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Art. 650 - Esecutività delle sentenze e dei decreti penali

1. Salvo che sia diversamente disposto, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili.

2. Le sentenze di non luogo a procedere hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione.

Rassegna giurisprudenziale

Esecutività delle sentenze e dei decreti penali (art. 650)

La formazione del giudicato parziale, per essere la decisione di condanna divenuta irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità per uno o per alcuni dei reati contestati con indicazione della pena che il condannato deve comunque espiare, impone che la condanna sia messa in esecuzione, a nulla rilevando l’annullamento con rinvio per gli altri autonomi capi (Sez. 1, 23592/2012).

La sentenza di condanna deve essere immediatamente posta in esecuzione quando essa sia irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per alcune delle fattispecie contestate e contenga già l’indicazione della pena da applicare per le stesse, anche se la sentenza rescindente abbia disposto l’annullamento con rinvio per altre ipotesi di reato che il giudice di merito aveva ritenuto unificate alle prime dal vincolo della continuazione (Sez. 1, 15949/2013).

Ha particolare rilievo la distinzione (SU, 4460/1994) tra i concetti giuridici di giudicato, comportante la irrevocabilità delle relative statuizioni, e di eseguibilità del titolo decisorio, essendo chiaro che nel sistema della vigente procedura penale non è dato annoverare istituti che comportino l’immediata esecutività delle sentenze e, in generale, dei provvedimenti di condanna prima della formazione del corrispondente giudicato formale, tenuto anche conto del principio generale scolpito dall’art. 27 Cost. sicché, l’esecuzione - scaturente dall’annullamento parziale, con rinvio - della sentenza di condanna per la parte di decisione attinta dalla irrevocabilità è determinata (non da meccanismi inerenti a titolo provvisoriamente esecutivo, bensì) esclusivamente dal giudicato che risulti essersi formato sulle parti di sentenza che, ex art. 624 risultino riferite non solo alla statuizione di responsabilità, ma anche alla pena minima da portare ad esecuzione (Sez. 1, 46150/2018).

La formazione del giudicato non coincide con l’eseguibilità del titolo, costituendo la prima il mero presupposto della seconda, di guisa che l’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna composta di un unico capo in relazione al solo trattamento sanzionatorio non comporta automaticamente, in applicazione del principio della formazione progressiva del giudicato, l’immediata eseguibilità di detta sentenza, che può ricorrere soltanto qualora la pena sia definita con certezza nel quantum minimo inderogabile (Sez. 1, 12904/2018).

L’esecutività della sentenza di condanna discende direttamente dalla sua irrevocabilità, come disposto dall’art. 650, comma 1, essendo la decisione giudiziale non più soggetta ad impugnazione il solo titolo che legittima la fase dell’esecuzione, del quale l’ordine di carcerazione, previsto dall’art. 656, ha efficacia meramente ricognitiva; l’omissione di quest’ultimo, la sua invalidità, o il ritardo nella sua emissione, non incidono dunque sull’apertura della fase medesima, né attribuiscono al condannato il diritto alla liberazione (Sez. 5, 19647/2011, richiamata da Sez. 1, 20768/2018).

Il giudicato formatosi sulla continuazione tra ciascuno dei reati satellite e il medesimo delitto base avvince inscindibilmente e irrevocabilmente tutti i suddetti reati nell’identico disegno criminoso e nel vincolo di cui all’art. 81 Cod. pen., comma 2, che ne deriva.

Di tal che, preclusa, ai sensi dell’art. 650, ogni statuizione alternativa all’ineluttabile riconoscimento della continuazione tra tutti i reati satellite del medesimo delitto base alla stregua della complessa res iudicata, il principio sopra affermato conserva la sua valenza anche con riferimento ai pregressi provvedimenti adottati in sede esecutiva che hanno riconosciuto il vincolo della continuazione tra una serie di reati (Sez. 1, 5498/2017).

L’esecuzione è l’applicazione pratica del comando giudiziale che ha stabilito e dosato la punizione del reo.

Per il compimento di tale attività l’ordinamento giuridico, se all’art. 650 stabilisce un termine iniziale coincidente con il momento di acquisita irrevocabilità del titolo di condanna, prescrivendo “salvo che sia diversamente stabilito, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili”, al tempo stesso non prevede però un termine finale, entro e non oltre il quale l’esecuzione della pena debba avere attuazione.

