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Art. 321 - Oggetto del sequestro preventivo

1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.

2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.

2-bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca.

3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell’interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell’interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria.

3-bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria.

3-ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette l’ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell’ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.

Rassegna giurisprudenziale

Oggetto del sequestro preventivo (art. 321)

Domanda cautelare

Il principio del ne bis in idem cautelare non è ostativo alla reiterazione del sequestro preventivo sia nel caso in cui questo intervenga su beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto, allorquando il nuovo decreto si fondi su di un'esigenza cautelare diversa da quella inizialmente ipotizzata ovvero qualora l'autorità procedente sia chiamata a valutare elementi precedentemente non esaminati, sia nel caso in cui il nuovo provvedimento sia fondato sulla base di un titolo di reato diverso da quello inizialmente ipotizzato (Sez. 3, 7613/2022).

L’applicazione della misura cautelare reale, al pari di quella personale, postula, come indefettibile presupposto, una specifica domanda del PM attraverso il quale egli chiede al giudice l’emissione della misura, nella sua qualità di titolare dell’azione penale (Sez. 1, 1313/2015).

Il giudice, investito di una richiesta, anche cautelare, non può variarla e sostituirla nell’individuare la tipologia e l’oggetto materiale della misura, né modificare la tipologia di cautela reale adottata, trasformandola da sequestro diretto in sequestro per equivalente o il delitto investigato per il quale accordarla (Sez. 1, 1313/2015).

La domanda del PM, presupposto indefettibile per l’applicazione di una misura cautelare reale, deve contenere tutti i requisiti essenziale per qualificare la stessa secondo i parametri normativi del tipo di sequestro richiesto e delle finalità perseguite, onde evitare che il giudice incorra in una possibile iniziativa d’ufficio. E in tale ambito assume decisivo rilievo non solo l’indicazione dell’oggetto su cui deve cadere il vincolo, ma anche i presupposti, tra quelli diversi previsti dall’art. 321 comma 1 e 2 e dunque quale finalità intenda perseguire. Non è pertanto accoglibile o convalidabile una domanda priva dei suddetti requisiti (Sez. 3, 13750/2018).

Nel caso di una pronunzia di merito non ancora irrevocabile che abbia disposto la confisca di un bene sottoposto a sequestro, permane il potere del giudice cautelare di riesaminare il provvedimento che ha disposto il sequestro poiché esso costituisce, allo stato, l’unico titolo legittimante la temporanea ablazione del bene (Sez. 5, 37489/2021).

In tema di sequestro preventivo impeditivo, è necessaria la sussistenza del requisito della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res ed il reato commesso: laddove il provvedimento riguardi una società, ai fini della legittimità del sequestro preventivo della stessa occorre dimostrare il durevole asservimento della società e del suo patrimonio alla commissione delle attività illecite, quale società strutturalmente illecita o di comodo (Sez. 3, 35989/2021).

In tema di reati commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (Sez. 5, 384/2022).

Fumus commissi delicti

Il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., necessita comunque dell’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato (Sez. 5, 31693).

Il "fumus commissi delicti" per l'adozione di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273, necessita comunque dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato, non potendosi il giudice limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall'accusa (Sez. 5, 24249/2021).

In tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Sez. 2, 5656/2014).

Ai fini dell’emissione del sequestro preventivo, il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del fumus commissi delicti attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato (Sez. 6, 49478/2015).

Il sopravvenire della sentenza di condanna in primo grado dell’imputato, con la quale venga disposta la confisca di un determinato bene, integra di per sé il necessario fumus commissi delicti (Sez. 2, 5381/2015).

In presenza del rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare, l’esistenza degli elementi che costituiscono il necessario “fumus” è già stata oggetto di un positivo scrutinio da parte di un organo giurisdizionale chiamato a vagliare la sostenibilità in giudizio dell’accusa e non può pertanto essere oggetto di successiva doglianza in sede cautelare (Sez. 3, 19991/2016).

