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Art. 529 - Sentenza di non doversi procedere

1. Se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo.

2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell’esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria.

Rassegna giurisprudenziale

Sentenza di non doversi procedere (art. 529)

La sentenza di non luogo a procedere non acquisisce mai autorità di cosa giudicata e ha natura squisitamente processuale (Sez. 4, 47279/2017).

In presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.

Il disposto di cui all’art. 129, laddove impone di dichiarare la causa estintiva quando non risulti evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, ecc., deve coordinarsi con la presenza della parte civile e di una condanna in primo grado che impone ai sensi dell’art. 578 di pronunciarsi sulla azione civile; in tali ipotesi, la valutazione della regiudicanda non deve avvenire secondo i canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi.

La pronuncia ex art. 578 impone, cioè, pur in presenza della causa estintiva, un esame approfondito di tutto il compendio probatorio, ai fini della responsabilità civile (SU, 35490/2009).

La pronuncia di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato comporta la revoca delle statuizioni civili, con la conseguenza che dei fatti depenalizzati dovrà occuparsi in via esclusiva il giudice civile, e ciò non diversamente di quanto può avvenire a seguito del proscioglimento ex art. 529.

Posto che, a norma dell’art. 652, solo la pronuncia di una sentenza di assoluzione nel giudizio penale, ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno promosso dal danneggiato, la pronuncia di non doversi procedere per difetto di querela non impedisce  come quella di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato  alla già costituita parte civile di promuovere una controversia civilistica allo scopo di far accertare la natura di “illecito civile” del fatto (già integrante gli estremi del delitto di danneggiamento prima della depenalizzazione), con la conseguenza che il giudice civile, ove accolga la domanda di risarcimento del danno, può, a norma dell’art. 8 D. Lgs. 7/2017, parimenti applicare la sanzione civile pecuniaria. Il giudice civile, indipendentemente dal fatto che venga adito a seguito della definizione del giudizio di penale con la formula assolutoria “il fatto non è previsto dalla legge come” o con quella “non doversi procedere per difetto di valida querela”, può in entrambi i casi utilizzare gli elementi di prova acquisiti nel giudizio penale, che potrà liberamente valutare unitamente agli altri elementi di prova (SU, 46688/2016).

Dal combinato disposto degli artt. 630, lett. c) e 631 emerge che la prova a fondamento della revisione deve essere nuova, sopraggiunta alla condanna definitiva e che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità della domanda, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 (Sez. 5, 16798/2018).

Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l’esame preliminare della Corte d’appello circa il presupposto della non manifesta infondatezza deve limitarsi ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l’eventuale sussistenza di un’infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti.

La delibazione propria della fase preliminare, dunque, non può tradursi in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito, fermo restando che la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili ictu oculi; nella fase della delibazione preliminare, dunque, il giudice di merito può valutare in astratto l’idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quelle noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531; e tale valutazione, benché operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 1, 6066/2018).

Il proscioglimento per mancanza di querela, è formula più favorevole rispetto alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione (Sez. 4, 4123/2018).

L’avvenuta espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, se provata in modo concreto ed affidabile, consente, ai sensi dell’art. 13, comma 3-quater, del D. Lgs. 286/1998, la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, a condizione, però, che non sia stato emesso decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente (Sez. 4, 47279/2017).

La sentenza di proscioglimento predibattimentale di cui all’art. 469 può essere pronunciata solo nelle ipotesi ivi previste (mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità dell’azione penale ovvero presenza di una causa di estinzione del reato) e sempre che le parti, interpellate in proposito, non si siano opposte, non potendo, in detta fase, trovare applicazione la disposizione dell’art. 129, da riferire esclusivamente al giudizio in senso tecnico.

Tale principio va affermato anche con riferimento alla nuova disposizione prevista dall’art. 469, comma 1-bis, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. a), D. Lgs. 28/2015, in quanto l’effetto della novella, sul punto, è stato quello di inserire tra le cause che legittimano il proscioglimento prima del dibattimento previste dal comma 1 del menzionato art. 469, la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis Cod. pen., che, dunque, il giudice procedente potrà applicare nella fase predibattimentale solo dopo avere messo il PM, l’imputato e la persona offesa, in condizione di esprimere le proprie osservazioni al riguardo e sempre che il PM e l’imputato non si oppongano, dovendosi altrimenti procedere al dibattimento (Sez. 3, 45941/2017).

L’art. 649 non è suscettibile di applicazione in sede cautelare, non potendo il giudice del relativo sub-procedimento pronunciare, ai sensi del comma 2 della norma citata, sentenza di proscioglimento (art. 529) o di non luogo a procedere (art. 425) idonea per sua natura a definire il merito del giudizio principale (Sez. 6, 6666/2017).

In conseguenza della entrata in vigore del D. Lgs. 8/2016, l’omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti costituisce illecito amministrativo se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, applicandosi, in tal caso, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000 (art. 3, comma 6).

Secondo quanto dispone l’art. 8, comma 1, le disposizioni del D. Lgs. 8/2016 che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.

In tal caso il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento con la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» e dispone la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla data di entrata in vigore del decreto stesso (art. 9, comma 1). Ne consegue che per i fatti in questione non sussiste la giurisdizione del giudice penale al quale è inibito decidere nel merito la fondatezza dell’accusa, dovendo limitarsi esclusivamente a trasmettere gli atti all’INPS (Sez. 3, 52849/2016).