Soltanto in riferimento alle sanzioni principali l’onere di procedere ad esecuzione è soggetto al rispetto di un termine, coincidente con quello di prescrizione, previsto dall’art. 172 Cod. pen., nel senso che la sottoposizione del condannato alla pena potrà avvenire in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato sino a che la stessa non sia estinta per l’inutile decorso del lasso di tempo previsto dalla legge.

Ma analoga disciplina non è prevista in riferimento alle pene conseguenti a quelle principali, che, in quanto effetto penale della condanna ai sensi dell’art. 20 Cod. pen., non sono soggette a prescrizione (Sez. 6, 18256/2015) nel difetto di qualsiasi previsione normativa che stabilisca espressamente un regime parallelo a quello cui soggiacciono le pene principali (Sez. 1, 33541/2016).

Nel caso in cui la sospensione condizionale della pena sia stata subordinata al risarcimento del danno o alla eliminazione delle conseguenze del reato, il termine per la esecuzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, atteso che non è possibile una esecuzione “ante iudicatum” dei capi penali della pronuncia, tra i quali sono comprese le statuizioni sulla sospensione condizionale della pena (Sez. 3, 13456/2007).

Gli artt. 648 e 650 statuiscono una regola generale in forza della quale, salvo che la legge disponga diversamente, l’esecutività della sentenza è conseguenza della sua irrevocabilità (cosa giudicata formale).

Ne consegue che non è ammessa una esecuzione ante iudicatum dei capi penali della pronuncia e in questi capi penali vanno indubbiamente ricomprese le statuizioni sulla sospensione condizionale della pena, sulla subordinazione del beneficio al risarcimento del danno o all’eliminazione delle conseguenze del reato e infine sul termine di decorrenza per adempiere questi obblighi risarcitori o ripristinatori.

Pertanto il giudice, nel subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno o alla eliminazione delle conseguenze del reato (capo penale), non può fissare un termine per il risarcimento o la eliminazione che decorra prima del passaggio in giudicato della sentenza (nel caso di specie, il termine era di sessanta giorni dalla notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado), essendo questo termine un elemento essenziale del suddetto beneficio.

In siffatti casi, la subordinata posta alla sospensione condizionale della pena non perde efficacia, nel senso che non deve essere rimossa come erroneamente sosterrebbe la ricorrente, ma deve essere soltanto differita, anche d’ufficio ossia indipendentemente da doglianze specificamente sollevate in proposito, al passaggio in giudicato della sentenza e ciò comporterebbe, in sede dì giudizio di legittimità, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla decorrenza del termine fissato dal giudice di merito per la eliminazione delle conseguenze dannose del reato, e quindi per il godimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, con la conseguente adozione ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l) del relativo provvedimento di differimento del dies a quo del termine utile per ottemperare da parte del condannato, se irrevocabilmente definitiva una sentenza di condanna, all’adempimento degli obblighi la cui osservanza consentirebbe di usufruire del beneficio della sospensione condizionale della pena (Sez. 3, 19316/2015).

Deve essere esclusa la possibilità di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile in un termine anteriore al passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 4, 29889/2013).

Il giudice dell’esecuzione, a fronte di un appello tardivo avverso una sentenza con attestazione di irrevocabilità, non ha il dovere di sospendere automaticamente l’esecuzione della pena in attesa che il giudice dell’impugnazione si pronunci sull’ammissibilità dell’appello, spettando a quest’ultimo un autonomo potere di sospensione.

L’art. 648 comma 2, deve, quindi, essere interpretato nel senso che il riferimento all’ordinanza di inammissibilità dell’impugnazione contenuto nella seconda ipotesi riguardi le cause di inammissibilità diverse dalla tardività dell’impugnazione.

Ciò premesso, l’irrevocabilità della sentenza le attribuisce forza esecutiva (art. 650 comma 1) e il PM deve dare corso all’esecuzione della sentenza, senza alcuna discrezionalità sul punto, in quanto organo dell’esecuzione, titolare del potere-dovere di emettere il relativo ordine (Sez. 1, 4891/2013).