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Art. 273 - Condizioni generali di applicabilità delle misure

1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza.

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1.

2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata.

Rassegna giurisprudenziale

Condizioni generali di applicabilità delle misure (art. 273)

La gravità indiziaria è connessa all’individuazione di quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, sia diretti che indiretti, che, resistendo ad interpretazioni alternative e contenendo in nuca tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sé a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’attribuibilità del reato all’indagato, attingendo la soglia dimostrativa propria del giudizio di cognizioneE tuttavia apprezzati nella loro consistenza e nella loro coordinazione logica consentono di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi di giudizio, nel vaglio dibattimentale, saranno idonei a dimostrare la responsabilità, fondando, nel frattempo, una qualificata probabilità di colpevolezza. Ed anzi, muovendo da questa impostazione, che ancora il concetto di gravità indiziaria alla ravvisabilità di una rilevante probabilità di reità, la giurisprudenza si è evoluta in direzione di una sempre più pregnante e rigorosa accezione della nozione in disamina, essendosi ritenuto non corretto sottolineare la minore valenza dimostrativa degli indizi cautelari, rispetto alle corrispondenti prove, quasi che ad essi sia da ascriversi il valore di una semiplena probatioSi è invece preferito accedere ad una prospettiva concettuale che riconnette alla gravità indiziaria la valenza epistemica di “una prova allo stato degli atti”, poiché essa è sottoposta alla cognizione del giudice in una fase in cui la formazione del materiale probatorio è in itinere e non è ancora intervenuto il vaglio dibattimentale. In quest’ottica, è soltanto questo profilo dinamico e non la minore consistenza dimostrativa a contraddistinguere i “gravi indizi” rispetto alla prova idonea a giustificare la declaratoria di responsabilità. E, in quest’ordine di idee, SU 36267/2006 ha particolarmente valorizzato la portata ed il ruolo dell’art. 273 comma 1-bis, la cui ratio è stata individuata nell’assicurare la tendenziale anticipazione alla fase delle indagini delle regole di utilizzazione e di valutazione della prova proprie del giudizio di cognizione, anche per quanto riguarda l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza. Anche la Corte costituzionale (sentenza 131/1996) ha sottolineato che, specialmente in seguito al mutamento del quadro normativo determinato dalla L. 332/1995, la disciplina in materia cautelare, per potenziare le garanzie della libertà personale nel processo penale e valorizzare l’eccezionalità delle misure restrittive, richiede un giudizio probabilistico, in ordine alla colpevolezza, particolarmente approfondito (Sez. 4, 38388/2018).

In tema di misure cautelari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 non si atteggia allo stesso modo del termine indizio inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezzaPertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 comma 2, come si desume dall’art. 273 comma 1-bis, che richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti) (Sez. 2, 37177/2018).

Nella fase cautelare è sufficiente il requisito della sola gravità (articolo 273, comma 1), giacché il comma 1-bis del citato art. 273 richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 dell’articolo 192, che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi: ne deriva, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192, comma 2, e cioè congiuntamente ai requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (Sez. 4, 29371/2018).

Le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal PM, e non su prove, ma su indizi (Corte costituzionale, 121/2009, 314/1996, 131/1996, 71/1996, 432/1995). La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure restrittive della stessa. in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (SU, 11/1995) (Sez. 3, 12536/2015).

La partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta  sul piano probatorio  da indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici e significativi facta concludentia, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione. ai fini della prova dell’adesione all’associazione per delinquere (nella specie di tipo mafioso), la messa a disposizione dell’organizzazione criminale non può risolversi nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello apicale, a servizio di loro interessi particolari, ma deve essere incondizionatamente rivolta al sodalizio ed essere di natura ed ampiezza tale da dimostrare l’adesione permanente e volontaria ad esso per ogni fine illecito suo proprio. L’intraneità nell’associazione presuppone dunque che sia provata (almeno in termini di gravità indiziaria, ai fini che ci occupano) l’effettiva partecipazione nel gruppo criminale con accettazione delle sue regole e finalità al fine di ampliarne la sfera di influenza e di favorirne la realizzazione delittuosa con la permanente messa a disposizione della propria attività. E’ cioè indispensabile che dagli atti acquisiti al procedimento emerga che l’indagato abbia assunto o gli sia stato riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio ed abbia aderito consapevolmente al programma criminoso, accrescendo per ciò solo la potenziale capacità operativa e la temibilità dell’associazione, ovvero che egli – qualora non sia stata acquisita la dimostrazione dell’inserimento formale del singolo all’interno della cosca – egli abbia posto in essere – in modo consapevole e volontario – una o più attività significative nell’interesse dell’associazione mafiosa (Sez. 6, 26930/2018).

L’indicazione di appartenenza ad un sodalizio di tipo mafioso, ora per dichiarazione espressa dei compartecipi ad una conversazione, ora per deduzione logica dal fatto di essere ammesso a conversazioni di rilievo criminale, non può prescindere, ai fini dell’affermazione della gravità indiziaria, dalla descrizione del ruolo partecipativo attribuitoL’affermazione di gravità indiziaria in ordine al delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso non si può sostanziare soltanto nella indicazione di elementi da cui desumere logicamente un’appartenenza generica al sodalizio, perché la condotta tipica implica l’assunzione di un ruolo funzionale all’interno del gruppo e quindi il giudizio di alta probabilità di colpevolezza, in cui si risolve quello di gravità indiziaria, deve essere sostenuto dall’indicazione del tipo di contributo partecipativo che si delinea in capo al soggetto interessato dal materiale indiziario (Sez. 1, 1048/2019).

Gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l’imputato, possano certamente costituire fonte diretta di prova, senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti e cioè allorché: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all’imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell’ambito dell’associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all’altro. Ne discende che gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato possono essere direttamente utilizzati dal giudice ai fini della valutazione ex art. 273 senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (Sez. 6, 38629/2018).

In materia di sostanze stupefacenti, durante le indagini preliminari, ed ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di una misura cautelare, non occorre una formale perizia sulla qualità della sostanza, essendo sufficiente allo scopo il narcotest eseguito dalla sezione narcotici della polizia (Sez. 3, 7170/2019).

I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1 per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali possono essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili, senza che ciò comporti violazione né dell’art. 238- bis (che, nel prevedere che possano essere acquisite e valutate come prova le sentenze divenute irrevocabili, si riferisce al giudizio di colpevolezza e non alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari), né dell’art. 238, comma 2-bis (che, nel subordinare l’acquisizione di dichiarazioni rese in altri procedimenti alla condizione che il difensore abbia partecipato alla loro assunzione, si riferisce anch’esso al solo giudizio sulla responsabilità). Beninteso in ambito cautelare, le sentenze non irrevocabili possono essere acquisite e valorizzate ai limitati fini della verifica delle condizioni di applicabilità delle misure; quanto accertato nel separato processo non può, tuttavia, essere recepito acriticamente, ma deve necessariamente essere valutato autonomamente, tenendo conto del complesso degli altri elementi acquisiti nel procedimento, ove la sentenza non definitiva viene utilizzata (Sez. 5, 35850/2018).

In tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (Sez. 5, 34527/2018).

Il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, 31553/2017).

Il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto invero alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. 6, 34560/2018).

Ai fini della emissione di una misura cautelare personale, sono utilizzabili le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, ma il giudice, nella motivazione, deve svolgere una valutazione particolarmente penetrante circa l'attendibilità delle stesse, che non può essere limitata alla mera ricerca dei c.d. "riscontri esterni" alla propalazione. Occorre verificare, infatti, che la tardività della dichiarazione non infici la sua attendibilità, occorrendo un'adeguata motivazione la quale dia conto del legittimo sospetto che la propalazione, in conseguenza della sua intempestività, sia nata per ragioni strumentali e possa quindi non essere veritiera (Sez. 6, 2632/2022).

In tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273, comma 1 - in virtù dell'esplicito richiamo all'art. 192, commi 3 e 4, operato dall'art. 273, comma 1-bis, introdotto dall'art. 11 L. 63/2001 - soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da attribuire capacità dimostrativa e persuasività probatoria in ordine all'attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell'oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato (Sez. 6, 37448/2020).

In tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma 1 - in virtù dell’estensione applicativa dell’art. 192, commi 3 e 4, ad opera dell’art. 273, comma 1-bis, soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (SU, 36267/2006).

Si riporta inoltre, per la sua pertinenza, anche la massima che segue: La chiamata in correità o reità de relato, anche se non asseverata da fonte diretta, può avere quale unico riscontro altra o altre chiamate dello stesso genere quando però ricorrono le seguenti condizioni: risulti la positiva valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione; siano accertati rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, in modo da inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto riferito dalla seconda al primo; vi sia convergenza della varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del «thema probandum»; vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che esse non devono rivelarsi frutto di eventuale intese fraudolente; sussista l’autonomia genetica della chiamate, ossia la loro provenienza da fonti informative diverseIl percorso così da seguire non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto rimangono sempre rivolte a un esito valutativo unitario, non indicando peraltro l’art. 192, comma 3 alcuna specifica sequenza logico temporale. In relazione a tale percorso valutativo, pur ribadendosi il principio della «libertà dei riscontri» e fermo restando che la convergenza delle chiamate non vuol dire sovrapponibilità dei loro contenuti dichiarativi, si è precisato che il riscontro estrinseco individualizzante rispetto ad una chiamata con la quale viene attribuito il ruolo di mandante non può rinvenirsi esclusivamente nell’accertata esistenza di un certo movente, riflettendo esso il mero interesse dell’accusato alla commissione di quel delitto. Interesse che, pur potendo assumere valenza orientativa, invero, non viene in sé a offrire un elemento obiettivo di natura fattuale che pur indiretto abbia sempre implicazioni univocamente indicative dello specifico e concreto contributo di natura concorsuale dell’incolpato nella realizzazione della condotta delittuosa (Sez. 1, 32327/2018).

Una volta intervenuta la sentenza di condanna anche non definitiva, la valutazione degli elementi rilevanti ai fini del giudizio incidentale, anche in sede di riesame o di appello cautelare, deve mantenersi nell’ambito della ricostruzione operata dalla pronuncia di merito, non solo per quel che attiene all’affermazione di colpevolezza e alla qualificazione giuridica, ma anche per tutte le circostanze del fatto, non potendo essere queste apprezzate in modo diverso dal giudice della cautela. Il giudice dell’appello cautelare, chiamato a decidere dopo una sentenza di condanna appellabile relativa ai fatti per i quali era stata emessa la misura coercitiva, può valutare, al fine di verificare la permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, solo gli eventuali elementi sopravvenuti che siano idonei ad incidere sul quadro probatorio, ma non quelli che siano in grado di inficiare la legittimità delle prove su cui la condanna medesima è fondata, circostanze queste ultime che vanno proposte al giudice di appello nel giudizio di meritoSi tratta del cosiddetto «principio dell’assorbimento», di cui la Corte ha avuto modo di puntualizzare anche i limiti soggettivi, allorché ha affermato che l’intervento di una decisione sul merito dell’imputazione preclude al giudice cautelare un autonomo esame dell’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, solo a patto che sussista identità di imputato, di reato e di procedimento, dovendosi escludere efficacia vincolante, ai fini predetti, alla sentenza eventualmente sopravvenuta nei confronti dei coimputati giudicati separatamente. La validità del principio è stata di recente ribadita anche quanto alla fase rescissoria di rinvio, affermando che la decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalità esistente tra il procedimento incidentale e quello principale; pertanto la sopravvenienza di una sentenza di condanna fa venir meno l’interesse dell’indagato alla procedura di riesame  anche in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di Cassazione  con riferimento al profilo concernente la verifica dell’originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare (Sez. 5, 36206/2018).

Al giudice della cautela reale è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell’indagato (Sez. 2, 34781/2018).