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Art. 268 - Esecuzione delle operazioni

1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale.

2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate.

2-bisIl pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.

3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

3-bis. Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati. Per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee di cui all’articolo 348, comma 4.

4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio di cui all’articolo 269, comma 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.

5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, per via telematica hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima.

7. Il giudice, anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’articolo 431, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. Il giudice, con il consenso delle parti, può disporre l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini. In caso di contestazioni si applicano le disposizioni di cui al primo periodo.

8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su idoneo supporto. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7.

Rassegna giurisprudenziale

Esecuzione delle operazioni (art. 268)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 268 nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate (336/2008).

 

Gli impianti di captazione

Le questioni sul punto sono comprensibilmente incentrate sulle condizioni necessarie a legittimare l’uso di impianti diversi da quelli in dotazione alle Procure della Repubblica e sul modo in cui tali condizioni devono essere fatte emergere nella motivazione del provvedimento di autorizzazione alle intercettazioni.

 

Significato essenziale delle prescrizioni contenute nell’art. 268 comma 3 e latitudine dell’inutilizzabilità derivante dalla sua violazione

L’art. 268 comma 3 consente il ricorso a tali impianti solo in presenza di due distinti presupposti: eccezionali ragioni di urgenza e insufficienza o inidoneità degli impianti delle Procure.

Questa disposizione ha un’importante valenza garantistica: la preferenza accordata all’uso di questi ultimi e la previsione di stringenti limiti alle eventuali deroghe sono infatti parte integrante del complessivo pacchetto normativo attraverso il quale il legislatore ordinario rende effettivo il principio di inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni e la sua limitabilità solo ad opera di un atto motivato dell’AG e nel rispetto delle garanzie di legge.

Si ritiene, in altri termini, che il controllo diretto e immediato delle operazioni intercettive consentito dall’uso di un impianto proprio delle Procure prevenga adeguatamente il rischio che organismi o singoli individui estranei alla magistratura abusino delle conoscenze acquisite attraverso l’accesso diretto alle registrazioni e se ne servano per fini non di giustizia.

Proprio per questa ragione il mancato rispetto delle prescrizioni dell’art. 268 comma 3 comporta l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, ad ulteriore conferma dell’importanza che il legislatore annette alla correttezza della procedura prevista.

Del resto, l’art. 191 afferma anch’esso, con una valenza generale, che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge sono inutilizzabili e rende rilevabile anche d’ufficio e in ogni stato e grado del procedimento questa loro condizione.

Una disciplina chiara, dunque, posta a presidio di valori fondamentali.

Eppure, la giurisprudenza di legittimità ha varato indirizzi interpretativi che, a fronte dei frequenti conflitti tra l’esigenza di salvaguardare importanti risultati conoscitivi e quella di dare effettivo contenuto e spessore alle prescrizioni normative, hanno sistematicamente privilegiato la prima a scapito della seconda.

Il tradimento sostanziale della ratio legis si verifica già sulla portata da attribuire alla sanzione dell’inutilizzabilità.

La questione di fondo poggia sulla distinzione tra inutilizzabilità patologica e inutilizzabilità fisiologica.

Essa fu coniata da SU, 16/2000 in cui si affermò che è fisiologica l’inutilizzabilità delle prove assunte conformemente a legge ma diverse da quelle acquisite legittimamente nel dibattimento e delle quali, pertanto, il giudice non può far uso ai fini della sentenza. È patologica, per contro, l’inutilizzabilità delle prove assunte contra legem delle quali è proibito l’uso in modo assoluto.

Le Sezioni unite vollero precisare che erano patologicamente inutilizzabili non solo le prove acquisite in violazione di un divieto probatorio ma anche quelle «comunque formate o acquisite in violazione – o con modalità lesive – dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale».

La distinzione ebbe la sua più importante ricaduta nel contesto del giudizio abbreviato, essendosi osservato che l’accordo tra le parti da cui quel giudizio derivava comprendeva anche l’uso delle prove viziate da inutilizzabilità fisiologica sicché il giudice dell’abbreviato poteva legittimamente porle a fondamento della sua decisione.

