giuridico che ricollega le limitazioni di diritti (costituzionalmente protetti) ad una base legale appropriata ed a momenti cognitivi giurisdizionali, hanno dunque condotto il legislatore del 2017 (legge n.161) ad incrementare, in sede di misure di prevenzione, la potenzialità applicativa degli strumenti rappresentati - in campo patrimoniale - dalla amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34) e del controllo giudiziario delle aziende (art. 34-bis), visti come modalità di intervento potenzialmente alternativo rispetto all'ordinario binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità. In tal senso, va ribadito che le disposizioni contenute nell'articolo 34 e nell'art. 34-bis vanno 'lette insieme' in quanto rappresentano - nelle intenzioni del legislatore - un sistema con pretese di omogeneità, basato sulla necessità di diversificazione della risposta giudiziaria prevenzionale al fenomeno della «contaminazione» dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata. La conferma della volontà del legislatore di creare forme di intervento diversificate - sulla base di valutazioni relative alla preliminare qualificazione del tipo di relazione intercorsa tra l'ente imprenditoriale, i suoi gestori ed il gruppo criminale - la si ricava dal testo dell'articolo 20, in tema di sequestro, per come anch'esso risulta novellato ai sensi dell'art. 5 L. 161/2017. In sede di proposta di sequestro - il che presuppone l'individuazione, da parte del soggetto pubblico proponente, di un soggetto portatore di pericolosità e di una relazione tra tale soggetto e uno o più beni - il Tribunale può ritenere sussistenti non già i presupposti tipici della misura richiesta (disponibilità dei beni in capo al portatore di pericolosità + sproporzione con il reddito di costui o relazione diretta tra attività illecita e beni sub specie frutto o reimpiego) ma, in alternativa, proprio quelli della amministrazione giudiziaria (art. 34) o del controllo giudiziario delle aziende (art. 34-bis), in tal senso « conformando ex officio» l'esito della richiesta. Da ciò non soltanto si desume che le misure 'alternative' della amministrazione o del controllo risultano affidate al prudente apprezzamento del giudice di prevenzione investito da una domanda di sequestro, ma soprattutto che lo sforzo richiesto al Tribunale della Prevenzione è quello di realizzare - sia pure in prima approssimazione - una calibrata qualificazione della «relazione» intercorrente tra i beni in questione ed il soggetto indicato come portatore di pericolosità tipica. A tal fine, lì dove non ci si trovi in presenza di una relazione definibile in termini di 'avvenuto investimento' da parte del soggetto pericoloso ( del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione funzionale di una azienda al fine di consentire l'esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca) risulta possibile applicare le misure della amministrazione o del controllo, con graduazione della intensità dell'intervento giudiziario, in chiave di potenziale «recupero» dell'ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l'esistenza: a) di una coartazione di volontà o di una oggettiva agevolazione (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall'azienda verso persone portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l'amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento dell’attività economica, ai sensi dell'art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico); b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa (l'agevolazione seppure sussiste, è occasionale, dunque 'non perdurante') con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all'art. 3- bis, consistente in una sorta di 'vigilanza prescrittiva', nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni controllo ed eventuali prescrizioni). La qualificazione preliminare della tipologia di relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda determina la scelta della tipologia di misura in funzione, essenzialmente, dei diversi scopi assegnati dal legislatore alle medesime. È evidente, infatti che mentre l'amministrazione ed il controllo mirano - essenzialmente - ad un ripristino funzionale dell'attività di impresa - una volta ridotta l'ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità - il sequestro deriva da una constatazione di pericolosità del soggetto che gestisce l'attività economica e mira alla recisione del nesso tra persona pericolosa e beni. Ed è anche necessario evidenziare che una volta adottate le misure del controllo o della amministrazione giudiziaria il Tribunale della Prevenzione, anche in esito alle verifiche disposte nel corso di tali misure, può mutare la prima qualificazione e transitare in una tipologia prevenzionale diversa,, adottando la misura più adeguata. Ciò posto, la particolare misura di prevenzione del controllo delle aziende «su domanda» ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6, realizza - in tale ambito - una ulteriore sottopartizione con caratteri peculiari. In presenza di un primo accertamento, a finii amministrativi, del «tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa» (art. 84), è data all'impresa (che pure contesta il fondamento fattuale della interdittiva) la possibilità di adottare un percorso emendativo ricorrendo all’applicazione del controllo giudiziario su domanda. Si configura in tal modo un’alternativa rappresentata dalla «consegna» dell'impresa al Tribunale delle misure di prevenzione, il che comporta l' applicazione di penetranti strumenti di controllo della gestione, di verifica dei flussi di finanziamento, di comunicazione di situazioni di fatto rilevanti, nonché l’eventuale obbligo di adottare misure organizzative idonee a prevenire il rischio di infiltrazione mafiosa (secondo il modello normativo di cui all'art. 34-bis, comma 2, lett. b, unico applicabile al controllo volontario). Nei casi di violazioni delle prescrizioni imposte o di accertamento della stabile agevolazione in favore di soggetti portatori di pericolosità qualificata il Tribunale può disporre l'amministrazione giudiziaria di cui all'art. 34, così come l'omissione dei doveri informativi relativi alle situazioni indicate dalla lettera a) del comma 2 dell'art. 34-bis è penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 76, comma. In simile contesto, va anche detto che non appare conforme al complessivo assetto legale dell'istituto - introdotto con L. 161/2017 - ritenere che il controllo giudiziario su richiesta si configuri come un 'beneficio' per il solo effetto legale di sospensione delle inibizioni derivanti dalla informazione antimafia interdittiva, trattandosi di una «alternativa » che realizza un diverso assetto di interessi (rispetto alla mera inibizione all'esercizio di determinate attività economiche) e che mira a recuperare, ove possibile, i profili di competitività 'non inquinata' della realtà aziendale ed a favorire un intervento del Tribunale della prevenzione asseverato da migliori conoscenze delle condizioni operative della singola impresa. Da quanto sinora detto deriva che ad essere ostativa all'accoglimento della domanda di controllo 'volontario' è, pertanto, la constatazione (da parte del Tribunale della prevenzione) della esistenza di una condizione di agevolazione «perdurante» dell'impresa a vantaggio di realtà organizzate, inquadrabili come realtà associative di stampo mafioso, se ed in quanto tale condizione - al momento della domanda di ammissione - renda negativa la prognosi di 'riallineamento' dell'impresa a condizioni operative di legalità e competitività. Tale assetto interpretativo deriva dai contenuti espressi dalla Sezioni Unite nel noto arresto del 2019 (SU, 46898/2019), secondo cui la verifica della condizione di fatto in cui si trova l'impresa richiedente va realizzata (sulla base delle fonti di conoscenza già emerse o allegate dalle parti in sede di udienza camerale) essenzialmente in chiave prognostica, nel senso della utilità o meno dello strumento oggetto di richiesta . Ed invero la citata decisione così precisa la direzione della verifica 'giurisdizionale: [..] con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento - e in ciò la motivazione della citata sentenza n. 29487 della Prima Sezione promuove prospettive non del tutto sovrapponibili alle conclusioni qui prese- non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa. La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco dell’attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il GD può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l'iter che la misura alternativa comporta [..] In altre parole, ciò che esclude la occasionalità della agevolazione è la 'tendenziale perduranza' del rapporto di condizionamento venutosi a creare tra l'ente criminale e l’impresa, con stabilità dei sottostanti assetti di interessi. Ed è utile rilevare che nella ipotesi del controllo della impresa 'volontario', l'analisi del nesso di agevolazione riguarda esclusivamente i rapporti esistenti tra l'attività economica di cui si discute e i soggetti portatori di pericolosità qualificata per riconosciuta appartenenza o contiguità ad organizzazioni di stampo mafioso, posto che tanto l'art. 34-bis che l'art. 84 evocano il pericolo di infiltrazione mafiosa, così realizzando una delimitazione ben precisa delle finalità e della natura degli strumenti giuridici tanto della interdittiva che del controllo volontario (Sez. 1, 31831/2021).

