x

x

Art. 326 - Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio

1. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

2. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.

3. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni (1).

(1) Articolo così sostituito dall’art. 15, L. 86/1990.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

…Bene giuridico protetto dalla norma

Il delitto di cui all’art. 326 è un reato di pericolo effettivo (e non meramente presunto) per gli interessi tutelati, nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento, alla pubblica amministrazione o ad un terzo, a mezzo della notizia da tenere segreta. Ne consegue che il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora notizie d’ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle (e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta) ovvero a soggetti che, ancorché estranei ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute, fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell’evoluzione della notizia oltre i termini dell’apporto da esse fornito. Le ipotesi di non punibilità del reato di cui all’art. 326 per inoffensività del fatto risultano comunque limitate a casi assai circoscritti, essendo stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che: il reato di rivelazione di segreti di ufficio si configura anche quando il fatto coperto dal segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di diffonderlo in un ambito più vasto; gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice in oggetto si intendono lesi allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio alla pubblica amministrazione o ad un terzo; quando è la legge a prevedere l’obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l’esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l’esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell’obbligo del segreto; integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d’ufficio la divulgazione da parte dell’extraneus del contenuto di informative di reato redatte da un ufficiale di PG, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell’originario propalatore. Quanto al profilo del dolo, va evidenziato che il reato di cui all’art. 326 è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella volontà consapevole della rivelazione e nella coscienza che la notizia costituisce un segreto di ufficio, essendo, perciò, irrilevante il movente ovvero la finalità della condotta e senza che possa aver alcun valore esimente l’eventuale errore sui limiti dei propri e degli altrui poteri e doveri in ordine a dette notizie (SU, 41210/2017).

Il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio previsto dall'art. 326 importa, per la sua configurabilità sotto il profilo materiale, che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo effettivo, nel senso che sussiste il reato se dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo e che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta, sicché il reato non sussiste nel caso in cui, trattandosi di notizie di ufficio ancora segrete, le stesse siano rivelate a persone che, in relazione al ruolo istituzionale pubblico rivestito, le abbiano già conosciute, fermo restando il limite della non conoscibilità dell'evoluzione della notizia oltre i termini dell'apporto da esse fornito (Sez. 6, 24754/2022).

In tema di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, l’effettività del pericolo costituito dalla condotta criminosa va individuato nella compromissione del normale funzionamento della P.A., bene giuridico protetto dalla norma e valore garantito dall’art. 97 della Costituzione, posto che proprio l’osservanza del segreto assicura l’efficacia dell’azione amministrativa (Sez. 6, 42689/2008).

L’art. 326 protegge il normale funzionamento della Pubblica amministrazione, che costituisce una proiezione dei principi costituzionali contenuti nell’art. 97 Cost., e si estrinseca anche con l’osservanza del segreto d’ufficio inerente al rapporto funzionale tra il pubblico funzionario e l’amministrazione di appartenenza: il segreto evita che l’efficacia dell’azione dell’ente pubblico sia pregiudicata dalla rilevazione del contenuto di certi atti.

Questo giustifica (tanto più quando il segreto concerne indagini penali) il sacrificio della esigenza di conoscibilità, che esprime il principio della pubblicità dell’azione dei pubblici poteri, e spiega anche perché il "segreto d’ufficio" per il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi non riguarda soltanto gli "atti segreti" a norma dell’art. 159 della L. 1196/1960 (ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi) (Sez. 6, 14931/2018).

Il reato di cui all’art. 326 ha ad oggetto la condotta del pubblico ufficiale che mette terze persone al corrente della notizia che deve restare segreta e non, invece, la condotta di chi, appresa tale notizia, la divulghi. Di conseguenza, la condotta di divulgazione di una notizia coperta da segreto d’ufficio, posta in essere da un soggetto privo della qualità soggettiva di pubblico agente, non integra la fattispecie di cui all’art. 326, ma, piuttosto, costituisce un indizio della già avvenuta commissione di tale delitto da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, 9889/2018).

Ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 326, con riferimento alla rivelazione di notizie d’ufficio attinenti a procedimenti in fase di indagini, non è necessaria la prova dell’esistenza di un effettivo pregiudizio per le investigazioni, posto che il delitto in questione è reato di pericolo concreto che tutela il buon andamento della amministrazione, il quale si intende leso allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio a quest’ultima o ad un terzo (Sez. 5, 46174/2004).

Quando è la legge a prevedere l’obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato di cui all’art. 326 sussiste senza che possa sorgere questione circa l’esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l’esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell’obbligo del segreto (Sez. 6, 33256/2016).

 

…Nozione di notizia d’ufficio

La notizia oggetto di rivelazione nella fattispecie di cui all’art. 326 deve essere "di ufficio", ma non necessariamente dell’ufficio cui è preposto il pubblico agente. A differenza di quanto previsto dall’art. 325, la fattispecie di rivelazione di segreti di ufficio non richiede che la notizia sia stata appresa "per ragione dell’ufficio o del servizio".

Deve, tuttavia, pur sempre trattarsi di notizie aventi la caratteristica obiettiva di essere funzionalmente collegate al tipo di attività esercitata nell’ufficio in cui è incardinato l’agente e che il medesimo abbia l’obbligo, anche se non rientrante nella propria specifica competenza, di mantenerle segrete, precludendone l’ulteriore diffusione. Il delitto di rivelazione di segreti di ufficio è, pertanto, integrato anche nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio diffondano una notizia non appresa per ragioni dell’ufficio o del servizio, bastando che tale notizia dovesse rimanere segreta e che l’interessato, per le funzioni esercitate, avesse l’obbligo di impedirne l’ulteriore diffusione (Sez. 3, 11664/2016).

