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Art. 267 - Presupposti e forme del provvedimento

1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile indica le specifiche ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono. 

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'articolo 203.

2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l'intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l'intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati.

2-bis. Nei casi di cui al comma 2, il pubblico ministero può disporre, con decreto motivato, l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4. A tal fine indica, oltre a quanto previsto dal comma 1, secondo periodo, le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice. Il decreto è trasmesso al giudice che decide sulla convalida nei termini, con le modalità e gli effetti indicati al comma 2. 

3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1.

4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria. 

5. In apposito registro riservato gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni. 

Rassegna giurisprudenziale

Presupposti e forme del provvedimento (art. 267)

Ruolo e poteri del giudice rispetto alla richiesta del PM

L’art. 267 delinea in termini di assoluta chiarezza la procedura da seguire allorché il PM voglia utilizzare lo strumento intercettivo.

L’obbligato punto di partenza è il terzo comma in cui si afferma che «il decreto del pubblico ministero che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni».

Questa regola ha un suo chiaro antecedente logico: le intercettazioni sono un atto investigativo e la loro impostazione e gestione spettano fisiologicamente al responsabile della fase istruttoria, cioè il PM.

Il giudice ha invece una funzione di garanzia, gli spetta cioè di verificare che le richieste del PM soddisfino i requisiti di legge.

Dovrebbe derivarne logicamente che, se il giudice determina una durata del periodo intercettivo diversa da quella indicata dal PM, assume per ciò stesso e impropriamente un ruolo di parte e abbandona la sua veste di custode della legalità e di protettore dei diritti di coloro che subiscono gli effetti dell’atto istruttorio.

Dovrebbe, altrettanto logicamente, derivarne che un’autorizzazione del giudice congegnata in modo da consentire una durata delle operazioni di intercettazione superiore a quella indicata dal PM nella sua richiesta viola il disposto dell’art. 267 e comporta l’inutilizzabilità delle captazioni ottenute per effetto di tale violazione.

Non è questa però l’opinione del giudice di legittimità. Sez. 6, 34809/2015 afferma infatti che il decreto di autorizzazione del giudice non è vincolato dai limiti della richiesta del PM. Nella fattispecie, in particolare, era stata dedotta la sussistenza di uno dei reati contenuti nel catalogo di cui all’art. 266 ed erano state richieste intercettazioni per la durata di soli quindici giorni. L’autorizzazione, invece, era stata concessa da giudice per quaranta giorni, essendo stata riferita a diversa ipotesi di reato che legittimava il ricorso all’art. 13 L. 203/1991. La Suprema Corte ha ritenuto che il GIP possa riqualificare la richiesta del PM in presenza di sufficienti indizi di delitti di criminalità organizzata, sebbene essa faccia esclusivo riferimento alla disciplina dettata dagli artt. 266 e ss. e, comunque, al termine di quindici giorni.

 

 

Rigetto della richiesta di autorizzazione

Il provvedimento di rigetto non può essere impugnato poiché, in assenza di un esplicito mezzo di gravame, si applica il principio generale della tassatività delle impugnazioni posto dall’art. 568 (Sez. 1, 3477/1992).

 

Autorizzazione data dal giudice incompetente

Un consolidato indirizzo interpretativo di legittimità (tra le altre, Sez. 6, 23778/2009) ritiene che l’autorizzazione data da un GIP incompetente non rende inefficace il provvedimento, in applicazione del criterio generale posto dall’art. 26 comma 1.

 

La motivazione dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni (in generale)

Sez. 3, 14954/2015 richiede «l’esistenza, in chiave altamente probabilistica, di un fatto storico integrante una determinata ipotesi di reato, il cui accertamento imponga l’adozione del mezzo di ricerca della prova”, perché solo così si può “prevenire il rischio di autorizzazione in bianco e di impedire che l’intercettazione da mezzo di ricerca della prova si trasformi in mezzo per la ricerca della notizia di reato». Occorre a tal fine «un controllo penetrante circa l’esistenza delle esigenze investigative e la finalizzazione delle intercettazioni al relativo soddisfacimento; senza, quindi, alcun riferimento alla delibazione, nel merito, di una ipotesi accusatoria, che può ancora non avere trovato una sua consistenza. In una tale prospettiva, la motivazione del decreto non deve esprimere una valutazione sulla fondatezza dell’accusa, ma solo un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo».

Al tempo stesso si afferma la necessità dell’indicazione del criterio di collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando da intendersi come obbligo motivazionale che serve a dimostrare l’effettiva indispensabilità dell’intercettazione, necessità ribadita più di recente da Sez. 6, 3684/2017.

Più attenta alle garanzie sostanziali è Sez. 6, 36874/2017 (che richiama a sua volta Sez. 6, 50072/2009) secondo la quale «la imprescindibile funzione del giudice, cui è demandato lo scrutinio dei presupposti di attivabilità delle intercettazioni è quella di affermare in ogni momento il rispetto della legalità del procedimento e non certo quello di prestarsi a “facili aggiramenti” delle norme di legge per compiacere alle richieste del PM o di chicchessia».