Il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34–bis, comma 6, è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito (SU, 46898/2019).

Il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende è previsto dall’art. 34–bis ed è stato inserito nel novero delle misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca, disciplinate nel capo V del Titolo II del predetto decreto, ad opera della L. 161/2017. In via generale, può affermarsi che l’istituto del controllo giudiziario trova la sua ratio nell’obiettivo di promuovere il recupero delle attività economiche e delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, nell’ottica di bilanciare in maniera più equilibrata gli interessi che si contrappongono in questa materiaSecondo la relazione finale della Commissione Fiandaca che ne ha teorizzato la figura, costituisce una misura innovativa che non determina lo “spossessamento gestorio” dell’azienda bensì configura, per un periodo minimo di un anno e massimo di tre, una forma meno invasiva di intervento nella vita dell’impresa, intervento che consiste in una “vigilanza prescrittiva” condotta da un commissario giudiziario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare “dall’interno dell’azienda” l’adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dall’AGI presupposti oggettivi di applicazione della misura del controllo giudiziario e la individuazione dei soggetti destinatari dell’agevolazione sono delineati nel primo comma dell’art. 34–bis e solo in parte rinviano a quelli dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, misura, quest’ultima, prevista dall’art. 34, parimenti oggetto di riforma attraverso le previsioni recate dalla L. 161/2017. Dette misure, in uno all’istituto dell’amministrazione dei beni personali di cui all’art. 33, partecipano di una comune caratteristica, rappresentata dall’assenza dei presupposti per addivenire all’applicazione della misura del sequestro finalizzato alla confisca, e costituiscono misure sussidiarie, applicabili ove venga riscontrato il tratto dell’agevolazione/soggezione dell’attività economica, intesa in senso lato, rispetto ad entità mafiose ovvero criminaliIl presupposto di carattere oggettivo per l’applicazione della misura del controllo giudiziario di cui all’art. 34–bis è costituito dall’agevolazione occasionale rispetto a soggetti e condotte in senso lato mafioso o criminale, agevolazione che autorizza l’intervento preventivo dello Stato in situazioni di pericolo di infiltrazione mafiosa con carattere anticipato rispetto alla ricorrenza di situazioni idonee ad integrare i presupposti per l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria.

Accanto al requisito dell’occasionalità dell’appoggio offerto dall’impresa alla criminalità mafiosa o organizzata, si pone una ulteriore condizione che è costituita dal rischio per l’attività economica di subire condizionamenti, rischio concreto (e non fumus astratto), attestato da circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di contaminazioni criminali, idonee a condizionarne l’attività.

Le categorie a favore delle quali può essere indirizzata l’agevolazione sono le stesse che giustificano l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria; entrambe le misure intendono sopperire a situazioni di infiltrazione mafiosa graduale, più subdola, già emerse nella realtà economica, prevedendo all’esito di tale controllo, più o meno incisivo, la possibilità della reimmissione dell’attività nell’ordinario tessuto produttivo.

Duplice può essere il contenuto della misura del controllo giudiziario: limitato alla imposizione di oneri comunicativi nei confronti dell’AG, meglio descritti alla lettera a) dell’art. 34–bis, o esteso all’imposizione di un GD e di un amministratore giudiziario, così denominato dall’art. 34–bis, comma 2, lett. b) creando così una sovrapposizione linguistica con la figura e l’istituto di cui all’art. 34. In quest’ultima ipotesi – secondo la previsione recata dalla richiamata norma – l’amministratore riferisce, almeno bimestralmente, gli esiti dell’attività di controllo al GD e al PM.

In aggiunta alla previsione dei compiti dell’amministratore finalizzati alle attività di controllo, il tribunale può imporre all’impresa una serie di obblighi, oggetto di previsione nel successivo comma 3 dell’art. 34–bis. La L. 161/2017 ha modificato anche le disposizioni recate dagli artt. 20 e 24, in materia di sequestro e di confisca, prevedendo che i provvedimenti di amministrazione e controllo giudiziario, ove ne ricorrono i presupposti, siano adottati dal tribunale, anche di ufficio, su proposta dei soggetti di cui all’art. 17.

Inoltre il tribunale può procedere di ufficio – ai sensi dell’art. 34, comma 6 – all’applicazione della misura del controllo giudiziario dell’impresa nel caso in cui venga revocata quella dell’amministrazione giudiziaria, previsione, questa, che ha potenziato le possibilità applicative dell’istituto in analisi.

Può, dunque, pervenirsi ad una prima conclusione, secondo la quale le previsioni di cui agli artt. 34 e 34–bis – contenute nel capo V – integrano il catalogo delle misure di prevenzione adottabili dall’AG e la loro disciplina risulta dalla combinazione delle disposizioni specializzanti, espresse dai richiamati artt. 34 e 34–bis, e da quelle previste, per il procedimento di applicazione, quanto ai presupposti sostanziali ed al sistema di impugnazione, dal titolo II.

Un particolare modello di misura di controllo giudiziario, rispetto a quella generale innanzi delineata, è costituito dall’istituto disciplinato dal comma 6 dell’art. 34–bis.

La norma prevede la possibilità di attivare la misura del controllo giudiziario su istanza delle aziende che sono state destinatarie della interdittiva antimafia di cui all’art. 84, comma 4. Il comma 7 dell’art. 34–bis disciplina gli effetti della misura del controllo giudiziario precisando che il provvedimento che la dispone sospende gli effetti di cui all’art. 94, mentre, nella prima parte del comma 6 dell’art. 34–bis, è indicato il contenuto specifico della misura che il tribunale può adottare, individuandolo nell’adozione dei provvedimenti di cui al comma 2, lett. b), art. 34–bis.

La misura del controllo giudiziario di cui all’art. 34–bis, comma 6, ha natura del tutto peculiare nella quale vengono in contatto istituti diversi, per struttura e caratteri: da un lato quello del controllo giudiziario regolato, in generale, dall’art. 34–bis e dall’altro la informazione antimafia interdittiva di cui all’art. 84.

Le “informazioni antimafia”, disciplinate dall’art. 84 appartengono al sistema della documentazione antimafia e, unitamente alle “comunicazioni antimafia”, costituiscono le fondamentali misure di prevenzione amministrative previste dal “codice antimafia” nel libro II e confermate, nel loro impianto, anche dalla recente modifica di cui alla L. 161/2017.

L’informazione antimafia, come precisato nel comma 3 dell’art. 84, consiste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 (relativo a tutti gli effetti che si producono a seguito di irrogazione di misura preventiva con carattere definitivo nei confronti dei destinatari), nonché, fatto salvo quanto previsto dall’art. 91 comma 6, nell’attestazione della sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, volti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate.

L’informazione antimafia ha natura discrezionale, laddove incarica il prefetto di verificare la sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nell’art. 84, comma 4, o dai provvedimenti di condanna, anche non definitiva, per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose (“contiguità concorrente”) o esserne in qualche modo, condizionata (“contiguità soggiacente”).

L’informazione antimafia preclude qualunque attività nei rapporti d’impresa con la pubblica amministrazione (contratti, concessioni o sovvenzioni pubblici), incidendo anche in quelli tra privati, poiché l’effetto interdittivo si estende alle autorizzazioni, in forza del D. Lgs. 153/2014.

Il Consiglio di Stato ha, a più riprese, precisato le caratteristiche e le finalità di tale forma di provvedimento prefettizio, individuandone i requisiti e gli effetti. L’informazione antimafia, secondo l’organo di giustizia amministrativa, costituisce un provvedimento discrezionale e non vincolato che deve fondarsi su un autonomo apprezzamento da parte dell’autorità prefettizia degli elementi emersi dalle indagini svolte o dei provvedimenti emessi in sede penale.

