x

x

Art. 274 - Esigenze cautelari

1. Le misure cautelari sono disposte:

a)  quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti;

b)  quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede;

c)  quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.

Rassegna giurisprudenziale

Esigenze cautelari (art. 274)

In generale

In tema di misure cautelari personali disposte per reati connessi alla carica pubblica ricoperta dall'agente, la valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede non è impedita dal fatto che l'incolpato abbia dismesso l'ufficio o la funzione, nell'esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa; purtuttavia, tale valutazione richiede la presenza di specifiche circostanze fattuali idonee a comprovare il concreto pericolo che l'agente, svolgendo una diversa attività, non collegata con il ruolo pubblico precedentemente ricoperto, continui a porre in essere ulteriori reati offensivi della stessa categoria di beni giuridici (Sez. 6. 35590/2021). 

In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta, il tempo trascorso dalla commissione del fatto deve essere determinato avendo riguardo all'epoca in cui le condotte illecite sono state poste in essere e non al momento in cui è intervenuta la dichiarazione di giudiziale di insolvenza, la quale, anche se determina il momento consumativo del reato, non costituisce riferimento utile per vagliare il comportamento dell'indagato, ai sensi dell'art. 274, collocandosi fuori della sua sfera volitiva (Sez. 5, 27424/2022).

La distanza temporale tra i fatti e momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura, con il logico corollario che ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. 6, 7148/2019).

Il requisito di “attualità” richiesto dall’art. 274 va riferito alle esigenze cautelari, non già alle condotte criminose contestate (Sez. 5, 35830).

In tema di applicazione di misure cautelari personali, anche a seguito della novella attuata con L. 47/2015, l’art. 275, comma 3 continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria; ne consegue che in presenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione ad un’associazione mafiosa il giudice non ha un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei “pericula libertatis” ma deve soltanto apprezzare l’eventuale sussistenza di segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali trova applicazione in via obbligatoria la sola misura della custodia in carcere. Tale principio, quanto alla presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, è stato integrato dalla affermazione che qualora intercorra un “considerevole” lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice, pur nel perimetro cognitivo limitato alla verifica della sussistenza delle sole esigenze cautelari, ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari (Sez. 6, 36063/2018).

Nella fase cautelare, il ricorso per cassazione il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e assenza delle esigenze cautelari è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, vero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, 33830/2018).

L’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesameIl controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. È, per vero, il caso di ricordare che si può parlare di illogicità “manifesta” solo quando la motivazione del provvedimento impugnato risulta priva dei requisiti minimi di coerenza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento o, quantomeno, allorquando ci si trovi in presenza di una motivazione sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica (Sez. 2, 36959/2018).

In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorieSi è anche precisato che la richiesta di riesame  ritenuto mezzo di impugnazione, sia pure atipico  ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo; in particolare, si è evidenziato che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve conformarsi al modello delineato dalla predetta disposizione, coerente con il modulo di cui all’art. 546, pur tenendo conto dei necessari adattamenti conseguenti al peculiare contenuto della pronuncia cautelare in quanto fondata non già su prove, ma su indizi e che, per altro verso, mira all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 2, 37176/2018).

Quando si procede al rinnovo dell’ordinanza cautelare a seguito della perdita di efficacia della misura ai sensi dell’art. dell’art. 309, comma 10, il presupposto delle “eccezionali esigenze cautelari” deve essere valutato anche nel caso in cui si proceda per il reato di associazione mafiosa. Si condivide inoltre la giurisprudenza secondo cui le “eccezionali esigenze cautelari” che consentono la rinnovazione della misura dichiarata inefficace, possono essere desunte dai medesimi elementi già sussistenti al momento dell’emissione della prima ordinanza, non essendo a tal fine necessario un “quid pluris” rispetto alle esigenze che fondavano la misura perenta o la ricorrenza di elementi nuovi sopravvenuti, e si distinguono da quelle ordinarie per il grado di pericolo, che deve superare la concretezza e l’attualità richiesta dall’art. 274 per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l’indagato, ove non sottoposto a misure coercitiva, continui nella commissione di delitti della specie di quello per cui si procede (Sez. 2, 30408/2018).

