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Art. 143 - Diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali

1. L’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

2. Negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.

3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza.

4. L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano.

5. L’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.

6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del presente titolo. La prestazione dell’ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria.

Rassegna giurisprudenziale

Diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali (art. 143)

Di fronte alla certezza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, risultante dagli atti, si impone - ai sensi dell'art. 143 - la traduzione dell'atto di instaurazione del contraddittorio, anche se notificato al domicilio eletto presso il difensore, non versandosi nei casi di irreperibilità o latitanza (Sez. 1, 40584/2021).

L’art. 143 del codice di rito deve la sua attuale formulazione al D. Lgs. 32/2014 con cui è stata data attuazione alla Direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio. Come risulta confermato dal nuovo testo dell’art. 143 (comma 4) e come, del resto, già evidenziato dalla Direttiva 210/64/UE, non è previsto per lo straniero un diritto assoluto alla nomina di un interprete o alla traduzione degli atti, ma solo quando ciò sia necessario per consentirgli di comprendere le accuse che gli vengono mosse e di potersi, quindi, difendere. Tale obbligo non ricorre quando lo straniero comprenda la lingua italiana (Sez. 4, 37825/2018).

È necessaria la traduzione dell’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa nei confronti del cittadino straniero che non conosca la lingua italiana nel caso di ordinanza cautelare disposta a seguito di incompetenza del GIP che aveva emesso originariamente il titolo custodiale. L’omessa traduzione del provvedimento impugnato determina inevitabilmente la nullità dello stesso, quando l’ignoranza sia circostanza nota al giudice di merito al momento della emissione del titolo cautelare (Sez. 4, 33802/2017).

La mancata nomina di un interprete all’imputato che non conosce la lingua italiana dà luogo ad una nullità a regime intermedio, che deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell’atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e che, comunque, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Sez. 2, 26078/2016).

Ove si lamenti la mancata assistenza di un interprete nello svolgimento del processo e nei contenuti degli atti (come avvisi e sentenze), qualunque sia il momento destinato a venire in considerazione, è onere dell’imputato, che sollevi detta eccezione, di precisare quale sia stato il pregiudizio effettivamente subito al diritto di difesa, allegando le lacune difensive determinate da una specifica non conoscenza dell’atto (Sez. 1, 30127/2015).

L’onere di traduzione degli atti processuali, ai sensi dell’art. 143, scaturisce dall’accertamento positivo della non conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana, circostanza presunta dalla legge; qualora l’imputato straniero mostri di rendersi conto del significato degli atti processuali compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati, al giudice non incombe l’obbligo di provvedere alla nomina dell’interprete, dovuta solo sul presupposto indefettibile della non conoscenza o della difficoltà di comprensione della lingua italiana da parte dell’imputato (Sez. 7, 36574/2018).

L’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana, previsto dall’art. 143, non deve necessariamente essere compiuto personalmente dall’AG, in quanto la conoscenza della lingua italiana può essere verificata anche sulla base degli elementi risultanti dagli atti di PG, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti (Sez. 7, 31240/2018).

L’efficacia operativa dell’art. 143 è subordinata all’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana da parte dell’imputato; ed inoltre l’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana da parte dell’imputato costituisce indagine di mero fatto il cui esito, se riferito dal giudice con argomentazioni esaustive e concludenti, sfugge al sindacato di legittimità (Sez. 4, 37126/2018).

L’ordinanza cautelare nei confronti dell’indagato alloglotta deve essere tradotta nella lingua a quest’ultimo nota, ai sensi dell’art. 143 al fine di assicurare il compiuto esercizio del diritto di difesa. Secondo ius receptum qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l’omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità (a regime intermedio) solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell’emissione del titolo cautelare (Sez. 5, 21173/2018).

La previsione di cui all’art. 143 non contempla il decreto di sequestro nel novero degli atti di cui l’AG deve disporre la traduzione scritta in lingua comprensibile all’indagato alloglotta, sicché l’omessa traduzione del decreto di sequestro non determina alcuna conseguenza giuridica e non rileva sulla decorrenza del termine per proporre impugnazione al TDR; altre decisioni sono invece nel senso che l’omessa traduzione del verbale di sequestro nonché del relativo decreto di convalida in una lingua conosciuta dall’indagato alloglotta e la mancata nomina di un interprete per l’assistenza alle attività di esecuzione del sequestro compiute dalla PG non costituiscono causa di nullità del provvedimento emesso dall’AG, ma determinano esclusivamente lo slittamento della decorrenza iniziale del termine per l’impugnazione dell’atto fino a quando lo stesso sia tradotto secondo le formalità imposte dalla legge (Sez. 2, 34273/2018).

L’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, non è causa di inutilizzabilità di tali operazioni, sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’art. 271 (Sez. 5, 15472/2018).

In senso contrario: L’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione, delle intercettazioni delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere ed eseguire adeguatamente l’incarico affidatogli (Sez. 3, 49331/2013).

L’omessa traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all’indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell’art. 183 (SU, 39298/2006).

I termini d’impugnazione, per l’imputato alloglotta, decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione è stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Sez. 2, 13697/2016).