Il provvedimento di cd. interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale – in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la pubblica amministrazione – e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto destinatario è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67.

Il provvedimento in esame è soggetto alle impugnative giurisdizionali e amministrative, dei provvedimenti prefettizi. Il comma 6 dell’art. 34–bis, prevede che le imprese destinatarie di “informazione antimafia interdittiva” ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo (vale a dire la nomina di un GD e di un amministratore il quale riferisce all’AG, almeno bimestralmente, gli esiti dell’attività di controllo).

L’iter procedimentale della richiesta è disciplinato dal medesimo comma 6: il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 CPP, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti.

Successivamente, prosegue il citato comma 6, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali.

Effetto della disposta misura del controllo giudiziario richiesto dall’impresa, come innanzi anticipato, è la sospensione degli effetti di cui all’art. 94, ossia degli effetti prodotti dalla informazione prefettizia, esito che rende evidente, ictu oculi, al mero confronto con i descritti effetti prodotti dall’interdittiva prefettizia e dal controllo giudiziario, la vantaggiosità per le aziende contaminate che intendano essere depurate e rimanere sul mercato, dell’ammissione al controllo giudiziario: da qui l’affermazione della natura mitigatrice degli effetti della interdittiva prefettizia dell’istituto in parola.

Rispetto alla generale figura del controllo giudiziario di azienda adottabile dal tribunale quale misura di prevenzione di carattere patrimoniale ma non ablatoria, l’istituto in esame si caratterizza per la previsione di specifici requisiti del soggetto che può avanzare la richiesta, ovverosia le imprese già destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, e dell’ulteriore requisito che l’impresa richiedente abbia proposto impugnazione del provvedimento del prefetto.

Viceversa la misura di cui all’art. 34–bis è attivata su proposta dei soggetti di cui all’art. 17 ovvero è disposta di ufficio dal tribunale, in pendenza di richiesta di distinta misura di prevenzione patrimoniale della quale non ricorrono i presupposti, quali la richiesta di sequestro – art. 20 – o la richiesta di confisca di prevenzione – art. 24 – ovvero in caso di revoca della già disposta amministrazione giudiziaria – cfr. art. 34, comma 6. Contrastante in dottrina e nelle prime applicazioni pratiche dell’istituto, è stato l’apprezzamento della misura di cui all’art. 34–bis, comma 6, misura che ha trovato favorevole accoglimento nella prassi, documentata dal numero di richieste rivolte ai tribunali di prevenzione per l’applicazione dell’istituto.

È stata criticata come artificiosa la scelta legislativa di condizionare la richiesta dell’impresa alla previa impugnazione del provvedimento prefettizio, con il rischio di vanificare, a cagione delle lungaggini del procedimento amministrativo, l’adesione spontanea all’istituto che realizza il positivo effetto di affrancare l’impresa dall’invasività del provvedimento prefettizio, mettendola immediatamente al riparo dalla misura di prevenzione amministrativa.

Per altro aspetto, è risultata complessa, nelle prime applicazioni giurisprudenziali, la ricostruzione dei presupposti applicativi dell’istituto.

Sono stati discussi, in particolare, la individuazione del margine di discrezionalità in capo al tribunale competente destinatario della richiesta nella valutazione dei presupposti applicativi essendo, viceversa, proposto un automatismo di applicazione della misura del controllo giudiziario in presenza dei meri requisiti formali, cioè l’assoggettamento alla interdittiva e l’impugnazione del provvedimento prefettizio; sui poteri del tribunale della prevenzione in merito alla valutazione della legittimità delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto; sul contenuto prescrittivo del controllo, se, cioè, limitato alla nomina del GD e dell’amministratore, ai sensi del comma 2, lett. b) dell’ art. 34–bis ovvero esteso agli obblighi recati dal comma 3 dell’art. 34–bis.

Soprattutto sono risultati controversi i rapporti che intercorrono tra l’impugnazione in sede amministrativa e la misura del controllo giudiziario.

Ci si è domandato se l’applicazione del controllo giudiziario di cui all’art. 34–bis, comma 6, sia fisiologicamente ed inscindibilmente connessa alla pendenza di un procedimento giurisdizionale amministrativo o meno – e, quindi, se si è in presenza di un presupposto della richiesta ovvero mero requisito di ammissibilità della domanda – e quali siano i rapporti tra l’esito del procedimento amministrativo e la decisione irrevocabile che in esso sopraggiunga e la richiesta di controllo giudiziario, e, più in generale, quali sino i reciproci tra la misura del controllo giudiziario eventualmente disposto dal tribunale ai sensi del cit. comma 6 dell’art. 34–bis e l’esito della impugnativa amministrativa.

Si tratta di aspetti vari e ciascuno di essi non indifferente rispetto al tema della impugnabilità del provvedimento adottato dal tribunale di prevenzione adito dall’impresa che, come anticipato, è l’unico soggetto che può azionare la misura in esame e, in caso affermativo, della individuazione del mezzo di impugnazione. Ad alcuni di tali spunti problematici ha dato risposta la copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità.

Esaminando la problematica dell’ammissibilità della richiesta di sottoposizione al controllo giudiziario si è negato qualsivoglia automatismo di accesso a tale controllo, dovendo il giudice accertarne la ricorrenza dei presupposti e, in particolare, oltre alla intervenuta impugnazione del provvedimento prefettizio, quella della occasionalità del contagio mafioso (Sez. 5, 34526/2018).

Sotto altro aspetto, si è precisato che l’accertamento della sussistenza dei presupposti richiesti non investe anche la valutazione della legittimità o meno delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto (Sez. 2, 18564/2019; Sez. 2, 16105/2019).

Anche il tema dei rapporti tra la misura del controllo giudiziario eventualmente disposto dal tribunale ai sensi del comma 6 dell’art. 34–bis e l’impugnativa amministrativa è stato affrontato (Sez. 2, 16105/2019) concentrando l’attenzione dell’interprete sull’autonomia o meno dei due giudizi al momento della proposizione della domanda di controllo giudiziario. L’esame dei descritti aspetti di criticità e l’analisi del rapporto tra la impugnazione – che può essere amministrativa o giurisdizionale non essendovi specificazione nella norma – del provvedimento di interdittiva antimafia e la richiesta di applicazione della misura del controllo giudiziario, sposta direttamente l’attenzione sul tema dell’odierna decisione e sull’affermazione dalla quale muove la conclusione di inoppugnabilità del provvedimento emesso dal tribunale della prevenzione.

I riferimenti normativi che regolano l’istituto consentono, in primo luogo, di escludere che la disciplina positiva ne preveda un mezzo di impugnazione e, come noto, anche nella materia della prevenzione opera il principio di tassatività che presiede al regime delle impugnazioni ai sensi dell’art. 568, comma 1, CPP. Né la sintetica disciplina positiva innanzi richiamata – che delinea caratteri del tutto peculiari dell’istituto – contiene alcun rinvio al procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali o patrimoniali ovvero al sistema di impugnazione dei provvedimenti patrimoniali, recato dagli artt. 27 e 10.

Una conferma della non casualità del vuoto di previsione può essere tratta dalla specificazione, inserita nell’ultimo comma dell’art. 34 alla L. 161/2017, unitamente all’introduzione dell’esaminato art. 34–bis, di uno specifico richiamo ai mezzi di impugnazione esperibili avverso quel provvedimento, circostanza che sembra confermare, per inevitabile valutazione sistematica del nuovo testo normativo, l’assenza del diritto all’impugnazione nel caso che ci occupa.

Non si ignora che, riguardo alla questione, vi sono specifici provvedimenti di questa Corte nel senso della ricorribilità per cassazione del provvedimento di rigetto della richiesta di controllo giudiziario formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6.

La prima decisione in tal senso è stata assunta con sentenza resa all’esito di procedimento ai sensi dell’art. 611 CPP, ed è massimata nel senso che il provvedimento di rigetto della richiesta di controllo giudiziario formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 127, comma 7, CPP (Sez. 5, 34526/2018), individuata quale unica impugnazione consentita.

