x

x

Art. 627 - Giudizio di rinvio dopo annullamento

1. Nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall’articolo 25.

2. Il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge. Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione delle prove rilevanti per la decisione.

3. Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.

4. Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari.

5. Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l’annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell’annullamento sia esclusivamente personale. L’imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio.

Rassegna giurisprudenziale

Giudizio di rinvio dopo l’annullamento (art. 627)

La sentenza della Corte di cassazione, inoppugnabile per dettato di legge, copre il dedotto e il deducibile, ivi comprese le eventuali nullità e inammissibilità, sicché queste, nel giudizio di rinvio, non solo non possono essere proposte dalle parti, ma neppure essere rilevate di ufficio dal giudice di rinvio: la preclusione dettata dall'art. 627, comma 4, riguarda anche l'ipotesi in cui nel giudizio di rinvio si eccepisca l'inammissibilità, per intempestiva proposizione, del ricorso in sede di legittimità a seguito del quale sia stato disposto l'annullamento con rinvio (Sez. 3, 22846/2021).

Il vincolo imposto a carico del giudice del rinvio dal terzo comma dell’art. 627 deve ritenersi limitato, in caso di annullamento per violazione di legge, ai soli principi e alle sole questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di alcuna ulteriore restrizione derivabile da eventuali passaggi d’indole argomentativa in ipotesi contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, vieppiù ove riferibili (come nel caso oggetto dell’odierna censura del ricorrente) a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito. È noto, infatti, che il giudice di rinvio mantiene piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, ed allo stesso è riconosciuto il potere-dovere di desumere  anche sulla base di elementi probatori prima trascurati  il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate. Di contro, in ipotesi di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio mantiene nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonché il potere di desumere  anche sulla base di elementi probatori prima trascurati  il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte e con l’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alla questione di dirittoSi tratta di un principio fondamentale nel sistema delle impugnazioni, che scaturisce dalla natura del sindacato della Suprema Corte, che è sindacato di pura legittimità e non può riguardare il merito del giudizio di fatto. Il giudizio di fatto, invero, è riservato in via esclusiva ai giudici di merito, potendo su di esso la Corte di cassazione  quale mero giudice del diritto  svolgere solo un sindacato esterno e indiretto, tramite il controllo della motivazione nei limiti in cui tale controllo è consentito dalla legge (“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità”: art. 606 lett. e). Perciò, quando la sentenza è annullata per vizio della motivazione in fatto, la Corte di cassazione non può enunciare alcun principio o punto di vista o diversa lettura dei dati processuali o diversa valutazione dei fatti al quale il giudice di rinvio debba conformarsi. Eventuali valutazioni in fatto contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento per l’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la nuova decisione sul fatto a lui demandata. Ciò vuol dire che, per il giudice di rinvio, non deriva alcun vincolo positivo dalla sentenza di annullamento per vizio della motivazione in facto, ma deriva solo un “vincolo di contenuto negativo”, consistente nel divieto di adottare, nella sua pronuncia, la stessa motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto viziata. Osservato tale divieto, ben può il giudice di rinvio replicare il dispositivo della sentenza cassata, in quanto – quale esclusivo giudice del fatto – è depositario di potere discrezionale sia in ordine all’esito del giudizio di fatto sia in ordine alla scelta di una motivazione diversa da quella ritenuta viziata. In questo senso, è stato deciso che “non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità” (Sez. 2, 39977/2018).

Ai sensi dell’art. 627, comma 1, nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall’art. 25.

La sentenza di annullamento con la quale la Corte di cassazione devolve il giudizio al giudice del rinvio è attributiva della competenza in favore di questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione possa essere in una qualunque sede sindacata.

La designazione, una volta intervenuta, non è suscettibile di revoca o modifica, quand’anche risulti effettuata in violazione della legge. Il principio secondo cui non può essere rimessa in discussione la competenza attribuita con la sentenza di annullamento  salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la competenza di un giudice superiore (ipotesi che non ricorre nel caso in esame) v si applica anche quando il provvedimento annullato sia un’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione (Sez. 1, 42547/2018).

