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Art. 253 - Oggetto e formalità del sequestro

1. L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.

2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

3. Al sequestro procede personalmente l’autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto.

4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all’interessato, se presente.

Rassegna giurisprudenziale

In forza del principio di proporzionalità affermato dall’art. 275 ed avuto riguardo, nello specifico, al decreto di sequestro probatorio di materiale informatico, deve ritenersi che l'acquisizione indiscriminata di un'intera categorie di beni, nell'ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole res strumentali all'accertamento del reato, sia consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il PM adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare ex ante l'oggetto del sequestro. (Fattispecie, in cui la Corte, in relazione al reato di abuso di ufficio, ha ritenuto esplorativo e sproporzionato il vincolo cautelare reale disposto sull’utenza cellulare del ricorrente, avente ad oggetto la generalizzata ed immotivata acquisizione dei dati telematici in essa rinvenibili) (Sez. 6, 12507/2022).

Il principio di proporzionalità, pur previsto espressamente dal solo art. 275 per le misure personali, è applicabile anche alle misure reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari. Di conseguenza, è illegittimo per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza il sequestro a fini probatori di un sistema informatico, quale è un personal computer, un I-Pad o una chiavetta USB, che conduca, in difetto di specifiche ragioni, ad una indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute (Sez. 5, 42765/2019).

È illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione (Sez. 5, 32761/2021).

Oggetto e formalità del sequestro (art. 253)

Il sequestro probatorio assolve ad una specifica esigenza di accertamento dei fatti e non può essere piegato alla soddisfazione di esigenze di natura diversa, quale quelle di natura special-preventiva e di mantenimento della res a fini di confisca, che il codice di rito ha riservato allo specifico strumento cautelare reale previsto dall'art. 321: una somma di denaro - costituente, in ipotesi, corpo del reato - può essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia data idonea motivazione non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza fra la somma sottoposta a sequestro ed il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazione alle quali è necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto (Sez. 3, 10777/2021).

Qualora il PM non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l’applicazione della misura e abbia persistito nell’inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest’ultimo non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse (Sez. 2, 13564/2019).

Il decreto di sequestro a fini di prova, come del resto il decreto di convalida, anche qualora abbia a oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l'accertamento dei fatti. Ciò vale anche per il sequestro di denaro, che, anche quando venga ritenuto corpo di reato, può essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia data idonea motivazione non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza fra la somma e il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazione alle quali è necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto (Sez. 4, 35673/2021).

Il denaro costituente corpo del reato può essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia data idonea motivazione non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza fra la somma sottoposta a sequestro ed il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazione alle quali è necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto (Sez. 6, 13718/2019).

Il sequestro probatorio presuppone, per la sua adozione, la astratta configurabilità di una ipotesi di reato in relazione alla quale i beni sottoposti alla misura, in quanto in rapporto diretto ed immediato con l’azione delittuosa (laddove il sequestro ricada sul “corpo del reato”) ovvero in rapporto indiretto con essa (ove la misura concerna le “cose pertinenti al reato”), si pongono come strumentali ai fini dello svolgimento delle indagini dirette: all’accertamento dei fatti, ovvero alla dimostrazione del reato, delle sue modalità di preparazione ed esecuzione; alla conservazione delle tracce; all’identificazione del colpevole; all’accertamento del movente; alla determinazione dell’ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all’iter criminisCompete, pertanto, all’AG, in sede di adozione ovvero di convalida, nonché di conferma in caso di impugnazione, di un provvedimento cautelare del tipo di quello ora in esame un duplice ordine di valutazioni aventi ad oggetto, da un lato, l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando la enucleabilità dal compendio informativo in atti, tenuto conto della sebbene ciò non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto. Ulteriore valutazione, per altro verso, riguarderà la necessità della acquisizione delle res in sequestro ai fini dell’accertamento del fatto illecito in provvisoria contestazione. Tale onere probatorio sarà, peraltro, assolto, ove si tratti di cose che si assumono essere “corpo del reato” attraverso la semplice indicazione della sussistenza di un rapporto di immediatezza fra queste e l’ipotesi di reato interessata dalle indagini penali, purché di quest’ultima siano tuttavia, descritti gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione in modo da dar conto della relazione di immediatezza descritta nell’art. 253 fra la cosa oggetto di sequestro e l’illecito penale mentre, ove si tratti di “cose pertinenti al reato”, siffatto onere sarà più stringente, in quanto la soddisfazione di esso transiterà attraverso la dimostrazione, sia pure nei limiti delle esigenze probatorie proprie della fase cautelare del giudizio, non solo del rapporto di strumentalità fra esse ed il reato presupposto, ma anche della esistenza della loro necessità in funzione dell’accertamento dei fatti (Sez. 3, 32912/2018).