L’indirizzo largamente prevalente tra i giudici di legittimità – si veda tra le altre Sez. 2, 3606/2014 - è che le intercettazioni disposte in violazione dell’art. 268 comma 3 danno vita a un’inutilizzabilità fisiologica il che permette l’uso nel giudizio abbreviato dei loro risultati.

Si segnala tuttavia per completezza che una successiva pronuncia, precisamente Sez. 5, 6439/2015, ha espresso un orientamento consapevolmente contrario, affermando a chiare lettere che l’inosservanza della norma contenuta nell’art. 268 comma 3 dà sempre luogo a inutilizzabilità patologica, essendo una disposizione posta a presidio della libertà tutelata dall’art. 15 Cost.

 

Motivazione del provvedimento che autorizza il ricorso a impianti della PG o di pubblico servizio

La lettera della legge è di chiarezza cristallina: il ricorso agli impianti della PG o di pubblico servizio è consentito solo in presenza di due distinti requisiti, l’insufficienza/inidoneità degli impianti delle Procure da un lato e le eccezionali ragioni di urgenza dall’altro e la motivazione del decreto autorizzativo deve dar conto di entrambi.

Non si pensa così in Cassazione, essendo stato affermato, tra le altre da Sez. 5, 22949/2015, che la motivazione dell’eccezionale urgenza assorbe gli ulteriori profili tecnico–organizzativi sicché non è indispensabile illustrarli autonomamente.

Lo stesso profilo dell’urgenza è stato a sua volta sottodimensionato nella sua consistenza poiché, nell’opinione consolidata della giurisprudenza di legittimità, esso è ricavabile implicitamente dal riferimento ad un’attività criminosa in corso il quale, peraltro, non deve essere fatto personalmente dal PM, essendo sufficiente che lo si desuma complessivamente dagli atti del procedimento.

 

Ricorso a impianti appartenenti a privati

Questa possibilità, in base al chiaro tenore letterale dell’art. 268 comma 3-bis, è riservata alle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche.

Il senso di questa disposizione è palese: l’incessante evoluzione tecnologica e la difficoltà per le istituzioni pubbliche, comprese quelle giudiziarie, di tenere il passo con le possibilità offerte dal mercato digitale rende legittimo il ricorso a installazioni di proprietà privata allorché sia necessario captare flussi di dati tra sistemi informatici o telematici.

Sez. 1, 3137/2015 ha tuttavia depotenziato questo limite affermando che l’art. 268 comma 3 non vieta esplicitamente l’uso di impianti privati né il ricorso alla collaborazione di soggetti estranei alla pubblica amministrazione quando si manifesti la necessità di superare difficoltà dovute al non corretto funzionamento di apparecchiature noleggiate. La soluzione giuridica è stata quella di attribuire ai soggetti esterni la qualifica di ausiliari del PM o della PG.

 

Casistica delle questioni connesse agli impianti di intercettazione

Remotizzazione

È finita più volte all’attenzione dei giudici di legittimità la pratica della cosiddetta remotizzazione (anche denominata roaming o instradamento), cioè l’esecuzione “in remoto” presso locali in dotazione alla PG di attività di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati captati.

SU, 36539/2008 (ma da ultimo si veda anche Sez. 6, 44006/2017) hanno chiarito che il disposto dell’art. 268 comma 3 è rispettato quando la registrazione delle captazioni avviene negli impianti delle Procure della Repubblica, essendo invece ininfluente, anche ai fini del rispetto delle garanzie difensive, che le contestuali o successive attività siano svolte in sedi diverse.

Ne consegue ulteriormente che la remotizzazione dell’ascolto, mediante il trasferimento del segnale captato dagli impianti delle Procure a quelli della PG (che è posta così in grado di percepire e verbalizzare sommariamente in tempo reale i dati captati), non richiede una specifica e preventiva autorizzazione del PM.

È comunque utile segnalare che il 18 luglio 2013 il Garante per la Privacy ha emesso, ai sensi dell’art. 154 comma 1 lettera c) del Codice della Privacy, il provvedimento n. 356 in materia di misure di sicurezza delle attività di intercettazione delle Procure della Repubblica, a tutt’oggi, e quantomeno fino al 31 dicembre 2017, non ancora applicabile per via di numerose proroghe.