Il principio per il quale il giudice di rinvio non può in alcun caso declinare la competenza attribuita con la sentenza di annullamento (art. 627, comma 1), rappresenta un punto cardine dell’ordinamento processuale e preclude la possibilità dell’insorgenza di una situazione di contrasto tra la Corte di cassazione e il giudice di rinvio, il quale non può, pertanto, porre in discussione la propria competenza alla cognizione del processo.

Sono dunque le parti (o la stessa Corte di cassazione d’ufficio) che hanno l’onere di attivare la procedura di correzione dell’errore materiale, che certamente può essere richiesta anche dal giudice di rinvio senza che lo stesso abbia alcun obbligo al riguardo, ma pur sempre prima che il giudizio di rinvio sia introdotto, restando, viceversa, la questione del tutto preclusa.

Sebbene il principio di irretrattabilità del foro commissorio abbia suscitato diversi dubbi di legittimità costituzionale, con riguardo al divieto di porre in discussione la competenza attribuita con la sentenza della Cassazione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la regola, in base alla quale non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione, non lede il principio del giudice naturale (art. 25, comma 1, Cost.), costituendo detta sentenza il titolo della legittimazione dell’organo giudiziario a conoscere della causa nel caso concreto in sostituzione di altro giudice, con la conseguenza che la preclusione – a comprendere nel tema del dibattito, in sede di rinvio, la questione circa la competenza dell’organo all’uopo designato con la sentenza di annullamento pronunziata dalla Corte di cassazione – è intesa a rendere operante nel sistema positivo la irrevocabilità e la incensurabilità da parte di altro giudice delle decisioni della Corte di cassazione, essendo tali decisioni emanate dall’organo, cui la Costituzione e l’ordinamento processuale attribuiscono la funzione di giudice ultimo della legittimità e, in particolare, la funzione regolatrice della giurisdizione nonché delle competenze degli organi giudiziari.

Sul rilievo quindi che non è consentito, per le suesposte ragioni, il dissenso del giudice di rinvio circa la statuizione della Corte di cassazione sul punto della competenza per il prosieguo del giudizio, la Consulta ha ritenuto essere priva di rilevanza, sul piano costituzionale e su quello processuale, il profilo della legittimità della limitazione apportata all’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost., comma 2) che deve necessariamente essere adeguata e contemperata con la realtà di ciascuno stato e grado del procedimento.

Si comprende, quindi, perché la procedura di correzione degli errori materiali delle sentenze di legittimità che abbiano disposto l’annullamento con rinvio non può essere attivata dopo che esso abbia avuto ingresso (Sez. 1, 12298/2018).

È principio pacifico - che ha già superato il vaglio di legittimità costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 294/1995) - quello secondo cui la sentenza di annullamento, con la quale la Corte di cassazione devolve il giudizio al giudice del rinvio, è attributiva della competenza in favore di questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione, stante il disposto dell’art. 627, comma 1, possa essere in una qualunque sede sindacata.

Ne consegue che la designazione, una volta intervenuta, non è suscettibile di revoca o modifica, neppure se risulta effettuata in violazione della legge. Da ciò discende che il giudice di rinvio non può in alcun caso declinare la competenza attribuitagli con la sentenza di annullamento (art. 627 comma 1) poiché il foro cd. commissorio risulta irretrattabile, secondo un principio cardine dell’ordinamento processuale.

Esso tende, cioè, a precludere la l’insorgenza di una situazione di contrasto tra la Corte di cassazione e il giudice del rinvio, il quale non può porre in discussione la propria competenza alla cognizione del processo (Sez. 1, 53395/2017).

Ai sensi dell’art. 627, comma 3, il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa (Sez. 1, 44181/2018).

Ai sensi dell’art. 627, comma 4, non possono proporsi nel giudizio di rinvio nullità anche assolute o inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. E tale rilievo esclude in radice la necessità di argomentare quanto all’evidente insussistenza del vizio lamentato (Sez. 5, 44178/2018).

L’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 2, 4109/2016).

Il giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627, rappresenta cioè un’ulteriore fase del giudizio di merito, vincolata alla sentenza di annullamento nei limiti da questa determinati. Invero, il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, limitatamente ai punti che hanno formato oggetto dell’annullamento o che sono in connessione essenziale con la parte annullata; deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa e non può attrarre alla sua sfera di cognizione statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle devolute nella fase rescindente.