La sentenza indicata ha attribuito rilevanza al richiamo alle forme del procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 127 CPP ed ha fatto riferimento alla necessità di assicurare il controllo di legittimità “imposto, ex art. 111 Cost., dalla interferenza con diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, quale è la libertà di impresa”. Altra decisione (Sez. 2, 18564/2019) ha precisato che è deducibile con il ricorso, a mente dell’art. 10, comma 3, solo il vizio di violazione di legge. Tale conclusione è stata condivisa anche da ulteriori decisioni, non massimate.

L’opzione ermeneutica seguita da tali decisioni non è, tuttavia, condivisibile. Il principio costantemente affermato sul valore da attribuire al rinvio all’art. 127 CPP, operato nelle norme del codice con la formula, “secondo le forme previste” o con altre equivalenti riguarda la regola di svolgimento dell’udienza camerale ma non implica, di per sé, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, tanto che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio (SU, 17/1993).

Neppure appare decisivo il richiamo all’art. 111 Cost. Il provvedimento adottato dal tribunale di prevenzione ai sensi del comma 6 dell’art. 34– bis, non incide sulla libertà personale – ambito richiamato dalla previsione costituzionale – mentre il riferimento alla interferenza con la libertà di impresa appare, piuttosto, volto ad attribuire al provvedimento impugnato la natura sostanziale di sentenza, ovvero, ai fini della ricorribilità per cassazione, di un provvedimento giurisdizionale che sia suscettibile di assumere carattere di definitività, quanto all’incidenza sulle posizione soggettive tutelate.

Orbene, si ritiene che la decisione del tribunale della prevenzione, sia di accoglimento che di rigetto della richiesta dell’interessato non possiede tali connotati ma, anzi, si caratterizza, alla stregua dei descritti presupposti strutturali dell’istituto e degli effetti del provvedimento di ammissione al controllo giudiziario eventualmente adottato, per il contenuto provvisorio della statuizione, alla quale inerisce l’attribuzione di decisione rebus sic stantibus e, pertanto, sia sempre rivedibile in forza di elementi nuovi che sopraggiungano fino al momento in cui, attraverso il giudicato amministrativo, gli effetti della misura di prevenzione amministrativa siano stabilizzati.

Non é casuale né approssimativa la scelta del legislatore di prevedere, come requisito della domanda di ammissione al controllo giudiziario in esame, l’impugnazione del relativo provvedimento – quale che essa sia, amministrativa o giurisdizionale – né la descrizione delle conseguenze del provvedimento di ammissione, individuata attraverso l’espressione “sospende gli effetti”, indicazione che comporta la necessità che il procedimento di impugnazione in sede amministrativa sia ancora pendente.

La ratio e la funzione dell’istituto non possono ragionevolmente consistere nell’aggiramento della misura interdittiva amministrativa, ovvero in una sua anomala impugnativa dinanzi al tribunale della prevenzione (in violazione del principio di riparto della giurisdizione), con la produzione degli effetti tipici di tale decisione di annullamento ovvero revoca della misura di prevenzione amministrativa, esiti decisori che permangono in capo alla competente autorità amministrativa o giurisdizionale.

Si deve concludere che la norma delinea la previsione che l’azienda interessata, fintanto che sia pendente l’impugnazione e sia in corso la contestazione della legittimità del provvedimento amministrativo, possa rivolgersi al tribunale di prevenzione, individuato in ragione della specifica competenza nella materia, demandandogli la verifica – nel contraddittorio tra le parti interessate – della sussistenza dei requisiti (sussistendone i presupposti) di applicazione di una misura meno stringente di quella applicata in sede amministrativa e della quale, in caso di accoglimento della richiesta, sono sospesi gli effetti.

La misura del controllo giudiziario di cui all’art. 34–bis, comma 6, consente l’operatività dell’azienda stessa, sotto controllo dell’AG, attraverso un adeguato bilanciamento di interessi, quando l’agevolazione degli scopi criminali risulti occasionale, ovvero emergano profili di infiltrazione non stabili e l’impresa, attivando il meccanismo dell’impugnazione del provvedimento interdittivo, abbia contestato la legittimità della decisione che, altrimenti, si ha per accettata.

Deve, invece, escludersi qualsiasi potere di controllo da parte del tribunale di prevenzione sui presupposti che legittimano l’applicazione dell’interdittiva antimafia, venendo, altrimenti, a realizzarsi una illegittima invasione delle sfere di competenza dell’autorità amministrativa ed una illegittima duplicazione di procedimenti aventi ad oggetto la legittimità delle interdittive, la cui valutazione resta esclusivamente di competenza del prefetto e del “giudice” amministrativo, quale esso sia.

Gli effetti del provvedimento adottato dal tribunale della prevenzione, individuati e descritti nella norma richiamata, non sono immediatamente correlati all’esercizio di diritti di rango costituzionale – diritti che sono connessi alla vicenda impugnatoria dell’interdittiva prefettizia dinanzi al competente organo amministrativo – ma sono di preminente natura cautelare essendo volti a realizzare una ulteriore forma di tutela dell’impresa destinataria della misura di prevenzione amministrativa consentendogli la continuità dell’attività economica, in vista della decisione amministrativa sulla inibitoria.

In caso di esito positivo di accoglimento della richiesta, con applicazione della misura del controllo giudiziario, per l’accertata sussistenza di situazioni, ancorché occasionali, di infiltrazione/condizionamento criminale dell’impresa – infiltrazione/condizionamento che, vale ricordarlo, sono a base della informativa prefettizia – non si produce un effetto decisorio definitivo suscettibile di incidere sulla situazione soggettiva dell’impresa destinataria della informativa, esito connesso al giudizio dinanzi alla competente autorità amministrativa, ma solo una sospensione degli effetti del provvedimento inibitorio, analoga a quella che interviene per effetto di un provvedimento di sospensiva autorità amministrativa, effetti che, ove sopravvenga il giudicato amministrativo di rigetto, sono destinati a riespandersi, ovvero a venire meno del tutto, nel caso in cui la decisione amministrativa sia favorevole all’impresa che, per l’effetto, viene rimessa nel pieno esercizio dei suoi diritti.

La norma in esame, peraltro, non disciplina l’esito del procedimento di controllo giudiziario, del quale non è prevista la durata, se non riferendosi alla possibilità di revoca del provvedimento e a quella di disporre altre misure di prevenzione patrimoniali, ricorrendone i presupposti; rinvio sintetico, ma sufficiente per enucleare quale esito possibile anche quello dell’applicazione, da parte dell’AG, di una misura di prevenzione patrimoniale.

Certamente, poi, nel caso in cui l’impugnativa amministrativa sia favorevole all’impresa, viene meno uno dei requisiti soggettivi che costituisce il presupposto dell’applicazione della misura del controllo giudiziario che da tale soggetto era stato attivato.

Conclusivamente, si ritiene che l’accoglimento della richiesta di controllo giudiziario , ex art. 34–bis, comma 6, secondo l’esito auspicato dalla impresa richiedente, che è l’unica legittimata a proporre la domanda, determina l’attivazione degli obblighi connessi al controllo giudiziario e la mera sospensione (e non già nell’annullamento ovvero la revoca) della interdittiva prefettizia, effetti caducatori, questi ultimi, che possono prodursi solo nella competente sede amministrativa, secondo una precisa scelta del legislatore – anche di natura semantica – e dell’inquadramento sistematico dell’istituto del controllo giudiziario per nulla casuale, scelta che ribadisce la natura provvisoria dell’applicazione dell’istituto e funzionale a ridimensionarne gli effetti, nelle more della definitiva decisione amministrativa sulla misura interdittiva applicata dal prefetto, che ne costituisce il presupposto..

