x

x

Art. 525 - Immediatezza della deliberazione

1. La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento.

2. Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati.

3. Salvo quanto previsto dall’articolo 528, la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità. La sospensione è disposta dal presidente con ordinanza.

Rassegna giurisprudenziale

Immediatezza della deliberazione (art. 525)

Principio di immediatezza della decisione

Il principio di immediatezza della deliberazione della sentenza affermato dall’art. 525 non lascia spazio ad alcun inquadramento che sottenda il frazionamento dell’udienza all’esito della quale la decisione deve essere resa pubblica: invero la sentenza “è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento”.

Il suddetto principio di immediatezza è chiaramente sottolineato dalla norma nella parte in cui (all’art. 525, comma 3) specifica che la deliberazione della sentenza non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità, facendo salvo il solo caso (affatto peculiare) disciplinato dall’art. 528.

Certo, la camera di consiglio può prolungarsi non soltanto ore, ma anche giorni, in dipendenza della complessità dei temi proposti dal caso esaminato e dei vari fattori (numero di imputati, numero e gravità delle ‘imputazioni, spessore delle problematiche giuridiche rilevanti e così via) che possono influire sulla sua durata.

Questo fatto però non determina affatto la cesura dell’udienza allo scadere delle ore 24,00 del giorno in cui il giudice si è ritirato in camera di consiglio per la decisione.

Le possibili difficoltà pratiche che i soggetti processuali legittimati a presenziare alla lettura del dispositivo possono incontrare per il protrarsi della durata della camera di consiglio, difficoltà comunque superabili con i meccanismi organizzativi e informativi che gli addetti ai lavori attivano di consueto, non costituiscono in ogni caso una rilevante controindicazione all’estrinsecazione del principio della continuità dell’udienza relativa alla decisione sotteso alla disciplina fissata dalla citata norma.

Occorre pertanto ribadire che la lettura del dispositivo, pur eseguita in un giorno diverso da quello in cui il collegio si è ritirato in camera di consiglio, costituisce attività processuale che non accede a una udienza diversa da quella in cui la camera di consiglio ha avuto inizio, giacché l’udienza è stata semplicemente sospesa, non rinviata, ed è poi proseguita, senza soluzione di continuità, fino al momento della lettura del dispositivo e della sua successiva conclusione.

In definitiva, il tempo della camera di consiglio è tempo processuale a tutti gli effetti, nel corso del quale l’udienza non muta: sussiste, quindi, assoluta continuità tra la conclusione della discussione, la successiva camera di consiglio e l’immediata  dal punto di vista giuridico  lettura del dispositivo all’esito di essa.

Per quanto concerne, dunque, la presenza del difensore di fiducia, essa deve essere assicurata dal professionista attraverso la diligente predisposizione dei suoi impegni e l’assunzione delle relative scelte organizzative, non essendo previsto dal rito che l’ufficio di cancelleria dia formale avviso al medesimo del momento della lettura del dispositivo.

È, dunque, onere del difensore organizzare il modo per essere presente al prosieguo dell’udienza (essendo conseguente precisare che la consuetudine di cortesia dell’avviso informale della prossima lettura del dispositivo non è giuridicamente regolamentata e non costituisce oggetto di onere processuale) (Sez. 1, 40711/2018).

 

Principio di immutabilità del giudice

Si segnala che il Tribunale di Siracusa, con ordinanza del 12 marzo 2018, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 12 settembre 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 525 comma 2, 526 comma 1 e 511 per contrasto con l’art. 111 Cost. e il principio ivi espresso di ragionevole durata del processo, nella parte in cui prevedono che, a seguito del mutamento del giudice persona fisica, sia sempre obbligatoria la riassunzione delle deposizioni assunte dinanzi il giudice precedente.

Allo stato non risulta fissata l’udienza di trattazione dinanzi la Consulta né si conosce il giudice designato come relatore.

