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Art. 526 - Prove utilizzabili ai fini della deliberazione

1. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento.

1-bis. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore.

Rassegna giurisprudenziale

Prove utilizzabili per la decisione (art. 526)

La lettura delle dichiarazioni rese dal cittadino italiano o straniero residente all’estero, anche se rese a seguito di rogatoria internazionale, è subordinata a tre presupposti che devono concorrere congiuntamente: a) che il dichiarante sia stato regolarmente citato e non sia comparso; b) che l’esame dibattimentale sia assolutamente impossibile; c) che la lettura sia giustificata dal complessivo quadro probatorio disponibileTrattasi di un procedimento acquisitivo che, derogando al principio del contraddittorio nella formazione della prova, non può essere passibile di estensione analogica. Inoltre, il carattere derogatorio della lettura dei verbali ex art. 512-bis impone al giudice una rigorosa verifica preliminare dei presupposti applicativi, di cui deve essere fornito adeguato riscontro in motivazione. Il primo accertamento  di carattere, per così dire, preliminare da compiere  attiene alla verifica dell’effettiva e valida citazione del teste non comparso, secondo le modalità previste dall’art. 727 per le rogatorie internazionali o dalle convenzioni di cooperazione giudiziaria, con verifica dell’eventuale irreperibilità mediante tutti gli accertamenti opportuni. Occorre quindi verificare che l’impossibilità di assumere in dibattimento il testimone sia assoluta ed oggettiva, non essendo sufficienti né mere problematiche relative all’organizzazione dell’esame né la mera impossibilità giuridica di disporre l’accompagnamento coattivo. Inoltre, ciò che rileva per l’operatività della norma in esame è la residenza sul territorio estero del dichiarante, indipendentemente dalla cittadinanza dello stesso, di tal che l’applicabilità della norma potrà riguardare sia cittadini italiani che stranieri, purché residenti all’estero. Nella valutazione di tali dichiarazioni, il giudice deve tener conto anche “degli altri elementi di prova acquisiti”. Secondo la giurisprudenza, con tale dizione il legislatore ha voluto precisare che le dichiarazioni possono entrare a far parte del materiale probatorio sottoposto all’esame del giudice soltanto se necessarie per la decisione in rapporto al materiale probatorio già acquisito, e non imporre al giudice una regola di giudizio secondo la quale tali dichiarazioni possono essere apprezzate per pervenire alla decisione solo dopo la valutazione degli altri elementi di prova agli atti. Infatti, una volta autorizzatane la lettura in sede dibattimentale, dette dichiarazioni vanno valutate secondo i criteri generali di cui al primo comma dell’art. 192, che non pone alcuna gerarchia in ordine alla valutazione metodologica o temporale delle prove prese in considerazione per la decisione adottata derivante dalla loro natura o dal modo in cui esse sono state assunte (Sez. 2, 36900/2018).

Secondo un risalente indirizzo interpretativo fatto proprio dalla Corte di Strasburgo (tra le altre, Corte EDU, sentenza 20/4/2006, Carta c. Italia; 8/2/2007; Corte EDU, Kolcacu c. Italia; Corte EDU, 12/4/2007, Martelli c. Italia), la dichiarazione predibattimentale del teste costituisce prova compatibile con il diritto al contraddittorio soltanto se seguita da una occasione in cui l’imputato possa contestarla ed interrogare il suo autore: in difetto, tale dichiarazione non può costituire fonte unica o preponderante della prova della responsabilità, perché ne deriverebbe un processo non equo. Tale più rigoroso indirizzo interpretativo è stato però successivamente temperato dalla sentenza della Corte EDU, Grande Chambre, 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito, secondo la quale ammettere come prova la dichiarazione di un testimone assente al processo e la cui dichiarazione preprocessuale sia stata l’unica prova o la prova determinante a carico dell’imputato non comporta automaticamente la violazione dell’articolo 6 § 1 CEDU. Applicare la cosiddetta “regola dell’unica prova o della prova determinante” (in base alla quale un processo è iniquo se la condanna è basata soltanto, o in misura determinante, su prove fornite da un testimone che l’imputato non ha potuto interrogare in alcuna fase del procedimento) in modo inflessibile è, infatti, contrario alla tradizionale maniera in cui la Corte affronta il diritto a un equo processo, di cui all’art. 6 § 1, esaminando se il procedimento sia stato complessivamente equo. Sulla base di tali considerazioni, la Corte EDU è pervenuta alla conclusione secondo la quale, quando un provvedimento di condanna si basi unicamente o in misura determinante su una testimonianza non sottoposta a controinterrogatorio, né nella fase dell’istruzione, né in quella del dibattimento, è configurabile una violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), CEDU soltanto ove il pregiudizio così arrecato alla difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti, ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l’equità della procedura nel suo insieme (Corte EDU, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania). In tal modo, l’applicazione della regola basata sulla “prova sola o determinante” - ossia la prova suscettibile di fondare la decisione sull’imputazione è stata resa dalla Corte EDU maggiormente flessibile attraverso l’introduzione di un nuovo criterio direttivo, rappresentato dalla contestuale valutazione di tutti quei contrappesi che possono aver bilanciato, sotto il profilo della complessiva equità del procedimento, l’oggettiva restrizione subita dalla difesa a causa dell’utilizzazione di una prova determinante sottratta alla garanzia del contraddittorio (Sez. 3, 4732/2018). In questa prospettiva, è stato sottolineato l’obbligo del giudice che intenda acquisire le dichiarazioni di dar conto, con motivazione adeguata e logica, dell’oggettiva impossibilità della loro ripetizione (SU, 27918/2011, seguita tra le altre da Sez. 1, 14243/2016). Questa esigenza è stata recentemente ribadita dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, Sez. 1, 12 ottobre 2017, Cafagna c/Italia), la quale ha sottolineato la necessità che gli organi nazionali procedano a un controllo minuzioso delle ragioni addotte per giustificare l’impossibilità del testimone di rendere dichiarazioni al processo, tenendo conto della situazione particolare dell’interessato e ponendo in essere tutte le misure positive per permettere all’accusato di interrogare o fare interrogare i testimoni a carico (riassunzione dovuta a Sez. 4, 40786/2018).