Il sequestro impeditivo può essere disposto su qualsiasi bene, a chiunque appartenente, e, quindi, anche a persona estranea al reato; fra il bene sequestrato ed il reato vi dev’essere un nesso di strumentalità (o pertinenzialità) nel senso che, ove il bene sia lasciato in libera disponibilità, sia idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti; il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa deve presentare i requisiti della concretezza e dell’attualità; il sequestro può colpire anche quote societarie o aziende: essendo le quote o azioni anzitutto rappresentative della misura della partecipazione di ciascun socio alle assemblee e quindi alla formazione della volontà della compagine, chiara ne risulta la idoneità del vincolo de quo a impedire, sia pure in modo mediato e indiretto, la consumazione di altri reati attraverso l’utilizzazione delle strutture societarie (Sez. 2, 23338/2018).

Ai fini dell’operatività, nei confronti del terzo, del sequestro preventivo finalizzato alla c.d. confisca allargata a norma dell’art. 12-sexies della L. 356/1992 (ora art. 240-bis c.p.), grava sull’accusa l’onere di provare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con la dovuta certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e salvaguardarlo dal pericolo della confisca. La presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista dalla disposizione citata, infatti, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo, ma si assume si trovi nella effettiva titolarità della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione medesima (Sez. 5, 35054/2021).

Il delitto presupposto integra la fattispecie della ricettazione ed incide sulla completezza della contestazione e, dunque, sulla stessa configurabilità del fumus commissi delicti (Sez. 2, 10746/2015).

È legittimo il decreto di sequestro preventivo che presenti una struttura “mista”, prevedendo, in parte, la sottoposizione a vincolo a titolo di sequestro diretto e, in parte, a titolo di sequestro per equivalente, salva la necessità, nel secondo caso, di predeterminare, già con il provvedimento genetico, il valore del compendio assoggettabile alla cautela: spetta, infatti, al PM investito dell’esecuzione ed al giudice della cautela di verificare il preventivo esperimento del sequestro nella forma diretta e la corrispondenza, quanto al sequestro per equivalente, del valore delle cose sequestrate a quello del profitto determinato nel provvedimento cautelare (Sez. 2, 28856/2018).

Nel caso del sequestro preventivo c.d. impeditivo, il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno invasivi strumenti cautelari ovvero modulando quello disposto - qualora ciò sia possibile - in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sottoposto a vincolo anche oltre le effettive necessità dettate dall'esigenza cautelare che si intende arginare di talché è necessario verificare: a) se l'aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato possono essere evitati senza privare l'avente diritto della disponibilità della cosa; b) se il sequestro preventivo è sufficiente a garantire tale risultato; c) se tale risultato può essere conseguito con misure meno invasive (Sez. 4, 13741/2022).

Periculum in mora

Il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituiscano reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (SU, 36959/2021)

Il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, co. 2, finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio: donde, in particolare, in ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato, l'onere di motivazione può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato (Sez. 5, 384/2022).

Il periculum in mora che giustifica il sequestro preventivo di beni appartenenti a terzi estranei al reato, deriva dal collegamento di tali beni con le attività delittuose delle persone indagate e può essere affermato se emergono elementi che indichino concretamente che questi ancora ne dispongono (Sez. 2, 47007/2016).

In materia edilizia, l’esigenza cautelare ex art. 321, comma 1, di evitare che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati è incompatibile con l’autorizzazione all’uso, in tutto o in parte, dell’immobile sequestrato.

Il limite apposto con il sequestro alla disponibilità dei beni è correlato alle esigenze connesse a una situazione di pericolo, concreto e attuale, per la collettività, per le evidenti compromissioni dell’assetto territoriale e dell’equilibrio tra l’uomo e il territorio, idonea a giustificare l’apposizione del vincolo. Di conseguenza, la possibilità di utilizzazione residenziale privata di un manufatto posto sotto sequestro ex art. 321, comma 1, si pone in evidente contrasto con le stesse finalità della misura cautelare in concreto ravvisate (Sez. 3, 16689/2014).

Il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un immobile abusivo già ultimato e rifinito, laddove la libera disponibilità di esso possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul “carico urbanistico” (Sez. 3, 42717/2015).

