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Art. 660 - Esecuzione delle pene pecuniarie

1. Le condanne a pena pecuniaria sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti.

2. Quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione, il quale provvede previo accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato e, se ne è il caso, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena è stata rateizzata, è convertita la parte non ancora pagata.

3. In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato di sorveglianza può disporre la rateizzazione della pena a norma dell’articolo 133-ter del codice penale, se essa non è stata disposta con la sentenza di condanna ovvero può differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato, se lo stato di insolvenza perdura, è disposto un nuovo differimento, altrimenti è ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale l’esecuzione è stata differita.

4. Con l’ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalità delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti.

5. Il ricorso contro l’ordinanza di conversione ne sospende l’esecuzione.

Rassegna giurisprudenziale

Esecuzione delle pene pecuniarie (art. 660)

Pur dopo l’emissione del titolo esecutivo e l’indiscussa operatività di esso  l’ordinaria competenza del giudice dell’esecuzione a conoscere le questioni riferite al titolo va coordinata con specifiche norme dell’ordinamento processuale e penitenziario che definiscono altrettante sfere di competenza in executivis della magistratura di sorveglianza.

In tal senso si rileva quella in tema di conversione e rateizzazione della pena pecuniaria in pena detentiva: ex art. 660, comma 2, reviviscente in forza di della pronuncia del giudice delle leggi (Corte costituzionale, sentenza 212/2003) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 299 DPR 113/2002, nella parte in cui abroga l’art. 660 dal momento che, più in generale, nell’intera materia delle spese di giustizia, deve ritenersi estranea all’oggetto della delega la disciplina della competenza del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie che è stata sottratta dal legislatore delegato al magistrato di sorveglianza ed attribuita al giudice dell’esecuzione.

Il caso in esame attiene ad istanza di sospensione dell’esecuzione della pena pecuniaria proposta dopo che è iniziato, con la proposizione della corrispondente istanza ex art. 47, comma 4, Ord. pen., il procedimento per l’ammissione del condannato all’affidamento in prova al servizio sociale.

Tale pendenza è, per il collegio, determinante al fine di identificare la competenza a provvedere sull’istanza di sospensione dell’esecuzione in capo al tribunale di sorveglianza. Il suddetto innesco procedimentale, invero, fa esulare della competenza del giudice dell’esecuzione la questione delle modalità di esecuzione della pena pecuniaria, in quanto il relativo procedimento contempla come suo possibile sbocco l’estinzione della pena pecuniaria, nel concorso delle succitate condizioni.

Se, infatti, la competenza per l’emissione del provvedimento di merito conclusivo del procedimento – a cui l’istante intende coordinare il chiesto provvedimento cautelare volto ad assicurare provvisoriamente gli effetti della determinazione finale – appartiene al tribunale di sorveglianza, anche il potere di delibare la corrispondente domanda cautelare non può non radicarsi, in carenza di diverse indicazioni normative, in capo al medesimo giudice, essendo espressione di un principio generale quello della coincidenza fra la competenza relativa al merito (inteso in senso lato) della pretesa fatta valere in fase esecutiva e la competenza cautelare; coincidenza che rinviene, per altro ambito, in sede cognitiva il chiaro riferimento nel disposto dell’art. 279.

Una volta iniziato il procedimento di cui all’art. 47 citato con la proposizione della relativa istanza e fino alla sua conclusione, si verte in un ambito nel quale le risposte, anche di natura preliminare e pertanto pure attinenti alla sola ammissibilità delle richieste alla stregua della loro corretta interpretazione in funzione degli interventi consentiti, spettano non già al giudice dell’esecuzione, ma al tribunale di sorveglianza, avuto riguardo alla competenza riservata a tale giudice dall’ordinamento in tema di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale e, poi, in tema di verifica degli esiti, quali che siano, del trattamento eseguito. Pertanto, la pendenza del procedimento iniziato con la proposizione dell’istanza per la concessione della misura alternativa determina la competenza lato sensu cautelare dello stesso giudice (Sez. 1, 18499/2018).

L’esecuzione delle pene detentive e di quelle pecuniarie procede del tutto separatamente e le vicende dell’una o dell’altra esecuzione sono differenti (cfr. artt. 656 e 660).

Non solo: per la decorrenza del termine di estinzione per decorso del tempo sono previste cause differenti di sospensione o di slittamento: per la pena detentiva, in caso di sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656, comma 5, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il tribunale accerti la causa di inammissibilità o di rigetto dell’applicazione della misura alternativa, perché solo in tale data si ha la certezza sulle modalità di espiazione della pena; per la pena pecuniaria, il differimento dell’esecuzione della pena disposto dal magistrato di sorveglianza prima di ordinare la conversione in libertà controllata (art. 660, artt. 102 e ss. L. 689/2011) determina la sospensione della decorrenza del termine di estinzione per decorso del tempo.