Se il principio di immutabilità di cui all’art. 525 richieda la corrispondenza, rispetto al giudice che abbia proceduto alla deliberazione finale, del solo giudice dinanzi al quale la prova sia stata assunta ovvero anche del giudice che abbia disposto l’ammissione della prova stessa.

Se, ai fini di ritenere la sussistenza del consenso delle parti alla lettura degli atti assunti da collegio che sia poi mutato nella sua composizione, sia sufficiente la mancata opposizione delle stesse ovvero sia invece necessario verificare la presenza di ulteriori circostanze che la rendano univoca (quesiti rimessi alle Sezioni unite da Sez. 6, 2799/2019).

Questa è stata la risposta delle SU: «il principio di immutabilità, previsto dall’art. 525 c. 2 prima parte c.p.p., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati se non espressamente modificati o revocati»; «l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 c.p.p., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione della stessa»; «il consenso delle parti alla lettura ex art. 511 c. 2 c.p.p. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiestanon ammessa o non più possibile» (SU, 41736/2019).

Il principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera attività dibattimentale, ed in particolare le acquisizioni probatorie, restandone esclusa l’attività relativa a provvedimenti ordinatori miranti solo all’ordinato svolgimento del processo (Sez. 4, 48765/2016).

In caso di mutamento del giudice, quel che è oggetto di rinnovazione è il dibattimento, perché la nullità stabilita dall’articolo 525 comma 2 si verifica in caso di diversità dei giudici che concorrono alla deliberazione rispetto a quelli che hanno partecipato al dibattimento. Il dibattimento ha inizio, secondo quanto previsto dall’articolo 492, con la dichiarazione di apertura, una volta compiute le attività che compongono la fase degli atti introduttivi in cui si collocano le questioni preliminari e fra esse la questione di competenza per territorio.

Non può dunque rilevare, al fine di assicurare l’identità del giudice del dibattimento con quello della decisione, la fase degli atti introduttivi, perché antecedente la dichiarazione di apertura e quindi il dibattimento. Sicché non viola il principio di immutabilità del giudice, e quindi non è causa di nullità, il mutamento del giudice immediatamente dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento ma prima della decisione sull’ammissione delle prove (Sez. 1, 36032/2018).

La disciplina di cui all’art. 525 è applicabile anche ai procedimenti definiti con procedura in camera di consiglio ex art. 127, in quanto espressione di un principio generale (Sez. 1, 13599/2017).

Per quanto concerne il rito camerale, il principio di immutabilità del giudice fissato dall’art. 525 di cui si fa applicazione pertiene in modo inderogabile al solo snodo che va dall’udienza di discussione in camera di consiglio e di contestuale riserva fino al momento della decisione che si perfeziona con la deliberazione e poi con il deposito del provvedimento (al lume dell’art. 128), in quanto confligge con esso la possibilità che le conclusioni delle parti siano ricevute da un collegio diverso da quello che poi decide.

E questo l’ambito in relazione al quale il mutamento del collegio determina nel rito camerale la nullità assoluta di cui all’art. 525, impregiudicata restando la possibilità che si verifichi, per le più varie cause, l’ipotesi in cui dette parti siano ammesse a dedurre di nuovo ed a rassegnare le conclusioni innanzi ad un collegio diversamente composto prima (della nuova riserva e) della decisione (Sez. 2, 33833/2018).

Il vigente codice di procedura penale, tutte le volte che indica il giudice competente all’esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento, si riferisce a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno alla persona fisica dei magistrati che li compongono.

Ne consegue che, nella fase del giudizio, la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura cautelare deve essere esaminata e decisa dal Tribunale, in composizione monocratica o collegiale, dalla Corte d’assise, dalla Corte d’appello o dalla Corte d’assise d’appello investiti della cognizione, nel merito, del processo, preferibilmente, ma non necessariamente, nella composizione fisica dei magistrati componenti l’organo giudicante che sta conducendo l’istruttoria dibattimentale o che, pur avendo definito il processo in quel determinato grado, è ancora in possesso dei relativi atti.