Il giudizio di rinvio rappresenta nient’altro che un’autonoma fase di merito, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto, essendo coperta ogni altra questione dal giudicato progressivo (Sez. 4, 36023/2018).

In tema di annullamento con rinvio dell’ordinanza del tribunale del riesame per vizio della motivazione relativo al quadro indiziario, è legittima l’ordinanza del giudice del rinvio che, dopo aver colmato le lacune evidenziate nella sentenza rescindente, pervenga ad una decisione analoga a quella precedentemente annullata sulla base di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità, nonché integrando e completando quelle già svolte anche sulla base di elementi successivamente emersi o acquisiti (Sez. 6, 8902/2018).

A seguito dell’annullamento con rinvio, il giudice del rinvio non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, poiché è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, tuttavia egli non può, ripetere il percorso logico già censurato (Sez. 3, 34794/2017).

In tema di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio mantiene, nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonché il potere di desumere il proprio libero convincimento anche sulla base di elementi probatori prima trascurati, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte e con l’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questioni di diritto.

Si tratta di un principio fondamentale nel sistema delle impugnazioni, che scaturisce dalla natura del sindacato della Corte di cassazione, che è di pura legittimità e non può riguardare il merito del giudizio di fatto. Tale ultimo giudizio, invero, è riservato in via esclusiva ai giudici di merito, potendo su di esso la predetta Corte – quale mero giudice del diritto – svolgere solo un sindacato esterno e indiretto, tramite il controllo della motivazione nei limiti in cui tale controllo è consentito dalla legge (“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità”: art. 606 lett. e).

Perciò, quando la sentenza è annullata per vizio della motivazione in fatto, la Corte di cassazione non può enunciare alcun principio o punto di vista o diversa lettura dei dati processuali o diversa valutazione dei fatti al quale il giudice di rinvio debba conformarsi.

Eventuali valutazioni in fatto contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento per l’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la nuova decisione sul fatto a lui demandata.

Ciò vuol dire che, per il giudice di rinvio, non deriva alcun vincolo positivo dalla sentenza di annullamento per vizio della motivazione in facto, ma deriva solo un “vincolo di contenuto negativo”, consistente nel divieto di adottare, nella sua pronuncia, la stessa motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto viziata.

Osservato tale divieto, ben può il giudice di rinvio replicare il dispositivo della sentenza cassata, in quanto – quale esclusivo giudice del fatto – è depositario di potere discrezionale sia in ordine all’esito del giudizio di fatto sia in ordine alla scelta di una motivazione diversa da quella ritenuta viziata. In questo senso, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità (Sez. 1, 44594/2018).

L’art. 627 comma 5 prevede espressamente che se taluno dei coimputati condannati con la sentenza annullata non aveva proposto ricorso, l’annullamento (con rinvio) pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell’annullamento sia esclusivamente personale.

La soluzione che la norma prevede e disciplina per concretizzare l’estensione dell’impugnazione è quella, alternativa ma concorrente, della citazione per il giudizio di rinvio e della autonoma facoltà di intervenire in tale giudizio.

La previsione dell’obbligo di citazione applica la medesima soluzione disciplinata per il giudizio di appello (infatti, l’art. 601 comma 1 prevede che il presidente ordini la citazione anche dell’imputato non appellante quando ricorra taluno dei casi previsti dall’art. 587).

La previsione della facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio anche senza essere stati citati è applicazione di istituto (quello dell’intervento spontaneo della parte) che il codice di rito disciplina espressamente per il responsabile civile all’art. 85, (dovendosi ritenere che, in assenza di una specifica norma di attuazione e come osservato dalla dottrina che si è occupata del punto, l’intervento in sede di giudizio di rinvio possa avvenire fino al momento dell’accertamento della costituzione delle parti). Il primo essenziale rilievo è, pertanto, che la soluzione sistematica – scelta dal legislatore del codice per assicurare in modo esaustivo nel giudizio di rinvio gli effetti propri dell’estensione dell’impugnazione al non ricorrente, quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 587 – è quella della citazione al giudizio da parte del medesimo giudice del rinvio, ferma la facoltà di spontaneo intervento.