Un altro aspetto degno di nota è la particolare metodica nota come motivazione per relationem.

SU, 17/2000 hanno riconosciuto la legittimità di questa metodica nei decreti che autorizzano le intercettazioni a condizione che: 1) la motivazione faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione.

È considerato comunque legittimo, si veda tra le altre. Sez. 1, 29357/2016, che considera legittimo il ricorso a fini motivazionali dei moduli prestampati purché contengano le integrazioni, anche per relationem, necessarie a dar conto dell’effettività della motivazione.

Lo stesso vale per i decreti autorizzativi che contengono errori materiali o sviste purché comunque risulti dal complesso della motivazione che il giudice ha seguito un percorso logico coerente.

 

L’oggetto specifico della motivazione: i gravi indizi di reato e l’assoluta indispensabilità

La definizione giurisprudenziale di legittimità del requisito dei gravi indizi non è esente da critiche.

È vero che la locuzione “gravi indizi di reato” non può implicare la già raggiunta certezza dell’esistenza di un reato ma al tempo stesso non può essere sminuita fino al punto di farla coincidere con la “serietà del progetto investigativo”, espressione la cui vaghezza consente il rimando anche a verifiche in stato embrionale di un reato ancora ipotetico.

Non bisogna poi dimenticare che le intercettazioni sono l’unico mezzo di prova la cui ammissibilità è subordinata all’esistenza dei gravi indizi di reato, il che equivale a un preciso segnale legislativo in direzione di una più rigorosa prognosi di effettività del reato.

Ci sono poi ulteriori questioni che riguardano le fonti indiziarie.

Si è discusso se sia legittimo fondare l’autorizzazione alle intercettazioni su dichiarazioni spontanee rese dall’indiziato di reato ai sensi dell’art. 350 e annotate sommariamente.

Un indirizzo interpretativo considera inesistenti tali dichiarazioni poiché non verbalizzate secondo la procedura prevista dall’art. 357 comma 2 e quindi inutilizzabili a qualsiasi fine, compreso quello intercettivo.

Un orientamento più recente le considera al contrario utilizzabili nei confronti di soggetti terzi e ne ammette quindi il valore indiziario ai fini dell’autorizzazione delle intercettazioni.

È ugualmente problematica l’eventuale valorizzazione di esposti anonimi.

Merita di essere segnalata a tal fine Sez. 6, 34450/2016, in cui si chiarisce opportunamente che il documento anonimo non è neanche assimilabile ad una notizia di reato sicché non può essere usato come elemento giustificativo di operazioni intercettive e l’unico effetto che ne può derivare è lo stimolo per gli inquirenti ad acquisire le conoscenze necessarie per verificarne la fondatezza.

Quanto all’assoluta indispensabilità, la giurisprudenza di legittimità ha di fatto banalizzato questo requisito al punto da rimetterne la valutazione esclusiva al giudice di merito e affermare che questa può essere censurata solo se viziata da manifesta illogicità.

Resterebbe quindi l’ultima trincea della necessità del collegamento alla persona le cui comunicazioni sono intercettate ma anche per questo aspetto gli indirizzi interpretativi appaiono piuttosto laschi e raramente è dato leggere decisioni che pretendano la concretezza del nesso tra la vicenda investigata e chi subisce gli effetti dell’intercettazione.

 

La motivazione dei decreti di proroga delle intercettazioni

In tema di intercettazioni telefoniche, la motivazione dei decreti di proroga può essere ispirata anche a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi anche risolvere nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del PM (Sez. 4, 16430/2015).

 

L’integrazione della motivazione

Può capitare che la motivazione sia viziata. Un primo vizio è quello della totale assenza. In tal caso l’intercettazione è totalmente inutilizzabile.

Un secondo vizio è quello dell’insufficienza. SU, 17/2000 hanno in questo caso ammesso che la motivazione incompleta o non puntuale possa essere emendata e integrata dal giudice cui spetta valutare nel merito i risultati delle intercettazioni ed anche dal giudice di legittimità.

 

La tardività della convalida del provvedimento d’urgenza e della proroga delle operazioni intercettive

Sez. 5, 12252/2012 ha chiarito che la proroga tardiva dell’autorizzazione alle operazioni di intercettazione non può legittimare a posteriori le captazioni ottenute medio tempore, le quali non possono pertanto essere utilizzate a scopo probatorio.

La stessa decisione ha tuttavia considerato legittimo l’uso del loro contenuto come notitia criminis da porre a fondamento di nuove attività investigative, ivi comprese quelle di tipo intercettivo.

Un principio analogo è stato affermato da Sez. 1, 28293/2001, per la convalida tardiva del provvedimento d’urgenza del PM.

Peraltro, Sez. 2, 11912/2007 ha precisato a sua volta che non esiste una presunzione di non tempestività sicché l’omissione nel provvedimento dell’ora di ricezione del decreto d’urgenza e di emissione della convalida non determina necessariamente l’inutilizzabilità se il rispetto della tempistica imposta dal legislatore può essere desunto da elementi ulteriori.

