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Art. 583 - Circostanze aggravanti

1. La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:

1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;

[3) se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto] (1).

2. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:

1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;

2) la perdita di un senso;

3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;

[5) l'aborto della persona offesa.]

(1) Il n. 3 del primo comma ed il n. 5 del secondo comma dell'art. 583 sono stati abrogati dall'art. 22, L. 194/1978.

Rassegna di giurisprudenza

La norma di cui all'art. 583 non delinea un'autonoma figura di delitto, ma prevede delle semplici circostanze in quanto le ipotesi prese in considerazione non implicano una modificazione dell'essenza del reato di lesioni personali, ma costituiscono soltanto delle particolarità e, più precisamente, dei risultati che si aggiungono ad esso, determinandone una maggiore gravità. Ne consegue che gli elementi previsti in questa norma vanno soggetti al giudizio di comparazione previsto dal vigente art. 69, con l'ulteriore effetto, nel caso della sua equivalenza, di ritenere il reato, non solo ai fini della determinazione della pena, ma anche ai fini della prescrizione, come reato di lesioni semplici (Sez. 5, 5696/1987).

 

Lesioni gravi

In tema di lesioni personali, anche una menomazione minima, purché apprezzabile, di un organo integra l'aggravante di cui all'art. 583, comma primo, n. 2 (fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistente l'aggravante in questione nella avulsione traumatica di un incisivo superiore riportata dalla persona offesa) (Sez. 5, 4177/2015).

La lesione personale deve considerarsi grave se l'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni perduri oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia (Sez. 4, 32687/2009).

In tema di lesioni aggravate, il pericolo di vita di cui all'art. 583, comma primo, n. 1, e cioè la probabilità che la morte si verifichi in un momento qualunque del corso del processo morboso, deve essere desunto secondo l'id quod plerumque accidit dai vari sintomi che accompagnano la malattia, alla luce del perturbamento prodottosi nelle fondamentali funzioni organiche del soggetto; ne deriva che, in linea di principio, l'attestazione di prognosi riservata non si identifica col pericolo di vita, sicché ove, in relazione al contenuto effettivo della certificazione, non siano espletati i dovuti accertamenti, non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 583, comma primo, n. 1 (Sez.5, 31134/2007).

L'aggravante dell'indebolimento permanente non ha carattere progressivo rispetto a quella relativa alla durata della malattia, potendo dalle lesioni derivare una malattia per un tempo inferiore ai quaranta giorni e comunque l'indebolimento permanente di un senso o di un organo. Pertanto, ritenere l'una, non contestata, in luogo dell'altra, contestata, implica mancanza di correlazione tra accusa e sentenza (Sez. 5, 1067/1996).

In tema di lesioni personali, la perdita dell'uso (art. 583, comma 2, n. 2) per gli organi a costituenti plurimi o a funzione similare si verifica solo quando tutti gli elementi che li compongono siano perduti, mentre la perdita di una sola parte comporta effetti che variano dall'irrilevanza all'indebolimento permanente (art. 583, comma 1, n. 2). Pertanto, la perdita di un occhio, risolvendosi nella perdita di un organo geminato (esempio rene, testicolo), configura l'aggravante dell'indebolimento permanente e non quella della perdita dell'uso di organo (Sez. 5, 4130/1994).

Sussiste la circostanza aggravante dell'indebolimento permanente di un organo qualora, in conseguenza del fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, la quale sia ridotta rispetto allo stato anteriore, a nulla rilevando il fatto del minore o maggiore grado di menomazione (fattispecie di riduzione permanente del flusso aereo di una narice a seguito di lesioni al cranio e al volto) (Sez. 5, 34012/2013).

In tema di lesioni volontarie, l'indebolimento permanente della funzione visiva non è escluso dal fatto che l'occhio abbia riacquistato completa efficienza grazie all'applicazione d'una protesi (cristallino artificiale), poiché la permanenza dell'indebolimento va riferito alla normale funzione dell'organo, prescindendo dall'uso coadiuvante di mezzi artificiali (Sez. 5, 9903/1994).

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni gravi, non ha rilievo che l'organo già fosse menomato, purché si verifichi un ulteriore aggravamento, che ne compromette maggiormente la funzionalità (Sez. 5, 2782/1991).

In tema di lesioni personali, ai fini dell'integrazione dell'aggravante ex art. 583, primo comma, n. 2, il concetto di «apprezzabilità» del danno permanente, sia esso organico che funzionale, va definito essenzialmente sotto l'aspetto negativo, nel senso che «non apprezzabile» deve ritenersi l'indebolimento (dell'organo o della funzione) tanto lieve che non si riesca né a percepirlo né a oggettivamente (strumentalmente) valutarlo, nella irrilevanza, ai fini della sussistenza dell'aggravante, del maggiore o minore grado di indebolimento.

