Art. 641 - Effetti dell’inammissibilità o del rigetto
1. L’ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi.
Rassegna giurisprudenziale
Effetti dell’inammissibilità o del rigetto (art. 641)
Quando la richiesta di revisione è proposta fuori delle ipotesi previste dagli arti 629 e 630, o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633 e 641, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sull’art. 634, l’espressione normativa “la Corte di appello anche di ufficio dichiara ( ... ) l’inammissibilità” significa che la legge consente che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano, rimettendo alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Sez. 4, 2428/2017).
L’art. 630 statuisce che la revisione della sentenza di condanna in favore dei condannati di cui all’art. 629 può essere richiesta se, dopo la condanna, sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 520 o 531. L’art. 641 precisa invece che la inammissibilità della richiesta ovvero il suo rigetto precedentemente deliberati non pregiudicano il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi nuovi.
Ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all’accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 1, 16604/2016).
L’art. 641 attribuisce, ai soggetti legittimati a proporre richiesta di revisione, il diritto – nel caso in cui sia intervenuta ordinanza di inammissibilità o sentenza di rigetto – di presentare una nuova richiesta allorché la stessa sia fondata «su elementi diversi».
Secondo una prospettiva eminentemente processuale, in cui al fine convergono i temi dell’ammissibilità della pronuncia adottata e delle forme procedurali osservate, l’accertamento che la Corte di appello è chiamata ad effettuare sulla “novità” della richiesta e quindi sulla “diversità” degli elementi di sostegno della stessa, può procedere per forme semplificate, potendo l’accertamento esitare in un provvedimento di inammissibilità adottato, come espressamente previsto dalla disciplina del procedimento (art. 634, comma 1), d’ufficio, e quindi senza il contraddittorio tra le parti.
In tema di revisione, infatti, le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta possono essere compiute de plano, essendo rimessa alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio nei casi di inammissibilità che non siano dì evidente ed immediato. Il discrimine quindi tra i due modelli di procedimento, “camerale partecipato”, l’uno, “camerale non partecipato”, l’altro, resta segnato dai contenuti della richiesta così come stimati dalla Corte di appello nell’esercizio dei poteri discrezionali alla stessa attribuiti (Sez. 6, 570/2016).