D’altro canto, il principio di immutabilità del giudice, di cui all’art. 525, è riferito e riferibile solo alla deliberazione della sentenza, in quanto destinato a garantire che il giudizio sulla responsabilità dell’imputato sia espresso, nel rispetto dei principi di oralità, immediatezza e contraddittorio cui si ispira il processo penale, dalle stesse persone fisiche che hanno preso parte al dibattimento e presenziato all’assunzione delle prove: ne consegue che l’eventuale diversità di composizione (rispetto a quella dell’organo competente alla trattazione del processo) dell’organo, collegiale o monocratico, designato nei casi, modi e termini previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario, che decida in ordine ad alcuna delle dette richieste in materia cautelare, non incide sulla legittimità dei relativi provvedimenti, stante il principio di tassatività delle nullità e la mancanza di una specifica previsione di tale diversità come causa di nullità o la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall’art. 178, comma 1, lett. a), che sono tutte connesse alla violazione di norme concernenti la capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi secondo le norme di ordinamento giudiziario (Sez. 2, 28855/2018).

Il principio di immutabilità del giudice trova applicazione anche nel giudizio abbreviato subordinato ad un’integrazione probatoria su richiesta dell’imputato, limitatamente alle fasi della trattazione e della deliberazione della sentenza, non invece a quella inerente alla decisione incidentale sull’ammissione del rito e delle sue modalità di svolgimento (Sez. 3, 37100/2015).

Il principio dell’immutabilità del giudice si estende anche alle decisioni assunte nei giudizi di impugnazione cautelare (Sez. 1, 13599/2017).

Nel procedimento camerale di prevenzione il principio della immutabilità del giudice non è violato nel caso in cui la confisca dei beni sia disposta da un collegio diverso da quello che aveva provveduto al sequestro, dando così avvio al procedimento, giacché l’immutabilità del giudice deve essere assicurata esclusivamente nelle fasi della trattazione e della discussione della causa (Sez. 1, 42114/2013).

Nelle procedure camerali di prevenzione non si verifica immutazione del giudice agli effetti dell’art. 525 quando la trattazione e discussione si svolga dinnanzi al medesimo collegio, anche se vengano utilizzati per la decisione atti in precedenza ricevuti o ammessi davanti un collegio in diversa composizione, ma noti alle parti (Sez. 6, 5912/2009).

In tema di rogatorie internazionali all’estero, le prove assunte per rogatoria, anche se ammesse e disposte nel corso del dibattimento, non possono ritenersi assunte dal collegio giudicante, con la conseguenza che non si verifica l’ipotesi di testimonianze assunte da un giudice poi mutato, e non trova dunque applicazione il disposto dell’art. 525 comma 2, posto a salvaguardia della necessità che il giudice fondi il suo convincimento sull’immediata e diretta percezione delle prove introdotte dalle parti in osservanza del principio di oralità (Tribunale di Milano, Sez. 10, 14 maggio 2012).

Il principio per il quale le prove precedentemente acquisite non possono essere direttamente utilizzate mediante lettura dei relativi verbali, in assenza del consenso delle parti, non implica che, qualora tale consenso manchi, detti verbali debbano essere stralciati dal fascicolo per il dibattimento di cui fanno parte integrante, in quanto essi attengono alla documentazione di un’attività legittimamente compiuta; ne consegue che, ove in sede di rinnovazione il soggetto esaminato confermi le precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni, è legittimo utilizzare “per relationem” il contenuto materiale di tali precedenti dichiarazioni (Sez. 5, 52229/2014).

Nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti (SU, 2/1999).

Allorquando, nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali (SU, 2/1999).

In caso di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per il mutamento della composizione del collegio giudicante, è irrevocabile il consenso della difesa ad utilizzare le prove precedentemente acquisite mediante lettura dei relativi verbali. Detto consenso costituisce un negozio unilaterale recettizio insuscettibile di revoca, in quanto non può farsi discendere dalla volontà del soggetto processuale che, per libera scelta, lo ha legittimamente prestato, il prodursi di effetti giuridici diversi da quelli già realizzatisi a seguito di tale manifestazione di volontà (Sez. 3, 38907/2018).