Il periculum in mora che, ai sensi del primo comma dell’art. 321, legittima il sequestro preventivo, deve intendersi come concreta possibilità che il bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all’agevolazione della commissione di altri reati e, in forza di tale principio, è stato ritenuto sussistente il presupposto per l’adozione della misura cautelare nella realizzazione di opere eseguite in violazione della normativa antisismica, atteso che la libera disponibilità del bene avrebbe potuto determinare un aggravamento del reato (Sez. 3, 43249/2010).

In tema di sequestro preventivo di un immobile la cui realizzazione sia soggetta al rispetto della normativa antisismica, il pericolo di aggravamento del reato, con riferimento al suo perdurante utilizzo, è insito nella violazione della disciplina antisismica (Sez. 6, 190/2017).

La semplice disponibilità di un’area su cui vengono gestiti in maniera irregolare rifiuti pericolosi contenenti amianto, per di più in assenza di certezza che la dispersione delle fibre di amianto cancerogene non avvenga nel sottosuolo, rende concreto ed attuale il pericolo di “protrazione” delle conseguenze del reato ipotizzato, con conseguente legittimità del diniego opposto dai giudici di merito alla revoca del sequestro preventivo, attesa la persistenza del periculum in mora (Sez. 3, 18528/2018).

 

Cose pertinenti al reato

L’art. 321, comma 1 consente il sequestro non già delle cose che servirono a commettere il reato ma, più genericamente, delle cose “pertinenti al reato”, sicché, a differenza del sequestro strumentale alla confisca, previsto dall’art. 321, comma 2, il giudice non deve accertare se ricorra un collegamento strutturale tra il bene e il reato tale da richiedere un sostanziale asservimento anche funzionale del primo al secondo.

La pertinenza, richiesta dal primo comma dell’art. 321, comprende, infatti, non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Sez. 5, 26444/2014).

La nozione di pertinenza non può estendersi sino al punto di attribuire rilevanza a rapporti meramente occasionali tra la “res” e l’illecito penale (Sez. 5, 26444/2014).

La pertinenzialità tra il bene in sequestro ed il suo possibile utilizzo criminoso non postula necessariamente l’uso esclusivo del bene al fine dell’attività illecita.

Si richiede, infatti, che il sequestro preventivo abbia ad oggetto “cose” oggettivamente e specificamente predisposte per la realizzazione di attività criminose e che per ciò stesso costituiscano mezzo indispensabile, stabile e specifico per l’attuazione o la prosecuzione dell’attività illecita: presupposti, questi, che non possono dirsi esclusi pur se, in ipotesi, il bene sia adibito anche ad altri scopi (Sez. 2, 38217/2018).

Ai fini della legittimità del sequestro preventivo di cose che si assumono pertinenti al reato di riciclaggio di cui all’art. 648-bis Cod. pen., va ribadito che, pur non essendo necessario, con riguardo ai delitti presupposti, che questi siano specificamente individuati ed accertati, è però indispensabile che essi risultino, alla stregua degli acquisiti elementi di fatto, almeno astrattamente configurabili ed indicati; il che non si verifica quando il giudice si limiti semplicemente a supporne l’esistenza, sulla sola base del carattere asseritamente sospetto delle operazioni relative ai beni e valori che si intendono sottoporre a sequestro (Sez. 2, 813/2014).

 

Sequestro finalizzato alla confisca

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, debbono osservarsi i limiti attinenti al regime di pignorabilità previsti dall'art. 545 cod. proc. civ., come modificato dall'art. 13, comma 1, lett. l), DL 83/2015, convertito con modifiche dalla L. 132/2015 - sempre che risulti attestata e certa la causale dei versamenti - attesa la riconducibilità degli stessi all'area dei diritti inalienabili della persona, tutelati dagli artt. 2, 36 e 38 della Costituzione (SU, 26252/2022).

Alla questione di diritto “se il provvedimento di sequestro preventivo di beni finalizzato alla confisca previsto dall'art. 321, comma 2, richieda la motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del periculum in mora”, le Sezioni unite, secondo l’informazione provvisoria, hanno fornito la seguente soluzione: “affermativa, salvo che nel caso di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240, comma 2, cod. pen. (SU, udienza del 24.6.2021, informazione provvisoria).