Nel giudizio abbreviato, mancando la fase del dibattimento, è inapplicabile il divieto di utilizzabilità di prove diverse da quelle in esso acquisite, sancito dall’art. 526 e vige, invece, il principio della decisione allo stato degli atti, stabilito dall’art. 442, comma 1-bis, che comporta la facoltà di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del PM; con la richiesta di giudizio abbreviato infatti, l’imputato non soltanto rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie in cambio di un trattamento sanzionatorio più favorevole attraverso l’applicazione della diminuente di un terzo, ma accetta che rientrino nel novero delle risultanze probatorie utilizzabili tutte le emergenze acquisite anteriormente alla sua istanza e legittimamente confluite nel fascicolo del PM, comprese le dichiarazioni da lui rese in assenza del difensore (Sez. 2, 39342/2016).

Ai sensi dell’art. 526 comma 1-bis la colpevolezza non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, tale principio dovendosi intendere nel senso che il soggetto, avendone comunque avuto conoscenza, non si è presentato all’esame in dibattimento o in rogatoria, quali che siano i motivi della mancata presentazione, purché ovviamente riconducibili ad una sua libera scelta, e cioè ad una scelta non coartata da elementi esterni (SU, 27918/2011).

Le dichiarazioni non acquisite in contraddittorio non possono essere da sole poste a fondamento della condanna, essendo necessario inquadrarle in un più ampio mosaico, rispetto al quale le stesse non assumano un rilievo esclusivo e determinante (SU, 27918/2011).

Ai fini della legittimità della lettura in dibattimento di dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da cittadino straniero alla polizia giudiziaria e della valutazione circa l’impossibilità di loro ripetizione, non è elemento sufficiente a ritenere prevedibile che il testimone si renda irreperibile la sua condizione di straniero (Sez. 3, 12038/2015).

Ai fini della lettura e dell’utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese da un soggetto divenuto successivamente irreperibile, è necessario che il giudice abbia svolto ogni possibile accertamento sulla causa dell’irreperibilità e che risulti esclusa la riconducibilità dell’omessa presentazione del testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso (Sez. 5, 13522/2017).

Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova, acquisiti illegittimamente, diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, 3207/2015).

Ai fini della lettura di dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell’art. 512, l’imprevedibilità dell’impossibilità di ripetizione dell’atto va valutata con criterio “ex ante”, avuto riguardo non a mere possibilità o evenienze astratte ed ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, di cui la parte interessata poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere l’incidente probatorio (Sez. 2, 49007/2014).

In tema di letture dibattimentali, l’avanzata età anagrafica del dichiarante non rende prevedibile l’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni, rese in precedenza, quale presupposto della loro utilizzazione in giudizio, salvo che al momento dell’escussione fosse seriamente pronosticabile, in base a specifiche informazioni relative a patologie ingravescenti, che la durata della vita del dichiarante non sarebbe giunta fino alla celebrazione del dibattimento, dovendosi in tal caso negare accesso alla lettura di cui all’art. 512 (Sez. 4, 24688/2016).

Solo la relazione di servizio della polizia giudiziaria contenente la rappresentazione dello stato dei luoghi o la documentazione di un'attività osservata dal pubblico ufficiale soggetta a mutamento è un atto irripetibile e, quindi, acquisibile al fascicolo per il dibattimento, diversamente dalla relazione contenente la mera rappresentazione di fatti svoltisi davanti all'ufficiale di polizia giudiziaria o consistente nella documentazione di acquisizione di una notizia di reato o nella descrizione dello svolgimento delle indagini, che è atto ripetibile (nel caso di specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna in conseguenza della violazione di disposizioni processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, posto che la illegittima acquisizione dell'atto di indagine - non irripetibile - determina, trattandosi peraltro dell'unica fonte di prova, la violazione della generale previsione di legge di cui all'articolo 526 c.p.p.; dal verbale di udienza allegato all'atto di ricorso effettivamente risulta che il Giudice di Pace ha ritenuto 'superflua' la prova testimoniale (rappresentata dal teste dell'accusa) dopo aver acquisito la 'documentazione' prodotta dal pubblico ministero in assenza, peraltro, di alcuna indicazione circa la accennata documentazione e la ragione della superfluità) (Sez. 1, 40583/2021).