x

x

Art. 739 - Divieto di estradizione e di nuovo procedimento

1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell’esecuzione della sentenza straniera, salvo che si tratti dell’esecuzione di una confisca, il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.

Rassegna giurisprudenziale

Divieto di estradizione e di nuovo procedimento (art. 739)

Il principio del “ne bis in idem” internazionale, previsto dall’art. 54 della Convenzione di Schengen, come interpretato dalla CGUE, opera nel caso in cui il provvedimento dell’autorità straniera estingua definitivamente l’azione penale, a nulla rilevando che tale atto sia stato emesso da un giudice piuttosto che dal PM, non potendo essere considerati preclusivi tutti i provvedimenti precari, assimilabili al decreto di archiviazione (Sez. 2, 4115/2015).

Il principio del “ne bis in idem” europeo, sancito dall’art. 54 della Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, ratificata e posta in esecuzione dall’Italia con L. 30 settembre 1993, n. 388, opera nel diritto interno solo in presenza di una sentenza o di un decreto penale divenuti irrevocabili, non potendo essere considerato preclusivo del giudizio in Italia per i medesimi fatti un decreto di archiviazione emesso dall’AG straniera, inidoneo in quanto tale a definire il giudizio con efficacia di giudicato di condanna o di assoluzione (Sez. 5, 7687/2009).

Nell’ambito dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il principio del “ne bis in idem”, sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza, si configura come garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo, anche nei confronti di uno Stato non appartenente alla UE, ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto nei confronti della stessa persona ed a prescindere dalla sua cittadinanza europea (nella specie, la Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della sussistenza del “ne bis in idem”, che la sentenza definitiva sia stata emessa da uno Stato appartenente all’Unione Europea - Germania -, benché terzo rispetto alla procedura, in materie che abbiano un collegamento con quelle di competenza del diritto dell’Unione, ed ha negato, nei confronti del soggetto già condannato definitivamente, l’estradizione richiesta dalla Turchia all’Italia per il reato di traffico di stupefacenti, materia espressamente prevista dall’art. 83, par. 1, del TFUE) (Sez. 6, 54467/2016).

Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del “ne bis in idem” internazionale, prevedendo l’art. 11, comma 1, Cod. pen. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6 Cod. pen., cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato.

Ciò trova conferma nell’art. 138 stesso codice, il quale, per l’ipotesi di giudizio seguito all’estero e rinnovato in Italia, prevede come legittima l’esecuzione della pena inflitta dall’AG italiana, disponendo che vi venga sempre computata la pena scontata all’estero (Sez. 4, 3315/2017).

Se pure deve riconoscersi che il principio del ne bis in idem costituisce in effetti “un principio tendenziale cui si ispira oggi l’ordinamento internazionale, e risponde del resto a evidenti ragioni di garanzia del singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati” (Corte costituzionale, sentenza 58/1997) e che si assiste effettivamente ad una evoluzione legislativa che va nel senso di riconoscere efficacia preclusiva ad una sentenza straniera che abbia irrevocabilmente giudicato di un reato commesso in Italia da un cittadino straniero, o di un cittadino italiano all’estero (processo che vede quali tappe significative, prima, la Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con L. 350/1989, e poi, soprattutto, la L. 388/1993 che ha segnato il recepimento da parte dell’Italia dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985), ciò non significa ancora che per effetto di tale evoluzione normativa il principio del ne bis in idem possa considerarsi, rispetto alle sentenze straniere, come principio generale di diritto riconducibile alla categoria delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto, oggetto di ricezione automatica ai sensi dell’art. 10 Cost..

In altri termini, se pure in forza dell’art. 54 della Convenzione applicativa dell’accordo di Schengen, non si può più procedere in Italia, anche con riguardo a reati quivi commessi, nei confronti di una persona che sia stata definitivamente condannata o assolta per lo stesso fatto in uno Stato dell’area Schengen, resta tuttavia ferma, ratione temporis, l’irrilevanza del bis in idem internazionale con riguardo a sentenza penale deliberata in un paese, quale la Confederazione Svizzera, che soltanto in data 26.10.2004 ha concluso con l’UE l’accordo riguardante l’adesione della Svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’Accordo di Schengen, peraltro entrato in vigore il 12.12.2008.

In altri termini, “un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell’art. 11 cod. pen. non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio del “ne bis in idem” principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell’ordinamento interno.

Se pure deve riconoscersi, quindi, come già affermato dal Giudice delle leggi in una pur risalente decisione (Corte costituzionale, sentenza 48/1967), che “ponendosi in una prospettiva ideale, che già trova fervide iniziative e convinti sostenitori, si può auspicare per il futuro l’avvento di una forma talmente progredita di società di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità e una comune efficacia di decisioni giudiziarie”, ben diversa tuttavia, pur nel suo continuo evolversi, si presenta la realtà attuale, “dove la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato.

E ciò in conformità dei diversi interessi e dei variabili effetti riflessi della condotta degli uomini in ciascuno di essi, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell’autonomia dei singoli ordinamenti, il principio della territorialità” (Sez. 1, 41180/2018).

Nell’ambito dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il principio del ne bis in idem, sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza, si configura come garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo, anche nei confronti di uno Stato non appartenente alla UE, ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto nei confronti della stessa persona ed a prescindere dalla sua cittadinanza europea (Sez. 6, 54467/2016).