D’altro canto, è ben possibile che le differenti pene si estinguano per motivi o in tempi differenti: un provvedimento di indulto potrebbe riguardare solo le pene pecuniarie o solo quelle detentive, oppure prevedere la mera sospensione (con successiva estinzione) delle pene detentive, o comunque avere effetto estintivo solo con riguardo all’una o all’altra pena; d’altro canto, l’art. 47 Ord. pen. prevede che, in caso di esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, la pena detentiva sia estinta, mentre la pena pecuniaria possa essere dichiarata estinta dal tribunale di sorveglianza solo qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche (Sez. 1, 8166/2018).

L’esecuzione della pena pecuniaria ha inizio con l’atto di invito al pagamento e della successiva iscrizione a ruolo una volta scaduto il termine per l’adempimento: una volta avvenuta l’iscrizione a ruolo del debito a carico del condannato, prima del decorso del termine di prescrizione e previo compimento degli atti prodromici, se poi l’obbligato non adempie nei termini al pagamento, si deve ritenere che egli si sia sottratto all’esecuzione della pena iniziata, a far tempo dalla data di iscrizione a ruolo, per gli effetti di cui all’art. 172, comma 4, Cod. pen. È in tal senso che, di conseguenza, vanno recepite le indicazioni che individuano nella notificazione della cartella esattoriale ai fini della interruzione, nel senso sopra esposto, della prescrizione della pena pecuniaria (Sez. 1, 21729/2018).

La sospensione dell’esecuzione della pena pecuniaria ex art. 90 DPR 309/1990, pur se riguardante condannato sottoposto alla misura dell’affidamento in prova in casi particolari, è comunque subordinata all’acquisizione della relazione finale di cui all’art. 123 (Sez.1, 50464/2017).

La possibilità, per il giudice, di considerare la solvibilità dell’imputato ai fini della sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria è stata oggetto di contrasto giurisprudenziale, alimentato dalla diversa latitudine interpretativa applicata da alcune sezioni della Corte di Cassazione al termine «prescrizioni», di cui all’art. 58, comma 2, L. 689/1981, e dalla considerazione che la possibilità di applicare la sanzione sostitutiva a chi è già certo o altamente probabile che non sarà in grado di adempiervi potrebbe di fatto sottrarre il meno abbiente alla pena ritenuta più adeguata alla sua tendenziale rieducazione.

Secondo quest’ultimo indirizzo, una indiscriminata conversione, che prescindesse dalle capacità economiche del reo, comporterebbe la violazione dell’art. 27 Cost., in quanto il condannato non abbiente potrebbe sottrarsi alla pena detentiva e, in definitiva, alla pena tout court, data l’impossibilità del ripristino puro e semplice della pena detentiva nel caso di inadempimento dell’obbligo di pagamento (artt. 660 dopo la sentenza 212/2003 della Corte costituzionale) semplicemente chiedendo la conversione.

In tal modo verrebbe eluso il principio dell’emenda (art. 27, comma 3, Cost.) e si verrebbe a configurare una disparità di trattamento a parti invertite, in favore del non abbiente.

Secondo un diverso orientamento interpretativo, invece, il sistema della conversione delineato dalla L. 689/1981 prevede l’imposizione di “prescrizioni” solo nel caso di sostituzione della pena detentiva con la semidetenzione o con la libertà controllata, con la conseguenza che la previsione del secondo comma dell’art. 58 non si riferirebbe all’ipotesi di sostituzione con pena pecuniaria, con il pregnante rilievo che l’eventuale ritenuta operatività del divieto anche per la sostituzione della detenzione con il pagamento di una somma di denaro, quando il condannato fosse persona non abbiente, darebbe ingresso ad un’interpretazione in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.), introducendo una disparità di trattamento per ragioni di censo tra persone che si trovano in situazione analoghe.

Il contrasto è stato definitivamente risolto da questa Suprema dalle Sezioni unite, sentenza 24476/2010, che ha affermato il seguente principio di diritto: la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell’art. 58, comma 2, L 689/1981, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione (Sez, 3, 36636/2017).

L’area delle valutazioni concernenti le modalità di esecuzione della pena pecuniaria rimane sottratta alle competenze del giudice dell’esecuzione, come risulta dalle disposizioni di cui all’art. 660, che, riferendosi appunto all’esecuzione di tale tipo di pena, attribuiscono le valutazioni in materia e le relative determinazioni, da rapportare alla situazione economica del condannato, alla magistratura di sorveglianza.

E ciò, peraltro, analogamente a quanto avviene per la remissione del debito, ove, pur in presenza di diversa causale, ugualmente vengono in considerazione le condizioni economiche del condannato, per di più definite in modo corrispondente al testo del citato comma 12 dell’art. 47 Ord. pen. (Sez. 1, 18720/2018).