In caso di applicazione della misura, corrispondente ad una precisa richiesta dell’impresa interessata, questa potrà sempre sollecitare la revoca del provvedimento, revoca che potrà essere proposta anche dall’amministratore giudiziario, per sopravenute modifiche delle condizioni di applicazione, o conseguire anche alla definizione della impugnazione amministrativa nella sede naturale.

E’ inoltre previsto che, in tale evenienza, anche quando si verifichi una situazione favorevole all’impresa interessata, con l’ annullamento della misura interdittiva, il tribunale di prevenzione, comunque investito della conoscenza di una situazione di contagio criminale dell’attività economica, possa attivare, ricorrendone i presupposti, una misura di prevenzione, secondo le previsioni del codice antimafia in materia di misure di competenza dell’AG, procedura di revoca che chiama in causa anche la pubblica accusa, pienamente informata, attraverso la procedura camerale ed i suoi esiti, della misura amministrativa e della fase aperta con la misura del controllo giudiziario richiesto dall’azienda interessata.

L’art. 34–bis – che prevede la procedura in discorso quando i pericoli di infiltrazione comportino solo “in via occasionale” l’agevolazione dell’attività di impresa che ha fondato l’applicazione della misura interdittiva antimafia amministrativa – non incide sulla sussistenza dei pericoli stessi – che, anzi, presuppone – attenendo unicamente alla possibilità di consentire, in via provvisoria, la prosecuzione dell’attività economica e prende atto della necessità di salvaguardare, con le necessarie cautele, le realtà produttive che, per quanto incise da tentativi di infiltrazione mafiosa, manifestino un grado di autonomia gestionale (dalle consorterie criminali) non ancora totalmente compromesso e sufficiente a consentirne un’attività economica corretta, pure in forma “controllata”.

Opzione favorita dal legislatore il cui intento è quello di conservare, per quanto possibile, realtà produttive che, soprattutto nelle zone in cui esistono i fenomeni associativi criminali più eclatanti, possano costituire rimedio all’assenza di credibili opportunità occupazionali.

Un definitivo esito decisorio non si produce neppure in caso di esito negativo, di inammissibilità o rigetto, della richiesta dell’impresa destinataria di informazione prefettizia antimafia, per carenza dei requisiti che legittimano il ricorso all’applicazione della misura, come ad es. per la mancanza del requisito della occasionalità ovvero della inidoneità e incapacità dell’impresa di svolgere dall’interno un’adeguata e idonea azione di bonifica volta alla eliminazione delle situazioni segnalate nella informativa prefettizia come indicative o sintomatiche del pericolo di infiltrazione/condizionamento/contaminazione mafiosa dell’impresa.

Tale conclusione non solo non è positivamente prevista, sotto forma di preclusione o decadenza, ma, soprattutto, non è in linea con i descritti requisiti soggettivi e presupposti di accesso alla misura del controllo giudiziario a richiesta dell’impresa destinataria dell’informativa prefettizia, in positivo delineati dalla previsione di cui all’art. 34–bis, controllo che, pertanto, può essere azionato, ricorrendone i presupposti giustificativi, in qualunque momento del complesso iter dell’impugnativa amministrativa.

Ciò è tanto più vero ove si osservi che le aziende e imprese costituiscono sia per la compagine soggettiva che per il dinamismo che ne caratterizza l’operatività, soggetti giuridici che possono attivare positive sinergie per la rimozione di quelle condizioni di infiltrazione e agevolazione criminale e che, pertanto, possono avviarsi sulla via della bonifica adottando modelli di organizzazione e gestione risanati.

La modifica sostanziale di tali condizioni operative ha diretta incidenza sulla procedura amministrativa di applicazione della misura, che come previsto dall’art. 91, comma 5, ultimo periodo, deve essere sempre aggiornata in presenza di nuovi elementi di valutazione offerti dall’interessato all’autorità amministrativa e che, per l’effetto, rifluisce anche sulla possibilità di riproposizione della richiesta di controllo giudiziario. Né ricorrono i presupposti affinché possa ritenersi che il provvedimento impugnato presenta caratteri di abnormità, secondo la generica prospettazione svolta dal ricorrente.

La categoria dell’abnormità è stata elaborata dalla giurisprudenza con l’intento dichiarato di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione e di apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati in nessuno schema legale.

Il ricorso per cassazione rappresenta, pertanto, lo strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del suo contenuto, deve essere considerato avulso dall’intero ordinamento giuridico (SU, 7/1989).

Tale evenienza non ricorre nel caso in esame poiché il provvedimento adottato non si discosta né diverge dalle previsioni della norma e dell’intero e organico sistema della legge in materia di misure di prevenzione, non essendosi esplicato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, stante la descritta natura e funzione dell’istituto e la inerenza dei poteri di controllo esercitati dal giudice ai fini dell’adozione del provvedimento (Sez. 6, 22889/2019).

Il comma 6 dell’art. 34–bis stabilisce che “Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo.

Il Tribunale, sentiti il Procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali”.

Si deve in definitiva ritenere che l’accesso all’istituto sia “fisiologicamente” ed inscindibilmente connesso alla pendenza di un ricorso avverso l’interdittiva essendo la sua ratio quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l’ausilio di un controllore nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, la decozione dell’impresa che, privata di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della “pendenza” del provvedimento prefettizio.

Peraltro, la chiara dizione letterale dell’art. 34–bis non lascia adito a dubbi sul fatto che l’istituto del comma 6 ha natura provvisoria ed è finalizzato a consentire la continuità delle attività di impresa ed a salvaguardare anche le esigenze occupazionali fintanto che non intervenga una pronuncia giudiziale definitiva, proprio nel periodo in cui l’interessato può ancora contestare la legittimità del provvedimento amministrativo.

A ulteriore sostegno della tesi dell’interdipendenza tra il procedimento innanzi al tribunale della prevenzione e quello in sede amministrativa è stato ancora evidenziato che il procedimento in sede di prevenzione ha una propria autonomia in quanto il tribunale può accogliere la richiesta solo «ove ne ricorrano i presupposti» non potendo vagliare la “legittimità” dell’interdittiva antimafia, ovvero la correttezza dell’impianto che la sorregge, sindacato quest’ultimo rimesso in via esclusiva al Prefetto ed al “giudice” amministrativo; per altro verso, è evidente che il legislatore non ha voluto riconoscere al privato uno strumento alternativo al ricorso in sede amministrativa attraverso il quale dolersi delle valutazioni del Prefetto.

In definitiva, dunque, si è in presenza di una provvedimento di prosecuzione “controllata” dell’attività di impresa mediante l’adozione di provvedimenti utili a neutralizzare per il futuro i pericoli di infiltrazione e di condizionamento alla base dell’interdittiva e previa sospensione degli effetti di quest’ultima e che, come pure si è giustamente sottolineato, non può certo avere la conseguenza di vanificare un provvedimento ormai definitivo sospendendone di fatto tutti gli effetti e configurandosi, nella sostanza, come uno strumento alternativo di impugnazione (Sez. 2, 39412/2019).

L’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva può avere accesso alla misura del controllo giudiziario a sua richiesta, ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6, allorché abbia impugnato il provvedimento prefettizio e ricorra un’ipotesi di agevolazione dei soggetti indicati dall’art. 34, comma 1, con carattere “occasionale (Sez. 5, 34526/2018).

L’art. 34–bis, comma 6 dà vita a un particolare caso in cui la misura di prevenzione è applicata su domanda non già della parte pubblica (ai sensi degli artt. 5 e 17) ma della parte privata, rappresentata da una impresa «destinataria di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84 comma 4».

Trattandosi di una disposizione – l’intero articolo 34–bis – di recente introduzione, appare opportuno – anche al fine di porre le basi logiche per la soluzione del quesito in tema di competenza – illustrare e considerare alcuni profili sistematici. Il tribunale delle misure di prevenzione è individuato dal legislatore come organo giurisdizionale cui spetta l’adozione – nelle diverse forme previste dalle disposizioni regolatrici – di provvedimenti tesi all’accertamento (momento cognitivo) ed al contrasto (momento dispositivo) di diverse situazioni di fatto correlate alla pericolosità sociale.