Quesito posto alle Sezioni unite: "se il sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, strumentale alla confisca, costituisca figura specifica e autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal primo comma dello stesso articolo, per la cui legittimità non occorre, dunque, la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo “tipico”, essendo sufficiente il presupposto della confiscabilità; oppure se, con specifico riferimento al sequestro finalizzato alla confisca “facoltativa”, il giudice debba comunque dare conto del “periculum in mora” che giustifica l’apposizione del vincolo, dovendosi escludere qualsiasi automatismo che colleghi la pericolosità alla mera confiscabilità del bene oggetto di sequestro" (Sez. 5, 9335/2021).

Quesito posto alle Sezioni unite: "se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo o del profitto derivante dal reato, anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da un titolo lecito (Sez. 6, 7021/2021). Le Sezioni unite, in esito all'udienza del 27.5.2021, hanno diramato la seguente informazione provvisoria: "Qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l'ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente".

In caso di pluralità di indagati, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può eccedere per ciascuno dei concorrenti la misura della quota di profitto del reato a lui attribuibile, sempre che tale quota sia individuata o risulti chiaramente individuabile. Pertanto, ove la natura della fattispecie concreta e dei rapporti economici ad essa sottostanti non consenta d'individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo deve essere disposto per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti (Sez. 6, 22794/2022).

Nelle ipotesi in cui il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile, è possibile, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all'indagato, che siano cioè presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell'indagato in epoca posteriore al momento della commissione del reato, purché si tratti di numerario che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perché allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta. (Nel caso in esame, con riferimento al sequestro finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro individuate quale profitto derivante dagli inadempimenti contrattuali contestati nei capi di imputazione, la Suprema corte ha ritenuto che nessuna base indiziaria sia stata individuata a sostegno e giustificazione della ricorrenza del necessario requisito della pertinenzialità del profitto al reato ipotizzato; di talché, le somme fatte oggetto di ablazione sull'assunto della loro ipotizzata riferibilità ai risparmi di spesa nel tempo maturati dalla società ricorrente – ovverosia, agli utili conseguiti per effetto dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 355, primo e secondo comma, n. 2, c.p. (capi sub 1 e 5) – non sono, in ragione della rilevante distanza temporale dai fatti in contestazione e della carenza di elementi sintomatici oggettivamente idonei al fine qui considerato, le stesse somme di denaro oggetto di apprensione quale profitto ricollegabile in termini di pertinenzialità con la commissione delle richiamate ipotesi di reato, ma somme aventi valore soltanto equivalente, senza costituirne un risultato immediato ed attuale) (Sez. 6, 20179/2021).

In tema di confisca, il profitto del reato è solo quello costituito da un mutamento materiale, attuale e di segno positivo, della situazione patrimoniale del beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica; ne consegue che non costituisce profitto del reato un vantaggio futuro – eventuale, sperato, immateriale o non ancora materializzato in termini economico-patrimoniali – né la mera aspettativa di fatto, c.d. “chance”, salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tali da costituire essa stessa un’entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Sez. 6, 1754/2017).

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali oggetto di ablazione accumulate da un soggetto condannato per uno dei reati-spia deve escludersi in presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali sia che provengano dall’attività economica svolta ma non evidenziata, in tutto o in parte, nella dichiarazione dei redditi, con la conseguenza che è onere dell’interessato dimostrare che i beni oggetto di sequestro sono stati acquistati con il provento di attività economiche non denunziate al fisco e che, ove l’interessato soddisfi tale onere, il giudice ha l’obbligo di prendere in considerazione tutta la documentazione prodotta, in merito, dalla difesa, fornendo adeguata motivazione in ordine alle giustificazioni fornite dagli interessati in ordine alla lecita provenienza dei beni (Fattispecie nella quale i ricorrenti lamentavano carenza assoluta della motivazione dell’ordinanza del tribunale per il riesame, che non aveva tenuto in alcuna considerazione la documentazione prodotta per dimostrare che i beni oggetto di sequestro potevano, almeno in parte, essere stati acquistati con il provento di attività economiche lecite pur se inizialmente non denunziate al fisco. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale per il riesame competente) (Sez. 2, 3854/2022),

Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità, deve, essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura fungibile del bene, destinato a confondersi con le altre disponibilità economiche del reo, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (SU, 31617/2015).