Pertanto, il concetto di danno penalmente apprezzabile non si identifica con quello di danno indennizzabile, siccome previsto e disciplinato dalla normativa previdenziale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la quale (normativa) fissa limiti (alla rilevanza del danno e alla sua indennizzabilità) in relazione sia alla quantificazione della (diminuita) capacità di guadagno, sia alle deficienze finanziarie dell'ente erogatore, le quali, a loro volta, trovano riscontro nella misura delle contribuzioni versate dai soggetti assicurati e dagli altri a ciò tenuti, per contratto o per legge. Ne consegue che nell'individuazione dei criteri referenti il concetto di apprezzabilità del danno permanente, ex art. 583, comma primo, n. 2, rimane estranea qualsiasi nozione civilistico-previdenziale concernente i limiti di rilevanza, valutabilità ed indennizzabilità (Sez. 4, 4049/1989).

In tema di malattie professionali, la contrazione della malattia denominata silicosi, ritenuta sicuramente sclerogena in conseguenza alla prolungata esposizione in ambiente di lavoro inquinato da polveri aereodiffuse contenenti particelle di quarzo, comportando una grave compromissione degli organi deputati alla funzione respiratoria, integra l'aggravante dell'indebolimento permanente di un senso o di un organo (di cui all'art. 583, primo comma, n. 2) (Sez. 4, 9933/1989).

L'ipotesi alternativa della malattia o dell'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni, prevista dal n. 1 dell'art. 583 come idonea a far qualificare come grave la lesione personale è configurabile anche nel caso in cui il limite temporale suddetto sia superato da una sola delle due previsioni e non anche dall'altra (Sez. 4, 5809/1985).

Agli effetti dell'aggravante prevista dall'art. 583 n. 1, non è richiesta l'incapacità assoluta di attendere alle ordinarie occupazioni, essendo sufficiente anche un'incapacità relativa e, cioè, che la persona offesa non possa attendere alle sue occupazioni senza uno sforzo inconsueto o senza pregiudizio dell'abituale tenore di vita (Sez. 5, 9929/1982).

 

Lesioni gravissime

In tema di lesioni gravissime, integra lo sfregio permanente qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d'ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità (fattispecie inerente ad una cicatrice profonda, lunga 10 cm. e tracciata sulla parte visibile del volto, dalla base del collo fino alla regione mandibolare) (Sez. 5, 32984/2014).

La totale perdita della milza costituisce non già indebolimento del sistema reticolo-endoteliare, ma perdita dell'uso di un organo, che integra l'ipotesi di lesione gravissima prevista dall'art. 583, secondo comma, n. 2, e ciò perché le numerose funzioni cui assolve la milza, sebbene tutte perfettamente compensabili, non possono tuttavia ritenersi propriamente vicariate, nella loro entità globale, da singole attività svolte separatamente da organi diversi (Sez.5, 10644/1992).

Qualora a seguito di un'aggressione, la vittima riporti una alterazione psicopatica che è in rapporto diretto di causalità con la condotta dell'agente, questi risponde di lesioni personali aggravate se la malattia derivata da esse presenta un carattere insanabile, a nulla rilevando i preesistenti stati patologici della vittima, allorché sia accertato che il trauma ad essa inferto abbia posto in luce tale preesistente patologia. In tale ipotesi non può dirsi che l'azione criminosa sia solo occasione delle gravi conseguenze manifestatesi, ma deve ritenersene sicuro il contributo causale (Sez. 5, 5087/1987).

In tema di lesione gravissima deve considerarsi perdita di un arto non solo la asportazione di esso, ma anche l'impossibilità assoluta di usarlo secondo la sua normale funzionalità (Sez. 4, 6821/1977).

Per «viso» si intende la parte anteriore del capo compresa tra l'impianto frontale dei capelli e la estremità del mento, parte che interessa maggiormente la venustà della persona. Non può tuttavia prescindersi — per accertare la sussistenza o meno della alterazione dell'«estetica» del viso nella quale si sostanzia la ratio della aggravante prevista dall'art. 583 comma secondo n. 4 dal considerare anche quelle immediate zone di «contorno» che necessariamente contribuiscono alla formazione ed al completamento di detta estetica, come la regione sottomandibolare e quella latero-superiore del collo. Pertanto, quando l'esito di una lesione personale ivi esistente rifletta i suoi effetti negativi e permanenti sulla euritmia del viso, alterando sensibilmente nella sua visione di insieme l'armonia dei lineamenti, indubbiamente sussiste lo «sfregio» (Sez. 1, 138/1971).