La pericolosità è in primis considerata come condizione soggettiva, inerente alla persona fisica (artt. 1 e 4), lì dove le condotte pregresse tenute da un determinato individuo siano «inquadrabili» in una delle ipotesi tipiche (previste dalla legge e costituzionalmente valide perchè rispondenti al parametro della tassatività descrittiva (come affermato nella sentenza 24/2019 della Consulta) e possano in tal senso essere poste a base di una prognosi di pericolosità soggettiva attuale (con ritenuta probabilità di reiterazione del comportamento illecito).

Ma la pericolosità – nella più moderna accezione – è anche e soprattutto vista dal legislatore come una forma di relazione tra una o più condotte individuali (contra legem) ed i beni patrimoniali, o nel senso della avvenuta accumulazione, in forza delle ricadute di condotte vietate, di beni in capo al soggetto pericoloso (con neutralizzazione di simile relazione attraverso le tradizionali misure del sequestro e della confisca), o nel senso della strumentalizzazione di realtà economiche/aziendali a fini di incremento o mantenimento di una condizione di potere ed influenza «di mercato» riconducibile alle finalità perseguite da gruppi criminali organizzati (in particolare di stampo mafioso, nel cui ambito la proiezione economica dell’agire rappresenta una delle finalità tipizzate nella previsione incriminatrice di cui all’art. 416–bis CP).

Le necessità di contrasto alla pericolosità economico/patrimoniale, in un sistema giuridico che ricollega le limitazioni di diritti (costituzionalmente protetti) ad una base legale appropriata ed a momenti cognitivi giurisdizionali, hanno dunque condotto il legislatore del 2017 (L. 161) ad incrementare, in sede di misure di prevenzione, la potenzialità applicativa degli strumenti rappresentati – in campo patrimoniale – dalla amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34) e dell controllo giudiziario delle aziende (art. 34–bis), visti come modalità di intervento potenzialmente alternativo rispetto all’ordinario binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità.

In tal senso, va ritenuto che le disposizioni contenute nell’articolo 34 e nell’art. 34–bis vanno “lette insieme’ in quanto rappresentano – nelle intenzioni del legislatore – un sotto–sistema con pretese di omogeneità, basato sulla necessità di diversificazione della risposta giudiziaria prevenzionale al fenomeno della «contaminazione» dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata.

La conferma della volontà del legislatore di creare forme di intervento diversificate – sulla base di valutazioni relative alla preliminare qualificazione del tipo di relazione intercorsa tra l’ente imprenditoriale, i suoi gestori ed il gruppo criminale – la si ricava dal testo dell’articolo 20. In sede di proposta di sequestro – il che presuppone l’individuazione, da parte del soggetto pubblico proponente, di un soggetto portatore di pericolosità e di una relazione tra tale soggetto e uno o più beni – il tribunale può ritenere sussistenti non già i presupposti tipici della misura richiesta (disponibilità dei beni in capo al portatore di pericolosità e sproporzione con il reddito di costui o relazione diretta tra attività illecita e beni sub specie frutto o reimpiego) ma, in alternativa, proprio quelli della amministrazione giudiziaria (art. 34) o del controllo giudiziario delle aziende (art. 34–bis), in tal senso « conformando ex officio» l’esito della richiesta.

Da ciò non soltanto si desume che le misure “alternative’ della amministrazione o del controllo risultano una alternativa affidata al prudente apprezzamento di ogni giudice di prevenzione investito da una domanda di sequestro, ma soprattutto che lo sforzo richiesto al tribunale della prevenzione è quello di realizzare – sia pure in prima approssimazione – una calibrata qualificazione della «relazione» intercorrente tra i beni in questione ed il soggetto indicato come portatore di pericolosità tipica.

A tal fine, lì dove non ci si trovi – secondo il tribunale – in presenza di una relazione definibile in termini di “avvenuto investimento’ da parte del soggetto pericoloso ( del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione piena di una azienda al fine di consentire l’esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca), risulta possibile applicare le misure della amministrazione o del controllo, con graduazione della intensità dell’intervento giudiziario, in chiave di potenziale «recupero» dell’ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l’esistenza : a) di una coartazione di volontà o di una oggettiva agevolazione (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall’azienda verso persone “esterne’ portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento dell’attività economica, ai sensi dell’art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico); b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa (l’agevolazione, seppure sussiste, è occasionale) con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all’art. 34–bis, consistente in una sorta di vigilanza prescrittiva, nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni di controllo ed eventuali prescrizioni).

Dunque la qualificazione preliminare della tipologia di relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda influenza – sempre – la scelta della tipologia di misura in funzione, essenzialmente, dei diversi scopi assegnati dal legislatore alle medesime.

È evidente, infatti che, mentre l’amministrazione ed il controllo mirano – essenzialmente – ad un ripristino funzionale dell’attività di impresa – una volta ridotta l’ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità esterni il sequestro deriva da una constatazione di pericolosità del soggetto che gestisce l’attività economica e mira alla recisione del nesso tra persona pericolosa e beni.

Ed è anche necessario evidenziare che una volta adottate le misure del controllo o della amministrazione giudiziaria il tribunale della prevenzione, anche in esito alle verifiche disposte nel corso di tali misure, può mutare la prima qualificazione e transitare in una tipologia prevenzionale diversa, adottando la misura più adeguata. 3. Ciò posto, appare evidente che anche la domanda della parte privata, nel particolare caso dell’art. 34–bis, comma 6 – domanda posteriore ad interdittiva antimafia – è richiesta applicativa di una misura di prevenzione patrimoniale.

L’azienda che sino a quel momento ha operato liberamente sul mercato, a fronte della notifica dell’interdittiva può – in altri termini – decidere di «consegnarsi» al tribunale della prevenzione, consapevole del fatto che se da un lato ciò rimuove (in accoglimento della domanda) le inibizioni alla prosecuzione dell’attività (art. 34–bis, comma 7), dall’altro si apre una fase di gestione condivisa con l’amministratore nominato dal tribunale, cui spettano penetranti poteri di ricostruzione degli assetti economico–finanziari, il cui esercizio può portare all’applicazione di più gravosa misura di prevenzione.

Le verifiche, pertanto, che il tribunale della prevenzione è chiamato ad operare sulla domanda della parte ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6, al di là dell’avvenuta emissione (ed impugnazione) della informazione interdittiva, riguardano – essenzialmente – la rispondenza o meno della misura richiesta alle finalità cui si ispira la disciplina di legge, nel senso che l’analisi delle fonti cognitive disponibili non deve portare, nell’immediato, a riconoscere come sussistente una delle ipotesi tipiche di pericolosità (di cui all’art. 4) a carico del soggetto gestore dell’attività aziendale (posto che, in tal caso, la misura del controllo risulterebbe ictu oculi inadeguata, ed in tale direzione è da ritenersi sia finalizzata la previsione della preliminare interlocuzione con la procura distrettuale competente), ma non appare – per il resto – strettamente necessaria la qualificazione in tale fase del nesso esistente tra i soggetti portatori di pericolosità “esterni’ e l’attività aziendale, posto che tale nesso può e deve essere oggetto di approfondimento nel corso della misura, con eventuale : a) revoca del provvedimento, lì dove l’azienda sia ritenuta immune da pericolo di contaminazioni; b) aggravamento della misura, lì dove si ritenga che non ci si trovi in presenza di una agevolazione meramente occasionale quanto di una agevolazione stabile, con transito, in tal caso, nella diversa misura della amministrazione giudiziaria, ai sensi della medesima previsione di legge.