L’atto si muove nella medesima prospettiva della Direttiva UE 2016/80 e del Regolamento UE 2016/279, entrambi finalizzati alla regolamentazione dei dati personali e della loro protezione.

Esso contiene tra l’altro la prescrizione che la remotizzazione sia disposta in via residuale, solo in casi eccezionali e con stringenti misure di sicurezza fisica e controllo dell’accesso nei luoghi in cui avviene l’ascolto.

Occorre ricordare inoltre che l’inottemperanza di provvedimenti del Garante della Privacy da parte di chi è tenuto ad osservarli integra il reato punito con reclusione fino due anni dall’art. 170 del Codice della privacy.

 

Masterizzazione

Una questione affine riguarda la masterizzazione, cioè l’operazione che trasferisce la registrazione su un supporto informatico.

Già SU, 20140/2005 avevano affermato che quest’attività è estranea alla nozione di registrazione e può essere legittimamente compiuta al di fuori degli impianti delle Procure. La stessa decisione chiarì inoltre che l’omessa verbalizzazione del luogo in cui è avvenuta che la masterizzazione non viola i diritti difensivi poiché l’art. 268 comma 1 prescrive la verbalizzazione delle operazioni di registrazione ma non di quelle di riproduzione e quindi non ricorre alcuna ipotesi di nullità o inutilizzabilità.

Sez. 4, 3307/2017 ha ulteriormente specificato che la masterizzazione dei dati delle conversazioni registrate, proprio in quanto operazione estranea alla registrazione, può essere legittimamente svolta da soggetti diversi dagli ufficiali di PG e quindi anche da personale civile.

Il citato provvedimento n. 356 del Garante per la privacy ha tuttavia prescritto che le operazioni di masterizzazione e copia siano svolte solo da parte di personale specificamente abilitato e siano poi annotate, assieme a tutte le altre, in registri informatici inalterabili.

Permanenza nel tempo dell’indisponibilità o inidoneità degli impianti delle Procure.

Sez. 4, 43878/2017 ha ritenuto che il PM non è tenuto a verificare la permanenza dell’indisponibilità o dell’inidoneità degli impianti presso la Procura, né, qualora la stessa venga successivamente meno, a proseguire l’attività di captazione ricorrendo esclusivamente agli impianti dell’ufficio procedente. È bene sottolineare che il ricorrente aveva documentato che le operazioni intercettive erano iniziate nel 2016 e che l’indisponibilità degli impianti della Procura era stata attestata dal Procuratore con un decreto emesso il 24 luglio 2009. Lo scarto di sette anni non è stato tuttavia ritenuto sufficiente a giustificare una preliminare verifica del PM su eventuali modifiche della situazione di fatto e a trarre alcuna conseguenza negativa dall’omissione della stessa.

Sez. 6, 23058/2004 ha ritenuto legittimo il cosiddetto decreto in prevenzione che autorizza il ricorso a impianti diversi sulla base di una richiesta del PM che prospettava la mera possibilità dell’indisponibilità di quelli della Procura e che ne aveva attestato l’effettivo verificarsi dopo l’emissione del decreto.

Un’altra rilevante questione di fatto riguarda l’integrazione successiva dell’iniziale motivazione insufficiente del decreto ex art. 268 comma 3. La più recente giurisprudenza ammette questa possibilità, affermando però contestualmente che sono utilizzabili solo i risultati delle intercettazioni acquisiti dopo l’integrazione sanante.

 

La registrazione e gli strumenti per assicurarne la conoscenza

La considerazione della registrazione come effettivo ed esclusivo risultato probatorio delle intercettazioni ha generato conseguenze nella soluzione delle questioni processuali che attengono appunto all’uso e alla valutazione di quel risultato.

È ormai consolidato, in primo luogo, l’indirizzo interpretativo, specificamente riferito al giudizio abbreviato, che ritiene inammissibili le richieste di ammissione di tale rito subordinate alla trascrizione delle registrazioni.

L’ovvio presupposto è che il giudicante ha già a disposizione l’elemento probatorio essenziale, cioè le registrazioni, sicché la loro trascrizione imporrebbe un inutile aggravio di tempo, incompatibile con la fisiologia dell’abbreviato.

