x

x

Art. 651 - Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno

1. La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

Rassegna giurisprudenziale

Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 651)

La disposizione di cui all’art. 652, come quelle degli arti. 651, 653 e 654, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti nelle predette disposizioni.

Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno; diversamente le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ed il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (SU civili, 1768/2011).

Sussiste l’interesse ex art. 568 dell’imputato ad impugnare una sentenza che non lo assolve con la formula più favorevole, in quanto dalla modifica del provvedimento impugnato  da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione  può derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame: ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Infatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole. In definitiva, l’imputato può conseguire, dalla sentenza assolutoria con formula più favorevole, conseguenze più vantaggiose in altri settori dell’ordinamento ed in ciò va ravvisato il suo interesse ad impugnare (Sez. 4, 4621/2018).

L’autonomia della giurisdizione civile rispetto alla giurisdizione penale, al di fuori delle ipotesi disciplinate dagli articoli 651, 652 e 654, non giustifica un’assoluta omissione di vaglio da parte del giudice civile di merito delle argomentazioni difensive che una parte prospetti deducendole da prove effettuate in sede penale o dalla motivazione di sentenze penali attinenti – pur senza valore di giudicato  alla stessa vicenda posta come oggetto di cognizione del giudice civile (Sez. 3, 37419/2017).

Non è consentita l’impugnazione di una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, atteso che tale formulazione - relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova - non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sulla innocenza dell’imputato, né spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli art. 652 e 654; pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (Sez. 3, 51445/2016).

Occorre verificare l’interesse concreto a far valere la nullità di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In via astratta, l’interesse a far valere la nullità si riconnette all’interesse per il ricorrente ad ottenere una decisione diversa e più favorevole e ciò in ragione dei particolari effetti extraprocessuali derivanti dalle pronunce ex art. 652 – 654.

L’interesse ad impugnare, che deve essere concreto e tendere a un risultato pratico in rapporto alle situazioni e alle facoltà tutelate dall’ordinamento, ricorre tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.

E ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio civile di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole.

Peraltro, l’interesse concreto ad impugnare deve essere allegato dalla parte che nell’esporre le ragioni del ricorso e del risultato che intende ottenere deve anche fornire gli elementi che, con riguardo al caso concreto, assumono rilievo per ritenere concreto l’interesse ad una pronuncia diversa, pena la genericità dell’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria, deve essere riconosciuto qualora egli deduca che l’accertamento del fatto materiale, oggetto del processo penale, possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari e indichi le ragioni per contrastare tale accertamento del fatto materiale da cui possono derivare effetti pregiudizievoli nei distinti procedimenti civili e amministrativi ai norma dell’art. 654.

Deve pertanto affermarsi il principio secondo cui l’annullamento della sentenza di assoluzione è precluso dalla mera deduzione dell’interesse ad una diversa pronuncia di assoluzione tale da escludere che la rinnovazione del giudizio di secondo grado possa contribuire ad esiti diversi da quelli già raggiunti con la pronuncia de plano di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto della sua trasformazione in illeciti amministrativo (Sez. 3, 8855/2017).

Nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651, solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima (Sez. 3 civile, 1665/2016).

La materia dei rapporti fra giudizio penale e giudizio civile in ordine al risarcimento del danno, è regolata dall’art. 651, in forza del quale la sentenza penale irrevocabile di condanna, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile esclusivamente con riferimento all’accertamento ed alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità ed all’affermazione che l’imputato l’ha commesso.

La sua efficacia nel giudizio civile non si estende, dunque, alla valutazione del concorso di colpa del danneggiato nella causazione del fatto, demandata al giudice civile, che può escluderla o ritenerla, anche avendo riguardo al diverso regime dell’onere probatorio nelle ipotesi di fatto illecito nel giudizio civile (assistito dalla presunzione legale relative, di cui all’art. 2054 Cod. civ. nel caso di sinistri stradali) ed alla possibilità della partecipazione al giudizio civile di parti diverse da quelle presenti nel giudizio penale (per esempio il proprietario di un veicolo coinvolto, litisconsorte necessario in sede civile).

Va, dunque, ribadito che non è accoglibile il ricorso per cassazione della parte civile volto a censurare la statuizione del giudice di merito in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell’evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (Sez. 4, 4607/2018).

Una concausa, che a norma dell’art. 41 Cod. pen. non esclude la responsabilità penale, può ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227, comma 1 Cod. civ.

Ne consegue che l’eventuale apporto causale colposo del danneggiato, in quanto non esclude la responsabilità penale del danneggiante, non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gli effetti di cui all’art. 651 Cod. proc. civ. e non può essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento (nel caso di specie la Corte ha cassato la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che la richiesta in sede civile di verifica del concorso di colpa del danneggiato fosse preclusa dall’intervenuto accertamento della sua responsabilità in sede penale in ordine all’omicidio colposo) (Sez. 3 civile, 4504/2001).

La materia dei rapporti fra giudizio penale giudizio civile per il risarcimento del danno, è regolata dall’art. 651, in forza del quale la sentenza penale irrevocabile di condanna, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile esclusivamente con riferimento all’accertamento ed alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e all’affermazione che l’imputato l’ha commesso.

La valenza della sentenza irrevocabile di condanna nel giudizio civile di risarcimento del danno si limita all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al prodursi dell’evento e non si estende, invece, alla valutazione del concorso di colpa del danneggiato nella causazione del fatto, demandata pertanto al giudice civile, che può escluderla o ritenerla, anche avendo riguardo al diverso regime dell’onere probatorio nelle ipotesi di fatto illecito nel giudizio civile (talvolta assistito da presunzioni legali relative, cfr. art. 2054 in caso di sinistri stradali) ed alla possibilità della partecipazione al giudizio civile di parti diverse da quelle presenti nel giudizio penale (per esempio il proprietario di un veicolo coinvolto, che non abbia partecipato al giudizio penale, per non averne il giudice penale disposto la chiamata ex art. 23 L. 990/1969, rispetto al quale, se chiamato in sede civile, il giudicato non svolge alcun effetto e che, di conseguenza ha diritto di introdurre qualsiasi prova sul concorso di colpa dei soggetti coinvolti).

Va, dunque, ribadito il principio della giurisprudenza di legittimità alla cui stregua «Nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651, solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima» (Sez. 4, 29076/2018).

La facoltà del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno ed alla provvisionale, prevista dall’art. 539, non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum, bensì trova implicita conferma nei limiti dell’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati dall’art. 651, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità ed all’affermazione che l’imputato l’ha commesso, escludendosi, perciò, l’estensione del giudicato penale alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato (Sez. 5, 8186/2018).