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Art. 91 - Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato

1. Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato.

Rassegna giurisprudenziale

Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato (art. 91)

È pienamente ammissibile la costituzione di parte civile di un’associazione, anche non riconosciuta, che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito, per effetto del reato, un danno, patrimoniale o non, consistente nell’offesa all’interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente alla personalità o all’identità dell’ente.

Ciò sul presupposto che determinati organismi abbiano fatto di un determinato interesse collettivo l’oggetto principale della propria esistenza, tanto che esso sia diventato elemento interno e costitutivo del sodalizio e come tale ha assunto una consistenza di diritto di soggettivo.

Nondimeno, perché questo accada è necessario fare riferimento ad una situazione storica determinata, al ruolo concretamente svolto dall’organismo che si costituisce nel giudizio e alla sua capacità di rappresentare, in un contesto ben determinato, gli interessi per la cui tutela si intende esercitare, nel processo penale, l’azione civile (SU, 38343/2014).

Secondo il rinvio contenuto nell’art. 91, comma 2, l’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale da parte di una persona giuridica o di un ente pubblico, non essendo regolato espressamente dalla legge penale, va stabilito con riferimento ai principi generali stabiliti dal terzo comma dell’art. 75 Cod. proc. civ. (Sez. 5, 44384/2015).

Il limitato ambito di operatività delineato dagli artt. 91 e ss. per gli enti e associazioni rappresentative degli interessi lesi dal reato è stato progressivamente superato, con il riconoscimento della legittimazione alla costituzione di parte civile, sulla base di argomentazioni che, originariamente riferite alle associazioni ambientaliste, hanno finito per essere utilizzate più in generale con riferimento ad ogni tipo di associazione, la cui azione nello specifico contesto territoriale sia volta a tutelare proprio i beni offesi dal reato, contrastando le condotte da cui l’offesa deriva.

È stato infatti rilevato che la legittimazione alla costituzione di parte civile discende dalla configurabilità di una lesione del diritto di personalità del sodalizio, valutato in relazione allo scopo e ai suoi componenti, in quanto l’interesse diffuso perseguito non si limiti ad una forma di mero sostegno ideologico, ma si traduca nella salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata, fatta propria dal sodalizio come suo scopo specifico.

Tale principio è stato di seguito applicato con riferimento a vari tipi di associazione, essendosi ritenuto che le persone giuridiche e gli enti di fatto sono legittimati a costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui gli stessi vantino un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo, come avviene nel caso in cui offeso sia l’interesse perseguito da un’associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, con l’effetto che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione della personalità o identità del sodalizio.

D’altro canto, anche in sede civile, in ordine alla configurabilità del danno, è stato rilevato che in tema di danno non patrimoniale, il pregiudizio risarcibile nei confronti di un ente collettivo si identifica con la lesione dell’interesse, diffuso o collettivo, del quale esso è portatore e garante e coincide, sul piano obiettivo, con la violazione delle norme poste a tutela dell’interesse medesimo, senza che si possa distinguere, a tali fini, tra l’evento lesivo e la conseguenza negativa, in quanto dall’attività di tutela degli interessi coincidenti con quelli lesi o posti in pericolo deriva, in capo all’ente esponenziale, una posizione di diritto soggettivo che lo legittima all’azione risarcitoria (Sez. 6, 38921/2017).

Il nuovo codice di rito, agli artt. 91 e ss., ha previsto in favore degli enti e associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal reato, che presentino le condizioni stabilite dalla norma, una forma di intervento e partecipazione al processo penale, distinta dalla costituzione di parte civile e sicuramente nuova, in quanto non conosciuta dal codice di rito previgente, che si sostanzia nella attribuzione ai medesimi della possibilità di “esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alle persone offese dal reato.

Nel nuovo codice alla persona offesa è riconosciuta una funzione di stimolo e controllo dell’attività del PM attribuendole i poteri e la posizione dettagliatamente ricostruiti già da una nota sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (SU, 24/1999) relativamente all’esercizio dell’azione penale e all’accertamento della responsabilità oggetto del procedimento, tanto che si è parlato di accusa privata; per gli enti esponenziali si è parlato di “persona offesa di creazione politica” che in tale qualità può svolgere una funzione di accusa a fianco della persona offesa e del PM, al quale ultimo è comunque in toto riservata la titolarità dell’azione penale.

Recependo l’ampio dibattito in corso da tempo sulla opportunità di dare voce nel processo penale anche a soggetti collettivi che nel contesto sociale si sono resi rappresentativi degli interessi lesi dal reato, il nuovo codice ha adottato una articolata posizione, volta a consentire tale presenza a determinate e precise condizioni – assenza di scopo di lucro; precedente riconoscimento, in forza di legge, di finalità di tutela degli interessi lesi; consenso della persona offesa; legittimazione di un solo soggetto – che rappresentano un contemperamento della ritenuta opportunità, da un lato, di rafforzare la posizione della persona offesa nel processo affiancandole, nella tutela della propria posizione, un altro soggetto, non persona fisica ma di natura collettiva e, dall’altro, della necessità di assicurare la coincidenza degli interessi rappresentati e di non appesantire il procedimento con una eccessiva presenza di soggetti.

Come si è detto i poteri degli enti esponenziali sono quelli della persona offesa e pertanto, poiché tra i diritti e le facoltà che l’art. 90 riconosce alla persona offesa è previsto anche quella di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento.

Gli artt. 90 e 91 sono infatti chiari nel circoscrivere l’esercizio dei diritti consentiti alla persona offesa e agli enti ad essa equiparati ad “ogni stato e grado del procedimento”; si tratta, come si ricava dal complessivo impianto codicistico e dalle osservazioni contenute nella relazione al codice di procedura penale, del procedimento che ha per oggetto l’accertamento della responsabilità penale dell’imputato e, in parallelo, di quella civile derivante dal reato che, secondo il sistema del codice di rito, può trovare ospitalità all’interno del processo penale.

A tali fini la persona offesa, e con essa gli enti esponenziali, entrano nel procedimento fin dalla fase delle indagini preliminari e vi restano fino al giudizio di cassazione, come espressamente risulta dalla relazione al testo definitivo del nuovo codice che afferma di “disattendere la proposta di sostituzione dell’espressione procedimento di merito con l’espressione processo, volendo la prima di esse significare che gli enti cd. esponenziali di interessi possono intervenire non solo nella fase processuale vera e propria ma anche nella fase delle indagini preliminari”, nonché di aver provveduto “a sopprimere l’inciso  di merito  apparso in contrasto con la direttiva 39 che assicura agli enti e alle associazioni cui sono riconosciute finalità di tutela gli stessi poteri spettanti nel processo all’offeso dal reato non costituito parte civile: quindi, non soltanto nel procedimento di merito, ma anche nel giudizio di cassazione ove la persona offesa è abilitata a presentare memorie”.

Ma una tale puntuale ed ampia attribuzione di poteri costituisce allo stesso tempo il limite degli stessi, che non possono esercitarsi al di fuori dell’ambito consentito e dunque al di fuori di “ogni stato e grado del procedimento”, da intendersi in senso tecnico e restrittivo come procedimento volto all’accertamento della responsabilità dell’imputato che, iniziato con le indagini preliminari, e superato lo scoglio dell’archiviazione può poi svilupparsi in fasi e procedure differenti fino alla sentenza di primo e di secondo grado per poi concludersi con il giudizio di cassazione (Sez. 4, 32161/2014).