Nel caso in cui il reato sia commesso nell'interesse di un'impresa dal suo legale rappresentante, il sequestro e la confisca diretta possono colpire le somme nella disponibilità della società e non già quelle in possesso del legale rappresentante, e che neppure il compenso elargito dalla società a quest'ultimo può essere ritenuto profitto del reato, salvo non venga provata una situazione di osmosi economica tra persona giuridica e persona fisica che la rappresenta, in cui la prima è un mero schermo formale grazie al quale la seconda agisce come effettivo titolare dei beni della medesima (Sez. 3, 31369/2021).

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro che costituiscono profitto di reato può avere ad oggetto sia la somma fisicamente identificata in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia una somma corrispondente al valore nominale di questa, quando sussistono indizi per i quali il denaro di provenienza illecita risulti depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare (Sez. 6, 15923/2015).

Per il sequestro ex art. 321, comma 2, l’unico requisito richiesto è quello della confiscabilità del bene, ossia la condizione che si tratti di cose di cui è consentita la confisca a mente del codice penale o delle leggi speciali, per cui il compito del giudice nel disporre il sequestro è quello di verificare se i beni siano suscettibili di confisca (facoltativa o, come nel caso in esame, obbligatoria) ma non si richiede una prognosi relativa al pericolo di commissione di reati, essendo irrilevante la valutazione del periculum in mora - che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo (Sez. 6. 20539/2018).

Rientra nei poteri del giudice dell’esecuzione quello di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’articolo 12-sexies del DL 306/1992, convertito in L. 356/1992, con la forma de plano indicata dall’art. 667, comma 4 (Sez. 6, 5018/2011).

Tanto in sede di sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2-bis, quanto in sede di disposizione della confisca per equivalente in relazione al profitto corrispondente ai reati fiscali, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario e questo sia stato in parte adempiuto, l’importo della statuizione deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, 20887/2015).

È legittimo il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 comma 2 (secondo cui il giudice può consentire il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca) dei beni e della somma di denaro in contanti, avvenuto a seguito di perquisizione domiciliare e in un’indagine concernente il traffico in sostanze stupefacenti, atteso che l’art. 240 Cod. pen. prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, che è costituito dal lucro, cioè dal vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato. È pertanto certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti quando tale sia il reato per cui si procede. Il denaro sequestrato, inoltre, può essere sottoposto, ad esito del giudizio di merito a confisca facoltativa, con adeguata motivazione, qualora si provi che dette somme siano riferibili al reato e l’ablazione si giustifica con l’esistenza di un nesso pertinenziale con l’illecito che impone la sottrazione dei beni alla disponibilità del colpevole per impedire la agevolazione di nuovi fatti criminosi (Sez. 3, 2444/2014).

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies postula una valutazione delibativa diretta all’accertamento della confiscabilità dei beni sequestrati: e poiché la confisca dipende dalla futura pronuncia di condanna per il delitto “presupposto” e dalla sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o all’attività economica esercitata dal condannato, nonché dalla mancata dimostrazione della loro legittima provenienza, in tali specifiche condizioni devono essere identificati i peculiari presupposti dei quali il giudice deve verificare l’esistenza al momento dell’applicazione della cautela reale (Sez. 4, 29368/2018).

Ai fini dell’operatività della disciplina di cui all’art. 12-sexies DL 306/1992, la distinzione tra interposizione reale ed interposizione fittizia è priva di rilievo, potendo essere sottoposti a confisca sia i beni acquistati dall’interessato ma fittiziamente intestati ad un terzo, sia i beni che l’interessato ha fiduciariamente intestato al terzo ad ogni effetto di legge. Le Sezioni Unite hanno chiarito che al fine di disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, allorché sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la “giustificazione” credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta con condanna. in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui all’art. 12-sexies (Sez. 4, 29368/2018).

È legittima la confisca di un fabbricato costruito su un terreno sottoposto a sequestro e poi a confisca, ancorché non menzionato nell’originario provvedimento di sequestro e nel successivo provvedimento di confisca, in quanto, essendo vigente nel nostro ordinamento il principio di accessione, i beni costruiti sul fondo appartengono al relativo proprietario (articolo 934 Cod. civ.), con la conseguenza che l’edificazione di un nuovo fabbricato resta automaticamente esposta alla misura patrimoniale che colpisce il bene principale (Sez. 5, 44994/2011).