Dal canto suo, Sez. 5, 6461/2006 ha aggiunto che il limite temporale prescritto dall’art. 267 comma 2 non implica anche che la convalida sia depositata in cancelleria entro il termine prescritto e che il deposito sia fatto constare dall’apposizione del timbro della cancelleria. Secondo la citata decisione, dunque il deposito è regolato dalla disposizione dell’art. 128 e deve quindi avvenire entro il termine ordinatorio di cinque giorni.

 

Modalità e durata delle operazioni

I giudici di legittimità sono più volte intervenuti in questa materia.

Così Sez. 6, 11682/2010 ha chiarito che l’indicazione di modalità e durata spetta sempre al PM anche nel caso in cui il decreto autorizzativo sia stato emesso dal giudice.

La stessa pronuncia ha attribuito al PM l’ulteriore prerogativa di sospendere, per apprezzabili ragioni funzionali alle indagini, il termine di durata per poi farlo riprendere, senza la necessità di un’autorizzazione ad hoc, una volta che quelle ragioni siano venute meno. In ordine alle modalità, è stata considerata ammissibile la decisione del PM di compiere le operazioni intercettive solo nei giorni e negli orari in cui il soggetto ascoltato è solito comunicare. È ugualmente giustificata la scelta di iniziare le operazioni non contestualmente all’autorizzazione ma in base alle concrete esigenze investigative. In questo caso, peraltro, il termine di durata decorre dalla data di inizio effettivo e non da quella dell’autorizzazione.

 

La disciplina derogatoria prevista dall’art. 13 del D.L. 152/1991

È già stata menzionata la sentenza SU 26889/2016.

Si devono ad essa importanti chiarimenti classificatori il primo dei quali riferito al significato da attribuire all’espressione “delitti di criminalità organizzata”.

Tra le varie opzioni possibili, le Sezioni unite hanno ritenuto che la più corretta fosse quella che li faceva coincidere con quelli compresi nell’elenco dell’art. 51 commi 3-bis e quater cui hanno aggiunto tutti gli altri reati “comunque facenti capo a un’associazione per delinquere”, cioè rientranti nel suo generico programma criminoso. Sono ovviamente escluse le ipotesi di concorso di persone nel reato.

La sentenza ha poi precisato che la tecnica intercettiva fondata sull’uso dei captatori informatici è legittima solo nei procedimenti per uno dei reati presi in considerazione dall’art. 13 poiché solo per questi non è necessaria la predeterminazione dei luoghi e non si manifesta quindi alcuna preclusione giuridica legata alla mobilità degli utenti del dispositivo sul quale è stato inoculato il virus informatico e alla possibilità che si trovino in luoghi di privata dimora.

 

L’incidenza dell’art. 203

Sez. 6, 42566/2017 ha ben chiarito il punto di vista dei giudici di legittimità sul significato concretamente attribuito alle regole garantiste contenute in questo articolo che contribuiscono ad attuare il principio costituzionale del contraddittorio tra le parti e della facoltà dell’accusato di fare interrogare chi rende dichiarazioni a suo carico. Si può dunque parlare di fonte confidenziale solo se ricorre un duplice requisito: la segretezza, cioè l’intenzione del dichiarante di rimanere nell’anonimato per ragioni di opportunità e sicurezza; il rapporto fiduciario tra chi confida la notizia e chi la riceve, tale per cui sia scontato nella comune percezione che l’addetto di PG non rivelerà l’identità del confidente.

Non si considerano quindi confidenti coloro che abbiano reso dichiarazioni alla PG e si siano rifiutati di formalizzarle in un verbale debitamente sottoscritto e neanche gli informatori dei quali la PG abbia indicato in atti le loro generalità o abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie da loro riferite.

D’altro canto, e in palese contrasto col senso della norma, Sez. 2, 42673/2015 ha affermato che, una volta ottenuta una captazione derivante da un’intercettazione disposta nei confronti di soggetti individuati sulla base di fonti confidenziali, la medesima è inutilizzabile solo se le informazioni confidenziali abbiano costituito l’unico elemento da cui è stata desunta la sussistenza degli indizi di reato. La sentenza ha precisato inoltre che la fonte confidenziale, invece, può senz’altro essere usata per individuare la persona fisica da sottoporre a intercettazione. 

 

Il registro delle intercettazioni

Sez. 1, 44136/2016 ha chiarito che le irregolarità nelle indicazioni temporali annotate nel registro delle intercettazioni non sono sanzionate con l’inutilizzabilità poiché questa è prevista solo per le ipotesi previste dall’art. 268 commi 1 e 3.

Dal canto suo Sez. 6, 33231/2015 afferma che l’irregolare indicazione di inizio e fine delle operazioni nel registro cui fa riferimento l’art. 267 comma 5 e che attengono alla durata complessiva dell’attività di intercettazione autorizzata per le singole utenze o i singoli ambienti privati non determina l’inutilizzabilità degli esiti delle attività di captazione.

Alla stessa conclusione arriva Sez. 3, 20418/2015 riguardo alla mancata indicazione nei verbali di inizio e fine delle operazioni dei nominativi degli ufficiali di P.G. che hanno preso parte alle stesse.