Il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (SU, 36072/2018).

La motivazione del provvedimento impositivo del vincolo reale deve essere modulata in relazione al caso concreto distinguendosi tra il caso in cui il nesso tra il bene e il reato per cui si procede sia indiretto, ed il caso in cui si può fare ricorso ad una formula sintetica allorché la funzione probatoria del sequestro sia di immediata evidenza (Sez. 6, 36831/2018).

Una somma di denaro, essendo per sua natura bene immateriale e fungibile per eccellenza, è sequestrabile ai sensi dell’art. 253 come corpo di reato, solo “ove sia proprio quella acquisita attraverso l’attività criminosa e ne costituisca il profitto”, dovendo altrimenti, essere qualificata cosa pertinente al reato, in rapporto indiretto con l’accertamento dei reati per cui si procede, ma in tal caso è imposto al PM un onere di motivazione delle specifiche esigenze perseguite, consentendosi, altrimenti, l’utilizzazione dello strumento di cui all’art. 253, preordinato a fini di prova, per mere esigenze di prevenzione, perseguibili con altro strumento cautelare previsto dalla legge (Sez. 6, 33063/2018).

La presenza di contestazioni alternative non costituisce un’ipotesi di nullità del decreto di perquisizione e sequestro allorché ci si trovi dinanzi ad una condotta dell’indagato tale da richiedere un approfondimento dell’attività investigativa per la definitiva qualificazione dei fatti contestati. È infatti legittima la contestazione, nel decreto di perquisizione e sequestro di imputazioni alternative, sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi, in quanto tale metodo risponde a un’esigenza della difesa, posto che l’imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (Sez. 2, 29026/2018).

È necessario che i provvedimenti di perquisizione e sequestro individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, non bastando una generica indicazione di pertinenza di quanto eventualmente rinvenuto rispetto al reato ipotizzato. Tuttavia, non è possibile al contrario pretendere l’indicazione dettagliata delle cose da ricercare e sottoporre a sequestro, sia perché il più delle volte le stesse non possono essere specificate a priori, sia perché l’art. 248, nel prevedere la richiesta di consegna quando attraverso la perquisizione si cerca una cosa determinata, implica che oggetto di ricerca possano essere anche cose non determinate, che potranno essere individuate solo all’esito dell’eseguita perquisizione (Sez. 6, 38568/2018).

Il sequestro probatorio, in quanto mezzo di ricerca della prova dei fatti costituenti reato, non può per ciò stesso essere fondato sulla prova del carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo patrimoniale, ma solo sul “fumus” di esso, cioè sulla mera possibilità del rapporto di esse con il reato. Qualora quindi dal complesso delle prime indagini tale “fumus” emerga, il sequestro si appalesa non solo legittimo ma opportuno, in quanto volto a stabilire, di per sé o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento pertinenziale tra “res” e illecito. È stato anche precisato che in tema di sequestro probatorio, il rapporto di pertinenzialità fra le cose sequestrate e l’ipotesi di reato per cui si procede non può essere considerato in termini esclusivi di relazione immediata, ben potendo acquisire rilievo ed essere oggetto di ricerca ed apprensione ogni elemento utile a ricostruire i fatti che anche in forma indiretta possono contribuire al giudizio sul merito della contestazione (Sez. 4, 31672/2018).

È illegittima l’ordinanza emessa in sede di riesame del sequestro probatorio disposto dal PM con la quale il sequestro sia confermato in relazione alla diversa finalità preventiva. Una tale decisione, evidentemente, non si limita ad integrare le ragioni del vincolo apposto ma ne modifica la struttura e la finalità esprimendo l’esercizio di un potere di iniziativa che esula dai poteri del giudice del riesame ed eccede il rigoroso perimetro segnato dal contraddittorio (Sez. 54792/2018).

Quando il decreto di perquisizione e sequestro adottato dal PM si limiti ad ordinare il vincolo delle “cose pertinenti al reato” o di “quanto rinvenuto e ritenuto utile a fini di indagine”, il sequestro operato dalla PG, attesa l’indeterminatezza delle cose da rinvenire e la rimessione alla discrezionalità della PG nella individuazione del vincolo di pertinenza delle cose con il delitto, deve essere convalidato nei termini previsti dall’art. 355, pena l’inefficacia del vincolo probatorio e il sorgere dell’obbligo di restituzione delle cose sequestrate (Sez. 6, 30467/2018).