Circa tali aspetti, peraltro, il quadro interpretativo delle nuove disposizioni pare essere ancora in fase di stabilizzazione, essendosi generalmente affermato – nei primi arresti di legittimità – che l’ammissione al controllo su richiesta non può ritenersi un effetto automatico della domanda, aspetto di certo connaturale alla giurisdizionalità, con accentuazione – tuttavia– della necessità, a fini di accoglimento della domanda, di una immediata qualificazione della relazione intercorsa tra l’azienda ed il gruppo mafioso in termini di agevolazione occasionale (requisito introdotto dal legislatore al comma 1 dell’art. 34–bis).

Tale aspetto se da un lato riprende la fisionomia generale dell’istituto, dall’altro potrebbe in verità – secondo quanto si è detto in precedenza – riguardare, nel caso del controllo su richiesta, una fase posteriore all’accoglimento della istanza (ove venga preliminarmente esclusa la pericolosità del gestore dell’attività economica), caratterizzata da migliore conoscenza della realtà aziendale, proprio in quanto assistita dall’esercizio dei poteri attribuiti dalla legge all’amministratore giudiziario nominato ai sensi dell’art. 34–bis, comma 2 .

Ciò che rileva – in ogni caso – è, a fini di statuizione in punto di competenza, la ineliminabile considerazione della giurisdizionalità piena del procedimento attivato dalla parte privata, in una con la appartenenza della disposizione di cui all’art.34bis ad un sotto–sistema teso alla individuazione, da parte del tribunale della prevenzione, dell’intervento più adeguato al caso concreto sottoposto ad esame.

Da quanto sinora detto può trarsi, sul tema della competenza a provvedere, la decisiva considerazione per cui anche ai fini di individuazione del tribunale competente, ciò che rileva è la «lettura congiunta» delle disposizioni di legge di cui agli articoli 34 e 34–bis, con riaffermazione della autonomia valutativa del tribunale della prevenzione rispetto alle provvisorie statuizioni adottate in sede amministrativa.

Posto che il tribunale della prevenzione intanto interviene – nella costruzione normativa dei suoi poteri tipici – in quanto vi sia da prendere in esame una «relazione» tra l’agire di un soggetto (o un gruppo di soggetti) pericoloso e taluni beni, è evidente che ad essere rilevante a fini di competenza giurisdizionale non è il luogo di emissione del provvedimento interdittivo amministrativo ma il luogo di «manifestazione esteriore» della pericolosità soggettiva, che, stante la tipologia di domanda, è per definizione quella «esterna» alla realtà aziendale, potenzialmente capace di alterarne le scelte e gli indirizzi (così come espresso dal legislatore nel corpo dell’art. 34, comma 1, ove la competenza si radica in rapporto alla individuazione della pericolosità dei soggetti agevolati) .

Ciò va ribadito anche in rapporto al fatto che – per regola generale – la competenza di un organo giurisdizionale si radica in rapporto alla prospettazione, restando il successivo sviluppo del procedimento governato dalla naturale combinazione tra gli aspetti probatori e la verifica della rispondenza, o meno, dei medesimi alla fattispecie astratta disegnata dal legislatore (Sez. 1, 29487/2019).

Si è acutamente osservato che proprio la stessa sospensione degli effetti della interdittiva, conseguente alla adozione del provvedimento e prevista dal comma 7 dell’art. 34–bis, lascia necessariamente supporre che il procedimento in sede amministrativa sia ancora pendente.

È stato inoltre segnalato che la possibilità di accedere all’istituto anche nel caso di provvedimenti interdittivi impugnati ma, nel frattempo, divenuti irrevocabili e definitivi per mancata loro impugnazione, comporterebbe un irragionevole disparità di trattamento con la ipotesi, che sottintende una situazione di fatto sostanzialmente analoga, in cui detto provvedimento sia divenuto irrevocabile per essere stato definitivamente rigettato il ricorso amministrativo.

Si deve in definitiva ritenere che l’accesso all’istituto è “fisiologicamente” ed inscindibilmente connesso alla pendenza di un ricorso avverso l’interdittiva essendo la sua ratio quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l’ausilio di un controllore nominato dal tribunale, la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, la decozione dell’impresa che, privata di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della “pendenza” del provvedimento prefettizio.

Si è anche segnalato che, pur considerando che la durata della misura del controllo giudiziario potrebbe non essere in linea con i tempi del processo amministrativo, la chiara dizione letterale dell’art. 34–bis non lascia adito a dubbi sul fatto che l’istituto del comma 6 ha natura provvisoria ed e finalizzato, in un adeguato bilanciamento di interessi, a consentire la continuità delle attività di impresa ed a salvaguardare anche le esigenze occupazionali fintanto che non intervenga una pronuncia giudiziale definitiva, proprio nel periodo in cui l’interessato può ancora contestare la legittimità del provvedimento amministrativo.

A sostegno della tesi dell’interdipendenza tra il procedimento innanzi al tribunale della prevenzione e quello in sede amministrativa è stato ancora evidenziato che il procedimento in sede di prevenzione ha una propria autonomia in quanto il tribunale può accogliere la richiesta solo «ove ne ricorrano i presupposti» non potendo vagliare la “legittimità” dell’interdittiva antimafia, ovvero la correttezza dell’impianto che la sorregge, sindacato quest’ultimo rimesso in via esclusiva al prefetto ed al “giudice” amministrativo; per altro verso, è evidente che il legislatore non ha voluto riconoscere al privato uno strumento alternativo al ricorso in sede amministrativa attraverso il quale dolersi delle valutazioni del prefetto.

In definitiva, dunque, si è in presenza di una provvedimento di prosecuzione “controllata” dell’attività di impresa mediante l’adozione di provvedimenti utili a neutralizzare per il futuro i pericoli di infiltrazione e di condizionamento alla base dell’interdittiva e previa sospensione degli effetti di quest’ultima e che, come pure si è giustamente sottolineato, non può certo avere la conseguenza di vanificare un’interdittiva ormai definitiva sospendendone di fatto tutti gli effetti e configurandosi, nella sostanza, come uno strumento alternativo di impugnazione (Sez. 2, 27856/2019).

Deve escludersi la configurabilità di un automatismo nell’applicazione del controllo giudiziario ex art. 34–bis, sulla sola base di una richiesta in tal senso formulata, ai sensi del comma 6 del predetto articolo, dall’impresa colpita da interdittiva antimafia (in pendenza dell’impugnazione avverso quest’ultima) (Sez. 2, 21722/2019).

In materia di misure di prevenzione, l’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva può avere accesso alla misura del controllo giudiziario a sua richiesta, ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6, allorché abbia impugnato il provvedimento prefettizio e ricorra un’ipotesi di agevolazione dei soggetti indicati dall’art. 34, comma 1, con carattere occasionale (Sez. 2, 14586/2019).

Il controllo giudiziario che permette la prosecuzione dell’attività imprenditoriale sotto controllo giudiziario non ha effetti retroattivi e non costituisce un superamento dell’interdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza, con l’adozione di un regime in cui l’iniziativa imprenditoriale può essere ripresa per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro, sempre naturalmente in un regime limitativo di assoggettamento ad un controllo straordinario (Cons. Stato, Sez. 5, 3268/2018).

Il controllo giudiziario non è idoneo a modificare il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione nella società colpita dallinterdittiva; ciò in quanto in primo luogo il controllo giudiziario che permette la prosecuzione dellattività imprenditoriale sotto controllo giudiziario non ha effetti retroattivi ed in secondo luogo perché non costituisce un superamento dellinterdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza, con ladozione di un regime in cui liniziativa imprenditoriale può essere ripresa per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro, sempre naturalmente in un regime limitativo di assoggettamento ad un controllo straordinario.

Lart. 34bis ammette la procedura in discorso quando i pericoli di infiltrazione comportino solo in via occasionale lagevolazione dellattività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura antimafia, ma una tale valutazione non incide sulla sussistenza dei pericoli stessi attenendo unicamente alla possibilità di consentire, pure in via provvisoria, la prosecuzione dellattività economica.