 

Inquinamento probatorio

Ai fini dell’applicazione o del mantenimento di una misura cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio va valutato con riferimento sia alle prove da acquisire sia alle fonti di prova già individuate; e ciò in considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle indagini preliminari ed alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento. Pertanto, al fine di prevenire il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero siano già concluse (Sez. 3, 13091/2019).

Le esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) non sono solo quelle in senso stretto investigative ma anche quelle concernenti l’acquisizione della prova e la conservazione della sua genuinità: a tale stregua deve ritenersi irrilevante che le indagini siano concluse o giunte ad uno stadio avanzato. Corrispondentemente il pericolo va valutato in relazione sia a prove da acquisire sia a fonti di prova acquisite. Va però sottolineato che l’art. 274, comma 1, lett. a), stabilisce che le esigenze devono essere specifiche ed inderogabili in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate: ciò significa che non è sufficiente prospettare un generico pericolo riferito al materiale probatorio ma occorre spiegare la ragione dell’inderogabilità dell’esigenza in relazione alle fonti di prova o ai risultati di indagine esposti al rischio di un’illecita interferenza, e indicare gli elementi di fatto dai quali è dato evincere la sussistenza di tale pericolo, correlato alla sfera di operatività dell’indagato. Ben si comprende come su tali basi sia stato affermato che il pericolo debba essere concreto e vada identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell’“id quod plerumque accidit”, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti, essendo peraltro insufficiente il riferimento al persistente inserimento dell’indagato nell’amministrazione, in cui i reati erano stati commessi, e sui rapporti con soggetti presenti nell’organigramma dell’ente (Sez. 6, 38572/2018).

Il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto (fondato, cioè, su elementi non ipotetici, ma reali), ma anche attuale, nel senso che l’analisi della personalità e delle concrete condizioni di vita dell’indagato deve indurre a ritenere probabile una ricaduta nel delitto “prossima”  anche se non specificamente individuata, né tanto meno imminente  all’epoca in cui la misura viene applicataIn sintesi può affermarsi che il pericolo di reiterazione è “concreto” ogni volta che si dimostri l’esistenza di elementi non ipotetici, ma reali, dai quali si possa dedurre la probabilità di recidiva; è “attuale” ogni volta in cui sia possibile una prognosi in ordine alla ricaduta nel delitto che, indichi la probabilità di devianze “prossime” all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non specificamente individuate, né tantomeno “imminenti”, ovvero immediate. Il giudizio sulla attualità deve essere dunque fondato sia sull’analisi della personalità dell’accusato (desumibile anche, seppur non solo, dalle modalità del fatto per cui si procede), sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Non si richiede, invece, che il giudizio si estenda alla previsione di una “specifica occasione” per delinquere, la cui previsione esula dalle facoltà del giudice. Né si ritiene che la valutazione circa l’alta probabilità di una “prossima” ricaduta nel delitto debba essere intesa come stringente “immediatezza”, ovvero “imminenza”: il giudizio prognostico non può che fare riferimento alla elevata probabilità che possa verificarsi la recidiva nel periodo di tempo in cui possono essere attive le cautele, cioè un periodo “prossimo”, ma non “imminente”, né “immediato”. Il giudice della cautela deve, in ogni caso, valorizzare l’esistenza di elementi specializzanti, senza limitarsi alla rilevazione della astratta gravità del titolo di reato (Sez. 2, 33830/2018).

Con riferimento al pericolo di reiterazione dei reati, si deve poi affermare, su un piano generale, che l’art. 274, comma 1, lett. c), nel testo introdotto dalla L.47/2015, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, sicché non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie: la relativa prognosi comporta, in particolare, la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede (Sez. 2, 26370/2018).

In senso contrario: Il requisito dell’attualità del periculum libertatis può individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’inquisito, essendo necessario e sufficiente formulare un giudizio prognostico che sulla base dei criteri di cui all’art. 133 Cod. pen., si riconnetta alla realtà emergente dagli atti del procedimento ed alle valutazioni della persistente pericolosità che è dato trarne, dovendosi effettuare una previsione correlata alla situazione esistenziale e socio ambientale in cui verrà a trovarsi l’indagato, nell’ipotesi in cui venga meno lo stato di detenzione (Sez. 2, 30412/2018).