Sussiste a carico del titolare apparente di beni una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un’attività tale da procurargli il bene per invertire l’onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo. L’interessato ha l’onere di fornire in ordine alla provenienza dei beni suscettibili di confisca la prova della liceità della loro provenienza e non quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Sez. 4, 29368/2018).

La necessaria valutazione della sproporzione tra i beni oggetto della misura cautelare e la situazione reddituale dell’interessato, deve essere condotta avendo riguardo al reddito dichiarato o alle attività economiche esercitate non al momento della applicazione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio del soggetto, bensì a quello dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti (Sez. 4, 29368/2018).

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies del DL 306/1992, qualora venga disposta, con la sentenza di condanna in primo grado, la confisca dei beni sequestrati all’imputato, questi potrà far valere il proprio diritto alla restituzione dei beni solo attraverso lo strumento dell’impugnazione della sentenza ex art. 579, comma 3, con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione cautelare eventualmente proposta (Sez. 1, 12769/2016).

In senso contrario: l’eventuale confisca non definitiva di un bene sottoposto a sequestro non incide in alcun modo sul potere di riesaminare il titolo custodiale rappresentato dal sequestro, in quanto il titolo legittimante la temporanea ablazione del bene rimane solo ed esclusivamente il provvedimento di sequestro e non la confisca non definitiva; l’organo legittimato a compiere detto controllo, in assenza di irrevocabilità della pronuncia di merito, è il TDR (SU, 48126/2017 in riferimento alla posizione dei terzi interessati e Sez. 2, 31813/2018 per l’imputato).

Nel caso di decreto sequestro preventivo che presenti una struttura “mista”, la verifica della infruttuosità del sequestro diretto o dell’incapienza del patrimonio della persona giuridica colpita da tale vincolo, che consente di disporre, in subordine, il sequestro per equivalente nei confronti della persona fisica che ne ha la rappresentanza, non deve essere necessariamente eseguita prima dell’adozione del provvedimento, ben potendo, tale accertamento, essere demandato al pubblico ministero in fase di esecuzione e ben potendo, del resto, il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal pubblico ministero nella selezione dei cespiti da confiscare (Sez. 2, 8910/2019).

 

Adempimenti esecutivi

In tema di sequestro preventivo disposto di iniziativa della PG ai sensi dell’art. 321 comma 3-bis, non sussiste obbligo di dare avviso all’indagato, presente al compimento dell’atto, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ex art. 114 Att. (SU, 15453/2016).

L’art. 321 comma 3-bis non prevede l’obbligo di nomina dell’interprete per l’imputato alloglotta. La notifica dell’atto determina soltanto la decorrenza del termine per proporre impugnazione contro il provvedimento cautelare, non essendo prescritta come condizione della sua validità. L’obbligo della notifica, inoltre, sussiste solo nei confronti del diretto interessato, non anche del suo difensore (Sez. 2, 50679/2017).

 

Responsabilità da reato degli enti e persone giuridiche e condizioni per il sequestro

Non appare corretta una automatica trasposizione del regime dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo previsto dall’art. 321, in quanto nel caso dell’art. 53 D. Lgs. 231/2001 il sequestro è direttamente funzionale ad anticipare in via cautelare, la confisca di cui all’art. 19 D. Lgs. citato, che è sanzione principale, obbligatoria e autonoma (così SU, 26554/2008) e che come tale si differenzia non solo dalle altre ipotesi di confisca disciplinate dal codice penale e dalle leggi speciali, ma anche dalle altre tipologie di confisca cui si riferisce lo stesso D. Lgs. 231/2001 (ad esempio, negli artt. 6 comma 5 e 15 comma 4).