Il consenso preventivo espresso dalla difesa dell’imputato alla utilizzazione degli atti e delle prove assunte nel dibattimento nel caso di futuro mutamento della composizione del collegio a causa del trasferimento di un giudice, non integra un’ipotesi di consenso condizionato, la cui condizione dovrebbe considerarsi come non apposta, ma di mera delimitazione dell’oggetto del consenso medesimo (Sez. 5, 43171/2012).

L’art. 525 esige che la decisione venga emessa dal giudice che ha assistito all’assunzione delle prove e non vieta affatto di riavviare il dibattimento, allorché muti il collegio giudicante; né (tale norma) obbliga il presidente a dare pubblica informazione del mutamento del collegio, atteso che i difensori sono partecipi dello svolgimento dell’udienza e devono rilevare ciò che cade sotto i loro occhi. Senza contare, poi, che nessuna norma sanzione di nullità l’omissione dell’avviso preteso dal ricorrente (Sez. 5, 27929/2018).

La disciplina dell’art. 190-bis  per la quale nei procedimenti per taluno dei delitti indicati dall’art. 51 comma 3-bis l’esame di un testimone o di un soggetto ex art. 210, che abbia già reso dichiarazioni in dibattimento nel contraddittorio, è ammesso solo se il giudice lo ritenga necessario  si applica anche nell’ipotesi in cui debba procedersi a rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per sopravvenuto mutamento della persona del giudice (Sez. 1, 48710/2016).

La giurisprudenza della Corte EDU non impone che il cambiamento della composizione di un collegio penale dopo l’esame di un testimone comporti normalmente la nuova audizione di quest’ultimo.

Al contrario, Corte EDU, 2002, P.K. c. Finlandia, pur affermando che il principio di immediatezza nella formazione della prova rappresenta un’importante garanzia dei diritti della difesa nel procedimento penale, in particolare per quanto attiene alla valutazione del giudice in ordine alla credibilità del teste, ha escluso ogni violazione dell’art. 6, paragrafi 1 e 3, CEDU per l’avvenuto mutamento del presidente della corte che aveva proceduto all’audizione del teste, nel caso in cui il resto dei componenti rimanga immutato nel corso del processo e non venga specificamente contestata la credibilità del testimone in questione, sicché il fatto che il presidente del collegio giudicante abbia avuto a disposizione i verbali della relativa audizione nel contraddittorio delle parti vale a compensare il lamentato difetto di immediatezza, specie là dove la condanna si fondi anche su prove ulteriori rispetto alla testimonianza in esame e non risultino motivi per i quali il mutamento del presidente del collegio sia intervenuto al fine di determinare un diverso esito del processo o per altri motivi impropri (nello stesso senso, Corte EDU, 2004, Pitkanen c. Finlandia).

 

Sospensione della deliberazione

La sospensione della deliberazione della sentenza per assoluta impossibilità, prevista dall’art. 525, comma 3, non esclude l’ipotesi che il giudice dopo la chiusura del dibattimento adotti un provvedimento non definitorio, disponendo con ordinanza l’assunzione di nuove prove per l’insufficienza di quelle esistenti in atti (Sez. 5, 42766/2016).

La decisione di compiere un’ulteriore attività istruttoria (siccome ritenuta indispensabile ai fini del decidere) è una valutazione in fatto non suscettibile di sindacato di legittimità; non è peraltro censurabile che il giudice abbia poi operato avvalendosi dei poteri previsti dall’art. 507: infatti è quello l’unico strumento previsto dal legislatore perché il giudice possa imprimere al processo, in modo autonomo, un impulso in assenza di iniziative delle parti (Sez. 2, 26738/2013).

La sospensione della deliberazione della sentenza può essere adottata quando il giudice si avvede, nella camera di consiglio successiva alla discussione finale, di non potersi formare un convincimento per l’esistenza di risultanze probatorie irrimediabilmente contrastanti, rendendosi così necessario lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria (Sez. 1, 11983/2013).