È opportuno osservare qui che, con l’espressione “non ricorrente” l’art. 627 comma 5 si riferisce all’assenza di ricorso sul punto della decisione che è oggetto del giudizio di rinvio.

È pertanto da considerarsi “non ricorrente” (a questi fini) anche il coimputato presente nel giudizio di legittimità ma che non abbia impugnato quel punto della decisione. Infatti, dal punto di vista sistematico si manifesta evidente che tertium non datur rispetto al singolo punto della decisione: il ricorso infatti attribuisce la cognizione della Corte di legittimità in relazione esclusivamente ai singoli motivi effettivamente proposti (art. 609 comma 1) con le sole tassative eccezioni previste dal capoverso dell’art. 609 e proprie o del sopravvenire di peculiari vicende dopo la scadenza del termine utile per la proposizione del ricorso (es.: modifiche normative favorevoli) o di preesistenti vizi rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo (es.: nullità ex art. 179).

La qualità di “ricorrente”, quindi, è strettamente e necessariamente correlata ai motivi concretamente enunciati ed alle due evenienze specificamente e tassativamente previste dal capoverso dell’art. 609.

D’altronde, che si tratti di coimputato che non ha per nulla impugnato la sentenza ovvero di coimputato che ha proposto ricorso ma per motivi diversi, le due posizioni rispetto al diverso motivo non esclusivamente personale proposto da altro coimputato “diligente” sono assolutamente sovrapponibili, sicché non solo non vi è una ragione sistematica per differenziarle; ma, ove una differenza fosse affermata, la palese assenza di ragionevolezza che la caratterizzerebbe porrebbe con immediatezza evidenti vizi di disparità ingiustificata di trattamento.

Può essere utile precisare che l’estensione dell’impugnazione relativa a motivo non esclusivamente personale non costituisce una sorta di restituzione nel termine per riaprire autonomamente il giudizio sul punto della decisione cui si riferiva il motivo comune altrui.

L’istituto previsto dall’ art. 587 ha invero come scopo quello di evitare giudicati contrastanti e di privilegiare esigenze di giustizia sostanziale (volte ad evitare disparità tra coimputati che si trovino nell’identica situazione) quando almeno uno dei coimputati sia stato diligente ed abbia ottenuto riconoscimento di ragioni processuali non esclusivamente personali; non ha invece lo scopo di rimettere in termini per l’impugnazione il coimputato non diligente per svolgere in piena, discrezionale e incondizionata autonomia quella difesa che non ha azionato nei termini prescritti.

D’altronde, anche in presenza di valida impugnazione di coimputato sostenuta da motivo non esclusivamente personale, la statuizione relativa al coimputato non impugnante diviene irrevocabile e la sua esecutorietà non può essere sospesa nell’attesa del verificarsi dell’eventuale effetto risolutivo straordinario di cui all’art. 587, collegabile al giudizio che conclude il motivo di gravame. In definitiva, ciò che al coimputato non ricorrente (o al ricorrente per motivi diversi) è riconosciuto, in presenza di un motivo non esclusivamente personale proposto dal coimputato diligente, è il diritto al contraddittorio nel giudizio di rinvio.

Tale diritto, che in ogni caso non contiene alcuna restituzione nel termine per svolgere poi autonome impugnazioni nel caso di rigetto del motivo comune, si esercita a seguito della citazione a cura del giudice del rinvio o di autonomo spontaneo tempestivo intervento ovvero della dichiarazione dell’effetto estensivo in occasione dell’annullamento con rinvio, trattandosi di alternative dagli effetti processuali equipollenti.

Qualora poi il giudice di rinvio, pur sussistendone i presupposti, non abbia citato i coimputati non ricorrenti e non abbia estensivamente applicato gli effetti favorevoli dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, il rimedio spettante ai soggetti pretermessi consiste nell’incidente di esecuzione, atteso che questi, in quanto non citati, non sono “parti” del giudizio di rinvio e che il giudice dell’esecuzione è titolare del potere di intervenire sul titolo esecutivo, e di rivedere la condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta del citato effetto estensivo della più favorevole decisione assunta (Sez. 4, 51975/2016).