L’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia alla nozione del medesimo fatto risulta effettivamente estesa. In particolare, (CGUE, sentenza del 28 settembre 2006 in C-150/2005, Jean Leon Van Straaten contro Staat der Nederlanden e Republiek Italié) si è precisato che l’art. 54 della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, deve essere interpretato nel senso che: il criterio pertinente ai fini dell’applicazione del citato articolo è quello dell’identità dei fatti materiali, inteso come esistenza di un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giuridica di tali fatti o dall’interesse giuridico tutelato; per quanto riguarda i reati relativi agli stupefacenti, non viene richiesto che siano identici i quantitativi di droga di cui trattasi nei due Stati contraenti interessati né i soggetti che si presume abbiano partecipato alla fattispecie nei due Stati; i fatti punibili consistenti nell’esportazione e nell’importazione degli stessi stupefacenti e perseguiti in diversi Stati contraenti della detta convenzione (ad esempio, nello Stato d’esportazione ed in quello d’importazione) devono, in via di principio, essere considerati come «i medesimi fatti» ai sensi di tale art. 54, sebbene la valutazione definitiva in proposito spetti ai giudici nazionali competenti (Sez. 4, 4618/2018).

Nell’ordinamento convenzionale CEDU (al quale appartengono sia l’Italia, avendo il nostro Paese ratificato la convenzione il 26 ottobre 1955, che la Francia), il principio del ne bis in idem è stato inserito per effetto del VII protocollo, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984 (e, peraltro, ad oggi non ancora ratificato da tutti gli Stati membri).

A tale principio è conferita la massima tutela possibile, essendo stato qualificato (art. 4, paragrafo 3) come una delle (rare) ipotesi di diritti non derogabili, neanche in caso di guerra o di altro pericolo che minacci la vita della nazione, al pari di quanto previsto dall’art. 15 della Convenzione per altri diritti/principi fondamentali (il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù e il principio di non retroattività della legge penali).

Occorre tuttavia osservare che, nell’ordinamento della Convenzione, l’ambito di applicazione territoriale del principio è circoscritto allo Stato ove è intervenuto il giudizio; in altri termini nulla è previsto per il caso di giudizi presso Stati diversi anche se entrambi tutti firmatari della CEDU (nonostante sia proprio quest’ultimo caso quello nel quale il rischio di imputazioni coincidenti e concorrenti sia più concreto e reale, posto che, nella maggior parte degli Stati il principio del ne bis in idem processuale è riconosciuto nei rispettivi diritti nazionali). Considerazioni diverse valgono per l’ordinamento euro-unitario (del quale pure fanno parte Italia e Francia, che peraltro sono stati 2 dei 6 Stati fondatori).

In detto ordinamento, il principio del ne bis in idem ha ricevuto la sua prima consacrazione con la Convenzione fra gli Stati membri delle Comunità europee, adottata a Bruxelles il 25 maggio 1987, poi sostituita dagli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS) adottata il 19 giugno 1990. Successivamente, con l’emersione dello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (c.d. Terzo Pilastro del Trattato di Maastricht), il principio si è ulteriormente sviluppato diventando un passaggio fondamentale per la costruzione di uno spazio giudiziario unitario europeo e per la concreta attuazione della libera circolazione delle persone in ambito europeo (cfr. l’articolo 3, paragrafo 2, TUE, nonché l’articolo 67, paragrafo 1, TFUE).

Da ultimo ha ricevuto esplicito riconoscimento nell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai sensi del quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”. Da ciò si desume l’esistenza di un ne bis in idem euro unitario, valevole per i Paesi aderenti all’UE (previo accertamento del giudice dello Stato procedente o eventuale valutazione pregiudiziale della Corte di Giustizia ex art. 35 TUE) (Sez. 4, 57664/2017).

La nozione di identità del fatto è stata costantemente intesa quale coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta oggetto dei due processi, onde il “medesimo fatto”, ai fini della preclusione connessa al rispetto del principio del ne bis in idem, sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (SU, 34655/2005).

Al medesimo risultato ermeneutico appaiono, d’altronde, ricondurre gli esiti del percorso giurisprudenziale da tempo intrapreso dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che al riguardo, superando precedenti difformità di orientamento, ha provveduto ad armonizzare la propria interpretazione del concetto di idem factum nella prospettiva di una dimensione internazionale della fondamentale garanzia del ne bis in idem (Corte EDU, Grande camera, Zolotoukhine c. Russia, 10 febbraio 2009).

Occorre sottolineare che in detta citata sentenza (cfr., in particolare, p. 80), la Corte EDU  richiamando la recente evoluzione giurisprudenziale della Corte del Lussemburgo (CGUE, 9 marzo 2006, C-436/04, 1/3n Esbroeck, pp. 27-36; CGUE, 18 luglio 2007, C-367/05, Kraaijenbrink, p. 36) e della Corte interamericana dei diritti dell’uomo (CIDU, Loayza-Tamayo c. Perou, 17 settembre 1997, serie C, n. 33, p. 66)  ha osservato come nel panorama internazionale sia predominante l’approccio più favorevole all’individuo, ovvero quello che nel valutare la nozione di idem, al di là delle differenti espressioni linguistiche utilizzate, valorizza l’identità dei fatti materiali (e non l’idem legale) (Sez. 4, 57664/2017).