Ed anche: Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto espressamente dalla L. 47/2015 nel testo dell’art. 274 lett. c), deve essere inteso non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di delitti analoghi, fondata su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, pericolo che va apprezzato sulla base anche della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. Sul punto, si è anche più recentemente precisato che la sussistenza di un pericolo “attuale” di reiterazione del reato va esclusa soltanto qualora la condotta criminosa posta in essere si riveli del tutto sporadica ed occasionale, dovendo invece essere affermata se  all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure  appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati; ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, 26369/2018).

Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 575 Cod. pen. è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. La legge stabilisce, quindi, una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sia pure relativa, in forza della quale il giudice non ha l’onere di argomentare positivamente sulla loro esistenza ma, piuttosto, deve acquisire elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari: in questo caso, tuttavia, non si pone la questione della possibilità di soddisfarle con misure meno afflittive della custodia in carcere, perché la mancanza di esigenze cautelari impone la revoca della misura. La modifica dell’art. 274, comma 1, lett. c) operata dalla L. 47/2015, con l’inserimento dell’aggettivo “attuale” in aggiunta a “concreto” per definire il pericolo della commissione di gravi delitti da parte dell’indagato, non ha inciso affatto sulla presunzione di cui all’art. 275, comma 3: in effetti, così come in precedenza la legge presumeva che, in caso di gravi indizi di determinati reati, sussistesse il concreto pericolo di consumazione di altri gravi reati, dopo la modifica predetta la norma ora presume che, in presenza di gravi indizi, sussista il concreto ed attuale pericolo di altri gravi reati. Si deve ricordare che la norma è espressamente fatta salva dall’art. 299, comma 2 che regola la revoca o la sostituzione delle misure cautelari (Sez. 1, 28819/2018).

In tema di custodia cautelare in carcere, la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991 determina una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicché, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’art. 274 deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione; inoltre, la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, operante  ai sensi del terzo comma dell’art. 275  per i delitti aggravati ex art. 7 L. 203/1991, può essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea, allo scopo, la mera allegazione del tempo trascorso e della durata della restrizione sofferta. In tema di custodia cautelare in carcere applicata, ai sensi dell’art. 275, comma 1-bis, nei confronti del condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso, per il quale l’art. 275, comma 3 pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su  impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, da valutare in relazione alla connotazione della consorteria ed al ruolo rivestito dall’indagato, sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa dal sodalizio. In ordine ai reati aggravati ai sensi dell’art. 7 L. 2013/1991 è sancita anche la ‘doppia’ presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza, prevista dall’art. 275, comma 3In tale ipotesi, dunque, è la stessa presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, salvo ‘prova contraria’, sancita dall’art. 275, comma 3, a fondare un giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di attualità e concretezza del pericolo; tale, cioè, da fondare una valutazione di costante ed invariabile pericolo ‘cautelare’, salvo ‘prova contraria’. L’antinomia tra l’art. 275, comma 3, e l’art. 274 non può essere risolta, interpretativamente, in favore della prevalenza della seconda norma, che è generale, laddove la prima norma, che sancisce la presunzione relativa, è speciale; secondo il tradizionale criterio interpretativo cronologico lex specialis derogat legi generali, lex posterior generalis non derogat priori specialiDunque, la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, sia nella dimensione della ‘sussistenza delle esigenze cautelari’, sia nella dimensione della ‘adeguatezza della custodia in carcere’, deve ritenersi prevalente sulla norma di cui all’art. 274, nel senso che l’attualità e la concretezza” delle esigenze cautelari devono intendersi, salvo ‘prova contraria’, insite proprio nel giudizio di astratta e costante ‘pericolosità cautelare’ formulato ex ante dal legislatore. Pertanto, non può essere attribuito rilievo ad elementi neutri - quale il decorso del tempo -, in assenza di elementi concreti dai quali sia possibile desumere l’allontanamento dell’indagato dalle logiche criminali nell’ambito delle quali sono stati commessi i reati per i quali è stato adottato il titolo cautelare (Sez. 5, 35848/2018).

Con specifico riferimento ai delitti aggravati dalla circostanza di cui alla L. 203/1991, la contestazione della stessa determina una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicché, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’art. 274. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione (Sez. 6, 29416/2018).