In altri termini la misura del controllo giudiziario costituisce un tentativo di salvaguardare, con le necessarie cautele, le realtà produttive che, per quanto incise da tentativi di infiltrazione mafiosa, manifestino un grado di autonomia gestionale (dalle consorterie criminali) non ancora totalmente compromesso e, anzi, sufficiente a consentirne unattività economica corretta  pure in forma controllata, sforzandosi in tal modo il Legislatore di conservare, per quanto possibile, realtà produttive che, soprattutto nelle zone in cui esistono i fenomeni associativi criminali più eclatanti, possano costituire rimedio allassenza di credibili opportunità occupazionali. In tale ottica non può certo opinarsi dallammissione alla procedura in discorso un superamento ovvero una qualche forma di attenuazione del giudizio formulato dalla Prefettura con linformativa.

Lammissione alla procedura in discorso attesta solo la presenza di un procedimento che gemma da quello che ha condotto alladozione dellinterdittiva, presupponendolo, e che risponde al fine di verificare se limpresa che ne è attinta non sia strutturalmente compromessa con la criminalità organizzata e se ne possa, quindi, consentire un regime di operatività controllata. In conclusione, mentre non vengono travolti gli effetti dei provvedimenti già adottati in esecuzione dellinterdittiva antimafia e precedenti allammissione al controllo giudiziario ne viene preclusa ladozione successiva (TAR Campania, Sez. 1, 6423/2018).

Si segnala ancora la circolare n. 11001/119/20 emessa il 22 marzo 2018 dal Ministero dellInterno che pone a carico del prefetto lobbligo di iscrivere nella white list richiesta dallazienda destinataria di informazione interdittiva che abbia impugnato il relativo provvedimento ed ottenuto dal Tribunale competente per le misure di prevenzione lapplicazione del controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2, dellart. 34bis.

Se, infatti, la consultazione dellelenco è la modalità obbligatoria attraverso la quale deve essere acquisita la documentazione antimafia per le attività a rischio, un eventuale rifiuto delliscrizione finirebbe con il vanificare la sospensione disposta dal Giudice, la cui finalità è proprio quella di incentivare ladesione spontanea dellimpresa a questo nuovo strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali consentendole di continuare ad operare nei rapporti con la pubblica amministrazione.

La medesima circolare ha così disposto riguardo al rapporto tra listituto previsto dallart. 34bis e lamministrazione disposta dal prefetto ai sensi dellart. 32, comma 10 DL 90/2014: Altra questione sottoposta all’attenzione di quest’Ufficio è il rapporto tra l’amministrazione disposta dal Prefetto ai sensi dell’art. 32, comma 10, del decreto–legge n. 90/2014 e la nomina per la medesima azienda dell’amministratore giudiziario, in base all’art. 34–bis, del Codice antimafia.

La prima previsione configura una misura chiaramente preordinata al perseguimento di determinati interessi pubblici tassativamente elencati che vengono messi in pericolo da situazioni di contiguità o di agevolazione mafiosa ascrivibili a responsabilità dell’impresa e dei soggetti capaci di determinarne l’andamento. Si tratta di un presidio a garanzia di uno specifico contratto, quello in relazione al quale vengono in evidenza le esigenze individuate dalla norma, e non della totalità delle commesse dell’impresa all’atto dell’adozione del provvedimento.

La seconda disposizione è stata inserita dalla legge n. 161/2017 nel Capo V del Codice antimafia, dedicato alle misure di prevenzione patrimoniale diverse dalla confisca. Come si è avuto modo di chiarire con circolare del 19 gennaio u.s., il controllo giudiziario non determina lo “spossessamento gestorio” ma consiste in una vigilanza prescrittiva condotta dal commissario nominato dal Tribunale al quale viene affidato il compito di monitorare all’interno dell’azienda l’adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dal giudice.

Nell’ipotesi segnalata da codesta Prefettura, il presidio di legalità nella forma del c.d. “tutoraggio” all’azienda si fonda sul medesimo presupposto della gestione commissariale di nomina prefettizia già avviata, vale a dire la presenza di indizi di fatto rivelatori di pericoli di contiguità o di agevolazione mafiosa.

Si ritiene, pertanto, che, qualora tale controllo venga disposto dal magistrato perché ritenuto adeguato alle rilevate esigenze di prevenzione in relazione alla totalità dei rapporti economici facenti capo all’azienda, determini il venir meno della misura ex art. 32, del decreto–legge 90/2014, analogamente a quanto previsto dal comma 5 della medesima norma per il caso in cui siano applicate le confisca, il sequestro o l’amministrazione giudiziaria dell’impresa.

Siffatta interpretazione, del resto, è avvalorata dalla circostanza che quello riservato al Prefetto è un potere conformativo e limitativo della libertà di iniziativa economica che deve essere esercitato secondo canoni rispettosi del principio di proporzionalità.

Ne discende che, se nella scala degli interventi astrattamente possibili in ragione della gravità della situazione riscontrata a carico dell’operatore economico, il Tribunale ritiene percorribile la strada del controllo giudiziario, non sembra possibile giustificare ulteriormente il mantenimento di una gestione separata “ad contractum”.

Muovendo da tale assunto, tuttavia, si pone l’imprescindibile esigenza di assicurare un’adeguata interlocuzione con la magistratura procedente, finalizzata a fare emergere il patrimonio info–investigativo dal quale è scaturita la valutazione di un livello di compromissione della governance aziendale così grave da motivare la misura del commissariamento.

Ancorché ciò non sia espressamente previsto, è, quindi, necessario che in tutti i casi di adozione del provvedimento in esame ne venga data notizia al competente organo giurisdizionale per le relative valutazioni, anche in ordine alla individuazione dei “soggetti interessati” alla vicenda da sentire in camera di consiglio ai sensi dell’art. 34–bis, comma 6. Nel segnalare che le indicazioni rese in merito alle questioni prospettate sono state condivise dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, si ritiene di partecipare quanto sopra a tutte le Prefetture al fine di fornire un utile contributo interpretativo su temi di comune interesse”.

 

Linee guida, circolari e prassi

G. Muntoni (presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma), “Giurisprudenza e prassi operative del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione”, relazione tenuta per il corso su “Misure di prevenzione patrimoniale: potenzialità e problematiche del contrasto ai patrimoni illeciti” organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 6 giugno 2019, reperibile al seguente link: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2019/2019_06%20–%20Giugno/13%20–%20Misure%20di%20prevenzione/Relazione%20–%20Dott_%20Guglielmo%20Muntoni.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario”, nota n. 5810 dell’8 novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_21020.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/

La circolare n. 11001/119/20  è reperibile al link che segue: https://www.interno.gov.it/it/amministrazione–trasparente/disposizioni–generali/atti–generali/atti–amministrativi–generali/circolari/circolare–n–11001119208–22–marzo–2018–art–34–bis–decreto–legislativo–6–settembre–2011–n–159–problematiche–applicative

FNC, “La riforma del d. lgs. n. 159/2011. Antimafia, corruzione e mezzi di contrasto”, 5 dicembre 2017, reperibile al link che segue: https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/inf–per/informativa–periodica_20171205.pdf

ODCEC di Verona, “La gestione dei beni. Gli adempimenti dell’amministratore giudiziario: le relazioni ex artt. 36 e 41 CAM. Le problematiche applicative”, 17 ottobre 2018, reperibile al seguente link: https://www.formazionecommercialisti.org/download/00008741–17102018–materiale–avv–damorepdf

CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati”, ottobre 2015, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929

ODCEC di Napoli, “L’amministrazione giudiziaria”, maggio 2018, reperibile al seguente link: https://www.odcec.napoli.it/media/news/2/1210/attach/download/Quaderno_Totale_–_01.10.18.pdf

CNDCEC, “La riforma del codice antimafia: le problematiche applicative e il ruolo del professionista post riforma”, marzo 2018, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf