x

x

Art. 597 - Cognizione del giudice di appello

1. L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

2. Quando appellante è il pubblico ministero:

a) se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;

b) se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;

c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.

3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.

4. In ogni caso, se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita.

5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del codice penale.

Rassegna giurisprudenziale

Cognizione del giudice di appello (art. 597)

L’inammissibilità dell'impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l'effetto estensivo dell'impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all'imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell'imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente. Sulla scorta del principio sopra richiamato, enunciato da altra sezione della Corte di Cassazione, si è proceduto alla revoca delle statuizioni civili, in virtù della declaratoria di estinzione del reato, intervenuta prima della denuncia di primo grado anche nei confronti del coimputato il cui ricorso è stato ritenuto infondato (Sez. 4, 13844/2020).

Correlazione tra contestazione e sentenza

Sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, condanni l’imputato per il reato di bancarotta per distrazione, riqualificando l’originaria imputazione di bancarotta preferenziale, trattandosi di fatto significativamente e sostanzialmente diverso da quello contestato con l’originaria imputazione, con conseguente difetto della concreta possibilità di esercizio dei correlati poteri difensivi dell’imputato (Sez. 5, 11799/2021).

Principio devolutivo e divieto di reformatio in peius

In caso di impugnazione proposta dal solo imputato, viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, pur riducendo l’entità della pena complessivamente irrogata, escluda le circostanze attenuanti generiche, già applicate in primo grado (Sez. 5, 18695/2022).

Il divieto della reformatio in peius è un principio di portata generale, che va applicato anche nel giudizio di rinvio, non potendosi in nessun caso ammettere che l'imputato veda aggravarsi una posizione suscettibile di essere peggiorata in forza di un atto che mirava, invece, a rimuoverla (Sez. 4, 17893/2022).

Viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione per taluno di essi, non diminuisce l'entità della pena originariamente inflitta (Sez. 5, 16148/2022).

In caso di impugnazione proposta dal solo imputato, viola il divieto di “reformatio in peius” la decisione del giudice di appello che, pur riducendo l’entità della pena complessiva irrogata, escluda le circostanze attenuanti generiche, già applicate in primo grado (Sez. 2, 9538/2022).

Il giudice d'appello, anche quando la misura di sicurezza sia obbligatoria e sia stata illegittimamente esclusa o non ritenuta dal primo giudice, non può disporla, modificando in danno dell'imputato la sentenza da quest'ultimo impugnata, in quanto l'art. 597, comma 3, estende il divieto di reformatio in peius anche all'applicazione di una misura di sicurezza nuova o più grave (Sez. 3, 12728/2021).

Il giudice dell'impugnazione, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del PM, non può modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo: il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. 4, 9746/2021).

In assenza di impugnazione da parte del PM, il giudice di secondo grado non può ritenere una circostanza aggravante in precedenza esclusa, atteso che tale facoltà non rientra nel potere d’ufficio della corte di appello, previsto dall’art. 597, comma 3, di attribuire al fatto una diversa e più grave definizione giuridica (Sez. 5, 31269/2020).

La disciplina delle impugnazioni penali ordinarie, che declina il principio devolutivo come “parziale” nell’appello e “circoscritto” nel giudizio di cassazione, delimita, salvo i casi limitati di devoluzione d’ufficio, la cognizione del giudice della impugnazione in relazione al contenuto della istanza della parte impugnante e quindi “tollera” l’eventualità che possano divenire irrevocabili giudizi fondati su violazioni della legge penale e processuale, ove non sottoposte, con il mezzo di impugnazione, alla cognizione del giudice superiore (Sez. 1, 43268/2018).

Il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio (Sez. 4, 39287/2018).

Il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per cassazione è stato proposto dall'imputato, essendo irrilevante, per il verificarsi di questi effetti, che la sentenza di primo grado sia stata appellata dal pubblico ministero cosicché, in caso di annullamento con rinvio della sentenza di condanna su ricorso dell'imputato, in caso di conferma della condanna, per il combinato disposto degli artt. 597 comma 3, 609 e 627 comma 2, la pena irrogata non può essere più grave, per specie e quantità, di quella inflitta dal giudice di primo grado o, se inferiore, di quella rideterminata in grado d'appello con la sentenza annullata (Sez. 1, 12787/2021).

Non è consentito al giudice dell’esecuzione pronunciare un nuovo giudizio su una questione di diritto, ancorché incidente sulla legalità del trattamento sanzionatorio, che sia stata devoluta alla cognizione dei giudici dell’impugnazione (Sez. 1, 43268/2018).

Il giudice dell’esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna (SU, 6296/2017).

L’effetto devolutivo dell’impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti che, una volta rinunciati, non possono essere presi in ulteriore considerazione; né è proponibile ricorso per cassazione, avendo la rinuncia effetti preclusivi sull’ulteriore svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità (Sez. 5, 2791/2015).

La definizione concordata della pena presuppone che l’imputato, nel concordare con il PM la nuova pena, rinunzi contestualmente a tutti gli altri eventuali motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, “concordata” fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello. Ne discende che deve intendersi preclusa la riproposizione e il riesame in sede di legittimità di ogni questione relativa ai motivi rinunciati, con la conseguenza che, in ipotesi di riproposizione di una delle questioni di merito già investite con il motivo di appello rinunciato, la relativa impugnazione dev’essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 comma 3. Poiché ex art. 597, comma 1, l’effetto devolutivo dell’impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, una volta che essi costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di appello prenderli in considerazione né può farlo il giudice di legittimità sulla base di un’ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante l’irrevocabilità di tutti i negozi processuali, ancorché unilaterali (Sez. 2, 35664/2018).

Il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (Sez. 2, 38049/2014).

L’incremento di pena nel giudizio di appello, a norma di quanto stabilisce l’art. 597, comma 4 in tanto è consentito, in quanto vi è stato un appello del PM; tale non è, ovviamente, un appello inammissibile (Sez. F, 43799/2018).

Anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto dal giudice dell’appello, quando da essa consegua, ferma restando la pena irrogata, un più grave trattamento penitenziario. Non rientrano pertanto nel divieto ex art. 597, comma 3 le più gravi modalità di esecuzione della pena stabilite dall’art. 4-bis Ord. pen, conseguenti all’esclusione in sede di appello del riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 116, comma 2 Cod. pen. in relazione al delitto di cui all’art. 74 DPR 309/1990) (Sez. 5, 42611/2005).

Non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 il giudice dell’impugnazione che, quando muti la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporti per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (SU, 16208/2014).

Nel giudizio di appello, il divieto di “reformatio in peius” della sentenza impugnata esclusivamente dall’imputato non riguarda soltanto l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, tra cui anche l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione (Sez. 2, 6986/2019).

Non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, operata la derubricazione del reato cui si riferisce la pena presa a base del calcolo della continuazione, infligga una pena non superiore a quella irrogata dal primo giudice (SU, 33752/2013).

La pena non è il risultato di una sommatoria di elementi” neutri (cosicché, venuto meno uno di essi, l’equilibrio può essere ristabilito con una semplice operazione matematica), ma (è il risultato) della combinazione delle diverse componenti sanzionatorie (pena base, pena per i reati satellite, aumenti o diminuzioni di pena per circostanze aggravanti e attenuanti). Di conseguenza, per giudicare di reformatio in peius occorre, in primo luogo, tener conto degli elementi che concorrono alla determinazione della pena, ma anche del rapporto in cui  per effetto dell’accoglimento del gravame  vengono a trovarsi tra loro, sicché solo allorché non muti la relazione tra gli stessi il giudice dell’appello è obbligato - per non incorrere nella violazione dell’art. 597 - a sussumere ogni elemento nella misura determinata dal primo giudice, ovvero a conservare il rapporto proporzionale tra gli elementi della pena (ove sia venuto meno, per effetto dell’impugnativa, uno di essi), mentre, in caso contrario, il giudice d’appello rimane libero di valutare le varie componenti secondo il suo prudente apprezzamento, purché, ovviamente, la pena complessivamente inflitta con la sentenza gravata non sia superiore a quella inflitta nei gradi precedenti (Sez. 5, 45346/2018).

Il giudice di appello, investito su impugnazione della sola parte civile della cognizione della sentenza di primo grado, ove l’imputato sia stato assolto, non può dichiarare estinto per prescrizione il reato, perché si tratta di una decisione legata ad un previo giudizio di colpevolezza, che si connota come un peggioramento della predetta pronuncia: peggioramento non consentito in mancanza di gravame del PM (Sez. 5, 45343/2018).

Il giudice di appello che pronunci assoluzione del reato più grave deve rideterminare la pena previa individuazione del reato più grave e nuovo giudizio sulla commisurazione della pena, con il limite che la nuova pena, nelle diverse componenti, non superi quella inflitta in primo gradoInevitabilmente, la “nuova” pena base per il “nuovo” reato più grave potrà essere superiore al quantum di pena individuato dal primo giudice per quel reato, ritenuto “satellite”, e lo dovrà essere qualora il minimo edittale sia maggiore della pena-aumento inflitta in primo grado (Sez. 1, 43269/2018).

La sussistenza delle circostanze aggravanti non è punto della decisione di primo grado devoluto d’ufficio al giudice di appello, bensì solo su impugnazione della parte (Sez. 1, 43268/2018).

Il potere del giudice di appello, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, di attribuire al fatto una diversa e più grave definizione giuridica presuppone che il fatto naturalistico accertato nella sentenza di primo grado rimanga il medesimo e che il giudice dell’impugnazione, in tale ipotesi, non possa condannare l’imputato per un fatto naturalistico diverso e più grave di quello accertato nella sentenza impugnata. Non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che opera una diversa qualificazione giuridica di una circostanza aggravante già ritenuta fattualmente sussistente dal giudice di primo grado ma, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, il giudice di secondo grado non può ritenere una circostanza aggravante in precedenza esclusa, atteso che tale facoltà non rientra nel potere d’ufficio della corte di appello, previsto dall’art. 597, comma 3, di attribuire al fatto una diversa e più grave definizione giuridica (Sez. 5, 25818/2020).

Applicazione di benefici e circostanze attenuanti

Il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali, e sia di favore per l’imputato (SU, 7578/2021).

La censura del mancato esercizio del potere di concedere d’ufficio una circostanza attenuante ai sensi dell’art. 597, comma 5, è proponibile sempre che siano indicati nel gravame gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente esercitarlo (Sez. 7, 44446/2018).

Il giudice d’appello può legittimamente riconoscere le attenuanti generiche anche “ex officio”, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall’art. 597, comma 5, non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. 3, 45259/2018).

Fermo restando il dovere del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere ufficioso di applicare la sospensione condizionale della pena, l’imputato, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, specialmente se sopravvenute al giudizio di primo grado, non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del beneficio qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di appello (SU, 22533/2019).

Il giudice di appello deve, sia pure sinteticamente, dare ragione del concreto esercizio, positivo o negativo, del potere-dovere, attribuitogli dall’art. 597, comma 5, di applicazione della sospensione condizionale della pena qualora ne ricorrano le condizioni di legge (Sez. 5, 2094/2010).

Sussiste quindi la legittimazione dell’imputato a ricorrere per cassazione, pur in assenza di specifica richiesta nel giudizio d’appello, non solo nel caso in cui il giudice dell’impugnazione, nell’espletare l’intervento officioso, sia incorso in violazione di legge, ma anche nell’ipotesi di mancato esercizio di tale potere-dovere, a condizione, tuttavia, che dal ricorrente siano indicati gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente esercitarlo (Sez. 3, 47828/2017) (la riassunzione è dovuta a Sez. 6, 40262/2018).

È legittima la revoca della sospensione condizionale della pena in grado di appello, in presenza di cause ostative (Sez. 3, 56279/2017).