I provvedimenti di perquisizione e sequestro nei confronti dei giornalisti richiedono presupposti e comportano limiti specifici in ragione dell’attività professionale svolta dagli appartenenti a tale categoria di professionisti. L’attività svolta dal giornalista impone anzitutto, anche ai fini della legittimità di provvedimenti di perquisizione e sequestro, il rispetto dei limiti indicati dall’art. 200, comma 3, in tema di prova testimoniale, e cioè l’indispensabilità della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede, nonché l’impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisitoDi conseguenza, non è sufficiente «un semplice nesso di “pertinenzialità” tra le notizie ed il generico tema dell’indagine, così come occorre che tale ingerenza rappresenti la extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato. Il medesimo profilo funzionale dell’attività svolta dal giornalista implica, inoltre, la necessità di valutare con particolare rigore la “proporzione” tra il contenuto del provvedimento emesso dall’AG e le esigenze di accertamento dei fatti: solo in tal modo, infatti, si può assicurare che l’attività investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti. Il rispetto del «criterio di proporzionalità» è ancorato all’esigenza di evitare «potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive», in quanto tali idonee a determinare un sostanziale aggiramento della disciplina di cui agli artt. 200, comma 3, e 256 e della specifica garanzia assicurata dall’art. 10 della CEDU. La giurisprudenza della Corte EDU, a sua volta, ha da tempo rilevato che il provvedimento dell’AG di esibizione e sequestro di materiale posseduto da un giornalista può costituire una violazione della libertà di espressione tutelata dalla Convenzione, perché, comportando il rischio dell’individuazione delle fonti alle quali il professionista aveva garantito l’anonimato, pregiudica la futura attività del giornalista e del giornale la cui reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti (così, specificamente, Corte EDU, Grande Camera, 14/09/2010, Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi, ma anche Corte EDU, Sez. 4, 15 dicembre 2009, Financial Times Ltd. c. Regno Unito; cfr., inoltre, per l’evidenziazione della necessità di tutelare le medesime esigenze con riferimento all’ordine di rendere testimonianza, Corte EDU, Sez. 5, 5 ottobre 2017, Beker c. Norvegia). In particolare, secondo diverse pronunce dei giudici di Strasburgo, le ispezioni e perquisizioni nel domicilio e nell’ufficio di un giornalista, ed il conseguente sequestro di supporti informatici e documenti disposti dall’AG per individuare la fonte informativa che ha chiesto l’anonimato, se si presentano come “misure sproporzionate”, costituiscono una violazione della libertà dei giornalisti, protetta dall’art. 10 della CEDU, di ricevere o comunicare informazioni, anche quando la fonte abbia violato un obbligo di segretezza consegnando o trasmettendo documenti coperti da segreto. Talvolta, la valorizzazione dell’esigenza di un “adeguato bilanciamento” tra l’interesse alla protezione delle fonti giornalistiche e l’interesse alla prevenzione e repressione dei crimini ha indotto a censurare come “insufficienti” le motivazioni dei giudici nazionali indicative della “pertinenza”, ma non anche della specifica necessità degli atti di ispezione o perquisizione e sequestro (così, in particolare, Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia, nonché Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia). In altra occasione, inoltre, l’attività di indagine in discorso è stata giudicata negativamente perché “sproporzionata” in considerazione degli effetti intimidatori nei confronti non solo dei giornalisti direttamente interessati e dello loro fonti, ma anche della generalità dei giornalisti operanti nello Stato e dei loro informatori (v. Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Górmii ed altri c. Turchia, relativa ad un’operazione investigativa comportante, tra l’altro, l’acquisizione dei dati memorizzati su quarantasei computer, ed effettuata per indagare sulla violazione di un segreto militare specificamente riferibile, e riferita, a pubblici dipendenti. Può concludersi che, ai fini della legittimità di un provvedimento di ricerca della prova nei confronti di un giornalista in relazione agli atti e documenti relativi alla sua attività professionale, sono necessarie non solo l’indispensabilità della rivelazione della fonte informativa del medesimo ai fini della prova del reato per cui si procede, e l’impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito, in linea con quanto prevede l’art. 200, comma 3; invero, occorre anche che il vincolo sia apposto esclusivamente su quanto è strettamente necessario per l’accertamento dello specifico fatto oggetto di indagineVa peraltro precisato che è corretto distinguere tra limiti relativi al sequestro e limiti relativi all’attività di perquisizione. Sicuramente, la procedura di acquisizione di atti e documenti nei confronti di un giornalista non indagato presuppone la formulazione di una richiesta di esibizione delle cose ritenute pertinenti: se il giornalista non è sottoposto ad indagini, è coerente con le esigenze dell’esercizio della libertà di stampa ritenere che, solo in caso di rifiuto, o di atteggiamento elusivo, si potrà procedere a perquisizione. Tuttavia, la mancata collaborazione può legittimare un’attività di ricerca ad ampio spettro ed estendersi, in particolare, anche ad interi sistemi informatici o telematici, ancorché protetti da misure di sicurezza, così come prevede l’art. 247, comma 1-bis. E infatti, escludere l’ammissibilità di un’efficace attività di ricerca al cospetto di un atteggiamento non collaborativo, quando sussistono i presupposti della indispensabilità della notizia ai fini della prova del reato per cui si procede, nonché l’impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della stessa in possesso del giornalista, significherebbe rimettere le sorti dell’indagine all’esclusiva volontà di quest’ultimo. Tanto, però, non solo attribuirebbe al giornalista una prerogativa espressamente esclusa in relazione alla testimonianza, come si evince dalla disciplina di cui all’art. 200, comma 3, ma renderebbe di fatto inutile il potere riconosciuto all’AG di procedere a sequestro, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 256. Del resto, è immediatamente rilevabile la differenza tra perquisizione e sequestro: l’acquisizione degli atti e dei documenti in possesso del professionista è vicenda concettualmente e giuridicamente distinta dall’attività di ricerca sugli stessi. La diversa incidenza della perquisizione rispetto al sequestro sembra compatibile anche con a giurisprudenza della Corte EDU. Invero, le diverse decisioni precedentemente citate, tanto quelle in relazione alle operazioni compiute nei confronti dei giornalisti (Corte EDU, Grande Camera, 14 settembre 2010, Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi; Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia; Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia; Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Górmii ed altri c. Turchia), quanto quella concernente l’attività riferita all’avvocato (Corte EDU, Sez. 5, 27 aprile 2017, Sommer c. Germania), per affermare la violazione dell’art. 10 CEDU, valorizzano tutte il sequestro o comunque l’acquisizione e l’utilizzabilità dei dati da parte dell’autorità procedente. Resta solo da puntualizzare espressamente, per evitare qualunque incertezza in proposito, che, almeno con riferimento al giornalista, del tutto equiparabile al sequestro è l’acquisizione in copia dei dati. In questo senso, precise indicazioni provengono non solo dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, come si è rilevato, valorizza il profilo dell’acquisizione del dato informativo, ma anche dalla giurisprudenza di legittimità. È sufficiente richiamare, per tutte, SU, 40963/2017. Questa decisione, in particolare, ha precisato che, quando assume rilievo l’interesse alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, «la mera reintegrazione nella disponibilità della cosa [sulla quale è reperibile l’informazione] non elimina il pregiudizio, conseguente al mantenimento del vincolo sugli specifici contenuti rispetto al contenitore, incidenti su diritti certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza o al segreto», nel cui ambito è compreso «il diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 10 CEDU, in particolare la tutela della segretezza delle fonti giornalistiche (Sez. 6, 9989/2018).