A questo indirizzo se ne affianca poi un altro, ugualmente riferito a questo rito alternativo, che considera legittimo l’uso dei brogliacci di polizia come mera riassunzione delle registrazioni.

Sempre a proposito di brogliacci, va segnalata Sez.1, n. 15895/2015 emessa a fronte di un ricorso contro il provvedimento di conferma di un’ordinanza cautelare che aveva valorizzato in chiave accusatoria i risultati di attività intercettive sebbene il PM non avesse trasmesso al GIP né i brogliacci né le registrazioni e si fosse limitato ad indicarne il contenuto sommario in un decreto di fermo.

I giudici di legittimità hanno escluso che ricorresse qualsiasi inutilizzabilità e individuato come una unica reazione difensiva possibile la contestazione specifica di eventuali difformità tra la riassunzione su cui si è fondato il GIP e le registrazioni originali o i brogliacci.

Si è poi discusso degli effetti conseguenti all’eventuale smarrimento o danneggiamento delle registrazioni.

È consolidata l’opinione della loro ricostruibilità con mezzi alternativi e tra questi i citati brogliacci.

Si registra invece un conflitto sulla legittimità della ricostruzione fatta ricorrendo a deposizioni testimoniali, particolarmente quelle degli ufficiali o agenti di PG che hanno ascoltato le registrazioni o alle loro annotazioni.

Secondo un primo orientamento questa possibilità è perfettamente legittima poiché il legislatore non ha previsto alcuna sanzione di inutilizzabilità in riferimento a questa prassi e, d’altro canto, e le deposizioni degli inquirenti non sono assimilabili alle deposizioni de relato sulle dichiarazioni rese dall’accusato.

Un orientamento di segno contrario, pur riconoscendo anch’esso l’inesistenza di ipotesi di inutilizzabilità, ritiene tuttavia che la deposizione testimoniale sul contenuto di intercettazioni è affetta da una nullità generale ai sensi dell’art. 178 lettera c), rilevabile anche d’ufficio e deducibile prima del compimento dell’atto o, in caso di impossibilità, subito dopo, e in ogni caso entro gli ulteriori limiti previsti dall’art. 180.

 

Obblighi comunicativi e facoltà difensive

In tema di utilizzo della PEC nel procedimento penale, deve ritenersi ammissibile l’istanza della difesa di ascolto delle registrazioni delle conversazioni intercettate durante le indagini ai fini dell’emissione di un’ordinanza applicativa di una misura cautelare trasmessa alla Procura della Repubblica mediante PEC "in formato PDF" e sottoscritta "con firma digitale o firma elettronica qualificata", secondo la previsione di cui al provvedimento del 9 novembre 2020 del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia emanato ai sensi dell'art. 24, comma 4, DL 137/2020, convertito dalla L. 176/2020, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da Covid-19 (Sez. 6, 35290/2021).

Non viola il diritto di difesa, né integra alcuna sanzione processuale il solo fatto che l’imputato non possa sostenere le spese per ottenere la copia dei supporti magnetici delle registrazioni effettuate, ritualmente messi a disposizione dal PM, rimanendo a carico della difesa, cui è pienamente garantito il diritto all’ascolto, ai sensi dell’art. 268, comma 6, l’onere di munirsi del necessario materiale tecnico su cui trasfondere il contenuto dei file, secondo la regola generale, di cui all’art. 116, comma 1, in materia di copie di atti processuali (Sez. 3, 16671/2021).

Una questione ha riguardato la conoscibilità dei brogliacci da parte del difensore prima che questi siano stati depositati in applicazione dell’art. 268 comma 4.

Sez. 4, 24866/2015 ha chiarito che il PM è obbligato a accogliere la relativa richiesta solo se nell’istanza difensiva è specificato che la conoscenza è finalizzata alla proposizione di un’istanza di riesame.

Allo stesso riguardo, si ricorda che il giudice delle leggi (Corte costituzionale, sentenza 337/2008), ha dichiarato la parziale illegittimità del citato art. 268 nella parte in cui non consente al difensore la trasposizione su un supporto magnetico delle registrazioni utilizzate a fondamento di un’ordinanza cautelare dopo che questa sia stata eseguita.

