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Art. 256 - Dovere di esibizione e segreti

1. Le persone indicate negli articoli 200 e 201 devono consegnare immediatamente all’autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione.

2. Quando la dichiarazione concerne un segreto di ufficio o professionale, l’autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza di essa e ritiene di non potere procedere senza acquisire gli atti, i documenti o le cose indicati nel comma 1, provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta infondata, l’autorità giudiziaria dispone il sequestro.

3. Quando la dichiarazione concerne un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che ne sia data conferma. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato.

4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, l’autorità giudiziaria dispone il sequestro.

5. Si applica la disposizione dell’articolo 204.

Rassegna giurisprudenziale

Dovere di esibizione e segreti (art. 256)

L’art. 256 comma 1 prevede che coloro i quali possono far valere il segreto professionale o di ufficio a norma degli artt. 200 e 201, hanno l’obbligo di «consegnare immediatamente» all’AG gli atti, documenti, informazioni e programmi informatici dalla stessa richiesti, «salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione».

La disposizione, quindi, da un punto di vista letterale, non fa alcun cenno all’obbligo dell’autorità procedente di informare i soggetti indicati dagli artt. 200 e 201 della facoltà di avvalersi del segreto professionale o di ufficio, ma si limita a prevedere che dette persone possono avvalersi di tale prerogativa.

La medesima statuizione, inoltre, pone un vincolo procedimentale per l’opposizione del segreto, chiedendo una dichiarazione «per iscritto», del tutto inusuale per l’esercizio di una facoltà di cui debba darsi formale avviso all’interessato.

Sembra perciò ragionevole ritenere che l’esecuzione di una perquisizione e sequestro nei confronti di una delle persone indicate dagli artt. 200 e 201, non debba essere preceduta dall’avvertimento della facoltà di opporre il segreto professionale o di ufficio, e possa perciò essere eseguita nelle forme ordinarie, senza ulteriori limitazioni, fino alla opposizione «per iscritto» del limite.

Né tale conclusione può trovare diversa soluzione in relazione al giornalista professionista rispetto agli altri titolari di segreto professionale o di ufficio: l’art. 256 comma 1 prevede l’applicabilità della disciplina da esso delineata con riferimento a tutte le «persone indicate negli artt. 200 e 201», senza operare alcun distinguo; i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale, in quanto espressamente citati dall’art. 200, rientrano senza dubbio tra quelle «persone». (Sez. 6, 9989/2018).

L’attuale disposto dell’art. 256  nel testo introdotto dalli art. 8 L. 48/2008 ed applicabile anche agli esperti contabili ai sensi del combinato disposto degli artt. 200 e 5 D. Lgs. 139/2005  ha superato i limiti in precedenza esistenti in tema di opposizione del segreto professionale prevedendo una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza; questa nuova disciplina stabilisce che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’AG ha l’onere di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’ esibizione è oggetto di segreto professionale (Sez. 2, 51446/2017).

In assenza di formale opposizione del segreto d’ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell’art. 256 comma 1, nulla impedisce all’AG procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all’art. 253, comma 1 e non dell’art. 256, comma 2, la cui operatività è espressamente fondata nel presupposto cui vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l’AG procedente abbia motivo di dubitare (Sez. 2, 41786/2015).

La Convenzione di Budapest del 23.11.2001 risulta ratificata nell’ordinamento italiano attraverso la L. 48/2008, che - fra l’altro - ha modificato il testo dell’art. 244, comma 2, introducendo la possibilità di disporre ispezioni “anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e la loro inalterabilità”; conformemente, in materia di perquisizioni, il nuovo art. 247, comma 1-bis prevede che “quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione”.

Invero, l’intervento di adeguamento delle norme processuali ha riguardato anche l’esame di atti, documenti e corrispondenza presso banche (art. 248), gli ordini di esibizione e consegna (art. 256), gli obblighi e le modalità di custodia (art. 259), l’apposizione di sigilli o vincoli su cose sequestrate (art. 260), l’acquisizione di plichi e corrispondenza (art. 353) ed il sequestro in genere (art. 354): norme il cui oggetto è stato esteso fino a comprendere attività riferite a “dati, informazioni e programmi informatici”, per i quali deve intendersi parimenti prescritto il rispetto delle cautele volte a preservarne il contenuto.

Già la Raccomandazione R (95) del 13/09/2001, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, si soffermava del resto sul tema della genuinità della prova digitale, sottolineando l’esigenza “to collect, preserve, and present electronic evidence in ways that best ensure and reflect their integrity and irrefutable authenticity” (“raccogliere, preservare e presentare le prove digitali con modalità che assicurino e rispecchino al meglio la loro integrità e irrefutabile autenticità” – NDA).

Né l’art. 244, né l’art. 256, al pari delle altre norme novellate nei termini anzidetti, indicano tuttavia quali siano le modalità adeguate al fine di eseguire un accesso a dati informatici, tale da garantirne una acquisizione genuina e non alterarne il contenuto originale. Allo stato, in altre parole, se può dirsi che la prescrizione normativa di adottare misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e la loro inalterabilità contenga un implicito richiamo alle best practices esistenti, la tesi che l’unica best practice utilizzabile nel caso di specie sia la formazione di una copia forense dell’intero hard disk risulta meramente allegata, e non può assurgere a fatto notorio di cui il giudice di merito avrebbe dovuto in ipotesi tenere conto (Sez. 5, 32264/2015).

Le norme di cui agli artt. 200 e 256 disegnano un particolare modus procedendi nel tutelare il segreto giornalistico ed impongono la massima cautela nell’utilizzazione degli strumenti della perquisizione e del sequestro nei confronti dei giornalisti, in considerazione della particolare delicatezza dell’attività da costoro svolta e delle potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive. Una ricerca incontrollata delle fonti rischia di dar luogo ad un sostanziale aggiramento del principio di cui all’art. 200, comma 3, e della disciplina contenuta nella successiva disposizione di cui all’art. 256 (Sez. 6, 31735/2014).