Il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, richiesto dall’art. 274 lett. a) deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. Sicché, per evitare che il requisito richiesto del “concreto pericolo” perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso è desunto e fornisca sul punto adeguata e logica motivazione (Sez. 3, 24340/2018).

 

Pericolo di fuga

La concretezza del pericolo di fuga non può essere desunta dalla generica esistenza di contatti con l’estero, ancorché solidi e ramificati, o anche solo dalla disponibilità in un paese straniero di interessi economici, o dalla circostanza che l’indagato si sia trasferito nel suo paese di origine e di abituale dimora, e si è anche escluso che detto pericolo possa essere automaticamente desunto dal fatto che il soggetto non abbia fissa dimora, situazione questa, pur meritevole di adeguato apprezzamento ai fini del giudizio sulla sussistenza del pericolo, ma che di per sé non esprime la volontà di sottrarsi al processo, quantomeno laddove non venga in rilievo una concreta variazione dello stile di vita sopravvenuta a seguito dell'inizio delle indagini preliminari (Sez. 5. 15311/2022).

Il pericolo di fuga non può essere riscontrato, in astratto, sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275 co. 3 c.p.p. ma deve risultare nella sua dimensione concreta, intendendosi per tale un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, difficilmente eliminabile con tardivi interventi; oggetto di valutazione devono essere elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce. A tal fine, nel quadro dei sintomi del pericolo di fuga, la misura della pena inflitta all’imputato è un dato non privo di significato ma, in sé considerato, indica soltanto uno dei possibili moventi alla base della propensione alla fuga dell’imputato, la cui concretezza per la corretta applicazione dell’art. 307 c.p.p. deve emergere dal concorso di altre circostanze, soggettive o oggettive, quali la personalità, la tendenza a delinquere, i pregressi comportamenti, le abitudini di vita, le frequentazioni che rendano probabile quali dati sintomatici il rischio di fuga (Sez. 1, 36106/2020).

In tema di valutazione delle esigenze cautelari, la sussistenza del pericolo di fuga, per quanto non desumibile esclusivamente da comportamenti materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento o una condotta indispensabilmente prodromica, deve essere comunque tratto da elementi oggettivi e concreti quali la situazione di vita del soggetto, le sue frequentazioni, i precedenti penali, i procedimenti in corso di modo che sia ravvisabile un reale ed effettivo pericolo, pur sempre interpretato come giudizio prognostico e non come mera constatazione di un avvenimento “in itinere” che, proprio per tale carattere, può essere difficilmente interrotto ed eliminato con tardivi interventi (Sez. 2, 33830/2018).

La valutazione concernente il pericolo di fuga si basa sulla concretezza di tale pericolo che, pur non esigendo i segni di una attività già in atto, richiede comunque la presenza di elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla giustizia, non potendo l’apprezzamento essere limitato a considerazioni generiche che possono essere espresse con riguardo ad un soggetto che si venga a trovare nella condizione di indagato (Sez. 2, 30408/2018).

Il pericolo di fuga deve essere concreto e attuale, con la conseguenza che la relativa valutazione giudiziale, ancorché non scollegata rispetto alla misura della pena inflitta in primo grado, deve tenere conto del periodo di custodia cautelare sofferto, del tempo trascorso dai fatti, del comportamento tenuto dall’imputato durante il periodo di libertà, delle frequentazioni della persona, dei precedenti penali, dei procedimenti penali eventualmente in corso, dell’inclinazione della persona a sottrarsi all’esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà personale; è certamente vero che per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa l’art. 275 comma 3 contiene una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere ma è altrettanto vero che la prognosi di probabile esistenza di pericolo di fuga, concreto ed attuale, deve pur sempre essere compiuta (Sez. 1, 31062/2018).

Il requisito della attualità del pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma 1, lettera b), richiede la formulazione di un giudizio prognostico in base al quale ritenere, senza il ricorso a formule astratte e non verificabili in concreto, che sia imminente la sottrazione dell’indagato al processo e, in caso di condanna, alla irrogazione della pena (Sez. 5, 35830/2018).

 

Pericolo di reiterazione del reato

La semplice circostanza che un indagato rivesta cariche sociali in altre società, senza ulteriori indicatori della possibilità o della volontà concreta della reiterazione, anche nell'ambito dei diversi contesti imprenditoriali, dei reati già commessi nello svolgimento di altra attività di impresa, non può costituire un valido indicatore del rischio di ricaduta nel crimine (Sez. 5, 28702/2022).