Un ulteriore tema è quello della necessità del deposito della documentazione integrale degli atti intercettivi anche quando le relative attività non abbiano portato all’acquisizione di elementi significativi.

La soluzione è stata indicata dalla Corte costituzionale, sentenza 145/1991 per la quale nessun atto inerente alle indagini compiute può essere legittimamente sottratto alla piena conoscenza delle parti.

L’omissione o il ritardo nel deposito degli atti non comporta la sanzione dell’inutilizzabilità che è riservata alle sole violazioni dei commi 1 e 3 dell’art. 268 ma genera comunque una lesione del diritto di difesa che si traduce in una nullità generale a regime intermedio regolata dal combinato disposto degli artt. 178 lettera c) e 180.

Quanto alle modalità dell’immediato avviso dell’avvenuto deposito, la pronuncia delle Sezioni unite penali del 12 ottobre 1993 ha chiarito che la comunicazione può essere data in qualunque forma fatta eccezione per il caso in cui, non risultando possibile procurare la conoscenza effettiva al destinatario, è necessario seguire le regole prescritte per le notifiche.

Un’ulteriore questione di interesse è quella che riguarda il caso in cui il difensore, dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 415 bis, chiede il rilascio di copia dei supporti contenenti le registrazioni. Sul punto Sez. 5, 38409/2017 ha ritenuto ingiustificato il diniego del PM fondato sull’opinione che tale richiesta debba essere presentata solo nel precedente subprocedimento che ruota attorno all’udienza stralcio.

Ciò per via della generale facoltà attribuita al difensore di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati. Ne deriva che l’illegittimo diniego comporta una nullità generale a regime intermedio si sensi dell’art. 178 lettera c) e che di conseguenza non è abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, pur in riferimento ad una causa di nullità non prevista nell’art. 416 comma 1.

 

Udienza stralcio

È nell’esperienza comune degli operatori forensi che questo snodo procedimentale, cui pure il legislatore codicistico ha assegnato una funzione importante nella ricerca del migliore equilibrio tra gli interessi giuridici che si incrociano e talvolta confliggono attorno alle intercettazioni, è abitualmente omesso nella prassi corrente.

Le ragioni del fenomeno sono plurime: il sensibile ricorso ai riti alternativi comporta che la rappresentazione dei risultati intercettivi sia legittimamente demandata ai brogliacci di PG; la trascrizione in forma peritale, soprattutto se necessaria per un numero imponente di registrazioni, richiede tempi lunghi e questa evenienza mal si concilia con i procedimenti nei quali siano in corso di esecuzione misure cautelari sottoposte a stringenti termini di fase e consiglia quindi il differimento alla fase dibattimentale che consente la sospensione dei termini ai sensi dell’art. 304 comma 2; le udienze stralcio sono infine considerate attività secondarie dalle sezioni GIP/GUP, normalmente oberate da adempimenti urgenti che finiscono per prendere il sopravvento su ogni altra pratica la cui omissione non comporti nullità o inutilizzabilità.

Se dunque il fenomeno è comprensibile, ciò non equivale a giustificarlo.

L’omissione dell’udienza stralcio ha infatti concretissime finalità garantistiche e serve a depurare fin da subito il materiale intercettivo dalle scorie che non dovrebbero farne parte e che, se non tempestivamente eliminate, possono ledere insensatamente il diritto alla riservatezza e permettere derive negative per l’attività dibattimentale.

Resta tuttavia il fatto che l’assenza dell’udienza stralcio non comporta alcuna sanzione processuale sicché chi ne subisce gli effetti direttamente o indirettamente è privo di strumenti di reazione.

 

Inutilizzabilità e manifesta irrilevanza delle conversazioni e comunicazioni da escludere nella fase selettiva

L’art. 268 comma 6 limita a queste due categorie la sorte dell’esclusione dal materiale intercettivo che sarà poi inserito nel fascicolo dibattimentale.

Più specificamente, l’espressione “manifesta irrilevanza” richiama l’idea di materiale palesemente inservibile per fini probatori e riconoscibile come tale già nella fase delle indagini preliminari senza la necessità di una verifica dibattimentale.