Il sequestro per finalità probatorie risponde ad esigenze diverse da quelle che fondano il sequestro preventivo, con la conseguenza che l’emanazione di sequestro ex art. 321 non priva di autonoma esistenza la misura disposta precedentemente al fine di acquisire e conservare, a disposizione dell’autorità procedente, gli elementi di prova utili alle indagini (Sez. 6, 57539/2017).

Con l’opposizione avverso il decreto del PM di rigetto della richiesta di restituzione delle cose sequestrate sono deducibili esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a fini di prova e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro, che possono essere fatte valere con la richiesta di riesame. Ne consegue che l’ordinanza del GIP che provvede sull’opposizione è ricorribile per cassazione per tutti i motivi indicati nell’art. 606, comma 1, ma tali motivi non possono surrettiziamente riproporre questioni che attengono alla legittimità del provvedimento (Sez. 4, 5487/2018).

Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 33093/2018).

Nel caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio da parte del tribunale del riesame, questo deve sempre disporre la restituzione del bene, in caso in cui il vincolo non sia destinato a permanere per altro provvedimento di sequestro, ovvero ove non operi il divieto di cui all’art. 324, co. 7. Ai fini, poi, di individuare il soggetto destinatario della restituzione in quanto avente diritto, il beneficiario corrisponde al soggetto al quale il bene è stato sottratto con il sequestro probatorio (Sez. 5, 12859/2022).