Di conseguenza, il dibattito (e le conclusioni) sui presupposti applicativi richiesti per il sequestro preventivo di cui ai commi 1 e 2, 321, e, in particolare, sul “fumus boni iuris”, «non può essere integralmente replicato con riferimento al sequestro preventivo previsto dall’art. 53 D. Lgs. 231/2001». Pertanto, proprio perché il sequestro di cui all’art. 53 D. Lgs. 231/2001 «è prodromico ad una sanzione principale, che viene applicata solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’ente, al pari delle altre sanzioni previste dall’art. 9», è necessaria «una più approfondita valutazione del presupposto del “fumus commissi delicti».

Quindi, in conclusione, «presupposto per il sequestro preventivo di cui al D. Lgs. 231/2001, art. 53, è un fumus delicti “allargato”, che finisce per coincidere sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabilità dell’ente, al pari di quanto accade per l’emanazione delle misure cautelari interdittive.

Sicchè i gravi indizi coincideranno con quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgono di per sè a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità dell’illecito all’ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare, allo stato, una qualificata probabilità di colpevolezza.

L’apprezzamento dei gravi indizi deve portare il giudice a ritenere l’esistenza di una ragionevole e consistente probabilità di responsabilità, in un procedimento che avvicina la prognosi sempre più ad un giudizio sulla colpevolezza, sebbene presuntivo in quanto condotto allo stato degli atti, ma riferito alla complessa fattispecie di illecito amministrativo attribuita all’ente indagato (Sez. 34505/2012).

In senso contrario: in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto dell’art. 19 D. Lgs. 231/2001, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il “periculum” richiesto per il sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 1, essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato (Sez. 2, 34293/2018).

Ed ancora: in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma 1 dell’art. 321, non essendovi totale sovrapposizione e, quindi, alcuna incompatibilità di natura logica-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive (Sez. 2, 34293/2018).

Poiché ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, comma 5, e 19, comma 1, D. Lgs. 231/2001, la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente, è sempre disposta con la sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell’ente medesimo, deve ritenersi applicabile il principio di diritto secondo il quale è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposto ai sensi dell’art. 53, comma 1, D. Lgs. 231/2001, in caso di intervenuta prescrizione delle sanzioni amministrative applicabili all’ente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, D. Lgs. 231/2001, ancor prima della formulazione della contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, rilevando tale aspetto, sotto il profilo della mancanza del “fumus” dell’illecito, essendo in sede di riesame precluso al giudice di compiere l’accertamento dell’illecito, nei suoi estremi oggettivi, e la sussistenza di profili quanto meno di colpa nella persona giuridica, quali presupposti necessari per disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva dell’illecito (Sez. 5, 18137/2018).

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) D. Lgs. 231/2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso (Sez. 6, 21192/2013).

 

Decreto di sequestro emesso dal PM e relativa convalida

In caso di sequestro preventivo disposto dal PM, il termine per proporre istanza di riesame decorre dalla data di notifica del decreto di convalida del GIP ovvero, in caso di mancata notificazione, dalla data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro, intendendosi per tale il “sequestro convalidato” (Sez. 3, 39070/2013).

La richiesta di convalida del sequestro preventivo disposto in via di urgenza e di emissione di decreto motivato di sequestro non necessita di formule prestabilite, essendo sufficiente che da essa emerga la chiara volontà in tal senso del PM (Sez. 3, 26913/2009).

 

Revoca del sequestro preventivo

Il comma 7 dell’art. 342 del codice di rito (oggetto del rinvio recettizio formale contenuto nel precedente art. 355, comma 3) prevede che la revoca del provvedimento di sequestro (conservativo, preventivo, funzionale ad assicurare prova nelle indagini preliminari e nel processo) «non può essere disposta nei casi indicati nell’art. 240, comma 2, del codice penale»; in considerazione, quindi, del contenuto del precetto recato dal citato art.6, comma 1, della legge sulle armi del 1975 e di quello, da questo richiamato, dell’art. 240, comma 2, non può essere disposta la revoca di nessuno dei sequestri previsti dal codice di rito (conservativo, preventivo, funzionale ad assicurare la prova) quando tale tipo di provvedimento cautelare di natura reale abbia per oggetto armi che possono essere restituite solo nelle ipotesi di assoluzione nel merito dalla commissione di taluno dei reati previsti dalla disciplina legale in materia di armi o di appartenenza di tali specifici beni a persona estranea a taluno degli stessi reati (Sez. 1, 28403/2018).