L’inutilizzabilità, a sua volta, è strettamente collegata alle previsioni normative che la sanciscono ma, come si è già visto e si vedrà ancora in parti successive, la lettera della legge e l’interpretazione giurisprudenziale non coincidono in più casi.

Il legislatore ha peraltro previsto una differenziazione. La formulazione della norma sembra infatti lasciar intendere che il giudizio sulla manifesta irrilevanza sia lasciato sostanzialmente alle parti mentre invece lo stralcio degli atti di cui è vietata l’utilizzazione è possibile anche per iniziativa d’ufficio.

 

Trascrizione delle registrazioni in forma peritale

Un nutrito gruppo di questioni riguarda questo aspetto.

L’impressione generale è che le soluzioni individuate dalla giurisprudenza siano accomunate da una forte tensione alla conservazione dei risultati acquisiti mediante le intercettazioni.

È una preoccupazione comprensibile se si considera che la loro eventuale esclusione dal materiale utilizzabile per le decisioni giudiziarie ha solitamente effetti esiziali sulla tenuta delle ipotesi accusatorie.

Non si può però tacere che questa propensione comporta in più di un caso forzature vistose del dato letterale e della ratio normativa e, ciò che più importa, lesioni rilevanti al complessivo tessuto garantistico che il legislatore ha messo in campo per salvaguardare i principi costituzionali con i quali le intercettazioni si trovano in potenziale conflitto.

La prima delle questioni riguarda il significato da attribuire alla forma peritale che la legge pretende per tale operazione.

Un indirizzo di legittimità ha affermato che l’attività del trascrittore si esaurisce in operazioni di carattere materiale e non implica l’acquisizione di un contributo tecnico o scientifico.

Ne ha dedotto che il richiamo alle forme, alle garanzie e ai modi propri della perizia serve solo a stimolare la correttezza delle operazioni di trascrizione rispetto alle quali non si può porre alcun problema di eventuale inutilizzabilità.

Per la stessa ragione l’acquisizione e la lettura della trascrizione non sono subordinate, a differenza delle ordinarie relazioni peritali, alla previsione dell’art. 511 comma 3 e non richiedono quindi necessariamente il preventivo esame del perito.

Un diverso e più condivisibile indirizzo, fondato su Corte costituzionale, sentenza 336/2008, arriva invece a conclusioni esattamente contrarie e afferma che la trascrizione richiede rilevanti qualità professionali, competenze tecniche e attitudini interpretative che impongono di attribuire al trascrittore lo status di perito a tutti gli effetti.

Altre questioni si sono poste in riferimento alle operazioni peritali, sia da sole considerate che in relazione ai loro effetti sullo svolgimento del procedimento.

È stata esclusa ogni ipotesi di nullità per il caso che il perito nomini un ausiliario senza essere stato preventivamente autorizzato dal giudice, trattandosi di mera irregolarità.

Dà vita invece ad una nullità a regime intermedio il comportamento del perito che nomini un interprete senza autorizzazione, poiché anche la traduzione richiede lo strumento peritale.

Non ricorre alcuna nullità e non sono violati i diritti della difesa se il perito omette di trascrivere, per asserita irrilevanza, alcune registrazioni o singole frasi poiché in ogni caso il contraddittorio che caratterizza la trascrizione e la possibilità per le parti di avvalersi di loro consulenti di fiducia gli consente di reagire adeguatamente all’omissione.

Del pari e per le stesse ragioni non c’è alcuna nullità o inutilizzabilità se il perito trascrive in modo scorretto il contenuto delle registrazioni.

Il perito non è tenuto a tradurre in lingua italiana conversazioni dialettali o in lingua straniera perché la comprensibilità dell’idioma utilizzato è questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito.

Al tempo stesso non è censurabile il comportamento del perito che traduca in italiane conversazioni dialettali o straniere perché gli atti del processo devono essere di norma redatti nella lingua nazionale.

E tuttavia si afferma anche l’incompatibilità tra l’ufficio di perito trascrittore e quello di interprete in applicazione del disposto dell’art. 144 comma 1 lettera d).