Il pericolo di reiterazione può considerarsi attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente, sebbene non possa prescindersi, nel giudizio sulla attualità, sia dall'analisi della personalità dell'accusato (desumibile anche, seppur non solo, dalle modalità del fatto per cui si procede), sia dall'esame delle sue concrete condizioni di vita. Il giudice della cautela deve, in ogni caso, valorizzare l’esistenza di elementi specializzanti, senza limitarsi alla rilevazione della astratta gravità del titolo di reato (Sez. 5, 15311/2022).

In tema di esigenze cautelari, la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere, ai sensi dell'art. 274, in special modo relativamente al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato alla realizzazione dell'illecito da ognuno dei concorrenti, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché richiede una motivazione che sia congrua con riguardo alla singola posizione (Sez. 3, 39756/2021).

Lo stato di preesistente detenzione in espiazione di pena può essere considerato idoneo ad elidere la valutazione di pericolosità ex art. 274 solo se sia da escludere, anche in astratto, la possibilità che vengano applicate misure alternative, essendo peraltro onere dell'indagato allegare i dati relativi al titolo di carcerazione ed al residuo di pena da scontare, per consentire di valutare l'insussistenza, quanto meno nell'immediato, delle condizioni per accedere alle predette misure (Sez. 3, 38187/2021).

L’attualità dell'esigenza cautelare non costituisce un predicato della sua concretezza; si tratta di concetti distinti legati l'uno (la concretezza) alla capacità a delinquere del reo, l'altro (l'attualità) alla presenza di occasioni prossime al reato, la cui sussistenza, anche se desumibile dai medesimi indici rivelatori (specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità della persona sottoposta alle indagini dell'imputato), deve essere autonomamente e separatamente valutata, non risolvendosi il giudizio di concretezza in quello dell'attualità e viceversa (Sez. 3, 21067/2021).

In tema di misure cautelari, con riguardo al pericolo di reiterazione è necessario che questo sia non solo concreto - fondato cioè su elementi reali e non ipotetici - ma anche attuale, dopo l’introduzione di detto requisito ad opera della L.47/2015.  Nell’ambito dei reati contro la P.A., sebbene il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ex art. 274, comma primo, lettera c), si possa ravvisare pure quando il soggetto in posizione di rapporto organico con la P.A. risulti sospeso o dimesso dal servizio, è pero necessario che si fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell’imputato, nella mutata veste di soggetto ormai estraneo all’amministrazione, in situazione, perciò, di concorrente in reato proprio commesso da altri soggetti muniti della qualifica richiesta (Sez. 6, 5212/2019).

In tema di esigenze cautelari vi è la necessità di una congrua e coerente motivazione sulla attuale sussistenza della esigenza di disporre o tenere la cautela in esecuzione, sulla base di un’analisi accurata della fattispecie concreta, della quale deve compiutamente darsi atto in motivazione, specie nell’ipotesi in cui tra i fatti commessi e il momento della verifica cautelare sia trascorso, come avvenuto nel caso in esame, un considerevole lasso di tempo. Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 6, 34563/2018).

Qualora risulti preclusa una valutazione della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, il giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell’effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione (Sez. 5, 33910/2018).

Ai fini della configurabilità della esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa di cui all’art. 274, lett. c), gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività, giacché la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi dai criteri oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 Cod. pen., tra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto reato (Sez. 2, 29929/2018).

Il nuovo testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c), risultante dalle modifiche apportate dalla L. 47/2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati. Si è, infatti, precisato che, ai fini della delibazione da compiersi quanto al pericolo di recidiva, pur alla luce delle disposizioni della novella menzionata, non è possibile prescindere dalla valutazione della gravità del fatto medesimo nelle sue concrete manifestazioni, in quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di valutazione che, investendo l’analisi di comportamenti concreti, servono a comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio sistema di vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di una radicata incapacità del soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose. La pluriennale giurisprudenza di legittimità è, del resto, univoca nell’affermare che, anche sul piano del giudizio cautelare, la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi dai criteri oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 Cod. pen., costituendo gli stessi dati sintomatici di pericolosità sociale e concreta capacità a delinquere (Sez. 5, 20830/2018).