Quanto agli effetti delle operazioni peritali sul processo e in particolare sulla sua durata e sulla condizione degli accusati che si trovino sottoposti a una misura limitativa della libertà personale, è consolidato il riconoscimento della legittimità del provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare durante il tempo necessario per l’espletamento della perizia trascrittiva, soprattutto se riguardi un numero elevato di registrazioni.

Lo stesso principio vale per il caso che le operazioni peritali siano rese più complicate da difficoltà tecniche.

Nessun rilievo può essere attribuito, per contro, alla scelta del PM di chiedere tardivamente la trascrizione e di avere quindi provocato con la sua inerzia il ritardo nella trattazione del merito.

È stato ritenuto legittimo, anche quando siano già disponibili le trascrizioni, che il giudice ascolti le registrazioni in camera di consiglio, pur se abbia precedentemente negato lo stesso ascolto alle parti in udienza. Ciò perché si tratta di un atto che non richiede contraddittorio e non importa alcuna acquisizione.

Come si è già detto, le registrazioni hanno pieno valore probatorio.

Vale anche per esse il principio del libero convincimento sicché il giudice, che è anche peritus peritorum, può attribuirgli il significato che reputa più corretto anche quando lo faccia scostandosi dalle conclusioni del perito trascrittore.

 

Criteri di interpretazione e valutazione dei risultati delle intercettazioni

Il riconoscimento del valore probatorio delle registrazioni richiede di essere declinato per ciascuna delle questioni emerse nella casistica giudiziaria.

Merita di essere segnalata a questo proposito SU, 22471/2015 che ha ribadito il consolidato criterio interpretativo per il quale le dichiarazioni intercettate con cui qualcuno accusa sé o altri della commissione di reati hanno pieno valore probatorio e non richiedono quindi elementi esterni di riscontro, a differenza delle dichiarazioni accusatorie rese nel procedimento per le quali si applica la regola dell’art. 192 comma 3.

La decisione si fonda sull’assunto che, di norma, chi è intercettato non sa di esserlo e quindi non mente.

Si è ulteriormente specificato (GUP Trib. Napoli Nord, sentenza del 17.4.2015) che «In materia d’intercettazioni telefoniche non trovano applicazione gli artt. 62 e 63 , in quanto le ammissioni di circostanze indizianti, fatte spontaneamente dall’indagato nel corso di una conversazione telefonica la cui intercettazione sia stata ritualmente autorizzata, non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese nel corso dell’interrogatorio dinanzi all’AG o a quello di PG, né le registrazioni e i verbali delle conversazioni telefoniche sono riconducibili alle testimonianze “de relato” sulle dichiarazioni dell’indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse di cui rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto».

In ogni caso – secondo un consolidato indirizzo interpretativo  l’interpretazione del linguaggio dei conversanti, anche se criptico, è un compito interamente rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito e si sottrae di conseguenza a revisioni del giudice di legittimità, fatta eccezione per i casi in cui la metodica interpretativa risulti illogica.

Si può aggiungere che sono stati ritenuti corretti canoni interpretativi che valorizzano il frequente ricorso a termini e espressioni incoerenti al senso generale del discorso o si servono delle cosiddette massime di esperienza da intendersi come criteri logici che poggiano sul comune buon senso.

È in senso conforme la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Nel procedimento Corte EDU, Mazzarella c. Italia, definito con decisione del 26.9.2017, i giudici dei diritti umani hanno affermato che, nella materia delle intercettazioni, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito e dalla quale non può derivare alcuna questione rilevante rispetto ai principi di equità processuale e, in particolare, di parità delle armi di cui all’art. 6 CEDU. 

Si segnala ancora che, ai fini dell’identificazione dei conversanti, la giurisprudenza considera legittimo avvalersi delle dichiarazioni degli addetti di PG.

Si cita infine la sentenza della Corte EDU, 12.7.2016 nel procedimento Kacan c. Turchia in cui non è stata ravvisata alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dall’art. 6 § 1 CEDU allorché taluno sia condannato sulla base di intercettazioni autorizzate solo nei confronti dei suoi interlocutori, se comunque gli è stato consentito contestare di fronte al giudice l’ammissibilità di dette intercettazioni.