La fattispecie incriminatrice delineata dall’art. 326, pertanto, esprime una assoluta indifferenza circa le modalità di apprensione della notizia, che risultano del tutto irrilevanti ai fini della sua integrazione, e, pertanto, trova applicazione anche nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia carpito occasionalmente o anche solo abusivamente la notizia segreta.

Non è dunque richiesta l’individuazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che abbia originariamente rivelato le notizie segrete (Sez. 6, 3523/2012), ancorché debbano riferirsi ad un soggetto di cui sia con certezza accertata tale qualità (Sez. F, 2022/1996). Pertanto, nelle ipotesi nelle quali la notizia rivelata esorbiti dalle competenze proprie del pubblico agente, non rileva accertare la dinamica acquisitiva della stessa, una volta che sia raggiunta la dimostrazione, sul piano probatorio, della avvenuta rivelazione della stessa ad opera dell’imputato e che la stessa integri un segreto di ufficio (Sez. 6, 30727/2018).

Per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuate senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto (Sez. 6, 19216/2017).

 

…Concorso dell’extraneus

Ai fini del concorso dell’extraneus nel reato di rivelazione del segreto di ufficio, è necessario che costui non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione. Non è pertanto sufficiente ad integrare il reato, per il soggetto che la riceve, la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto, salvo che il soggetto non qualificato, invece di limitarsi a ricevere la notizia, abbia indotto o istigato ad attuare la rivelazione indebita (Sez. 6, 34928/2018).

Il delitto di cui all’art. 326 è un reato proprio del pubblico ufficiale o della persona incaricata di un pubblico servizio che abbia, violando i doveri conseguenti alla propria veste pubblicistica, rivelato a terzi estranei notizie di ufficio che debbano rimanere segrete o ne abbia in qualsiasi modo agevolato la conoscenza. Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui l’autore rivela la notizia riservata al terzo.

L’art. 326  pur prevedendo necessariamente, da un punto di vista naturalistico, la partecipazione alla vicenda del soggetto che riceve la comunicazione del segreto  sanziona esclusivamente l’intraneus (appunto il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio), mentre colui il quale sia reso partecipe della notizia riservata è lasciato esente da sanzione. Sempre che non vi sia prova che quest’ultimo abbia concorso nella condotta di rivelazione dell’agente qualificato (Sez. 6, 33683/2018).

In senso contrario: è punibile per concorso nel reato di cui all’art. 326 l’extraneus che abbia ricevuto la notizia anche senza avere istigato o indotto il pubblico ufficiale a rivelarla (Sez. 6, 39428/2015).

Il soggetto "estraneo" risponde del reato a titolo di concorso con l’autore principale qualora abbia rivelato ad altri una notizia segreta riferitagli come tale, giacché realizza una condotta ulteriore rispetto a quella dell’originario propalatore (Sez. 6, 29663/2018).

 

Ipotesi aggravata prevista dall’art. 326 comma 3

A differenza dell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 326, che tutela esclusivamente il buon funzionamento dell’amministrazione attraverso il dovere di fedeltà del funzionario, nel caso di utilizzazione illegittima di quelle notizie è tutelato anche il bene pubblico alla par condicio civium, vale a dire l’interesse a che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio non tragga, dall’esercizio delle sue funzioni e dalla connessa conoscenza di notizie, apprese in ragione del suo ufficio, un indebito vantaggio rispetto agli altri cittadini (Sez. 6, 29663/2018).

La disposizione dell’art. 326, quale risulta a seguito della modificazione operata con L. 86/1990, pone ad oggetto, nel primo comma, la rivelazione della notizia e, nel comma 3, l’avvalersi della notizia stessa; il coordinamento delle due previsioni porta a concludere, e per motivi letterali (rivela, si avvale) e per motivi sistematici (concorso con la corruzione) e per motivi teleologici (superfluità altrimenti della previsione del terzo comma), nel senso che la condotta del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente prevista nel primo comma, applicabile anche se tale rivelazione è fatta per fini di utilità patrimoniale in adempimento di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame; la fattispecie contemplata dal terzo comma riguarda invece l’illegittimo avvalersi da parte del pubblico ufficiale, che lo sfrutti per profitto patrimoniale o non patrimoniale, non del valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle informazioni che devono rimanere segrete (Sez. 6, 9409/2016).

La fattispecie descritta nell’art. 326, comma 3,  riposa non tanto sulla rivelazione, bensì sulla condotta, non necessariamente destinata a tradursi in un'esternazione, tenuta dal soggetto qualificato, che si avvale illegittimamente di notizie di ufficio che devono restare segrete, e ciò fa per procurare un ingiusto profitto patrimoniale o, nella ipotesi minore, per procurare un danno ingiusto o un profitto non patrimoniale (Sez. 6, 25619/2020).

Casistica

Ai sensi dell'art. 42, L. 124/2007, in mancanza di proroga, per i documenti cui è apposta la classifica di segretezza "riservato", cessa ogni vincolo dieci anni dopo l'apposizione della classifica (nella vicenda sottoposta allo scrutinio della Corte, l’imputato, abusando dei poteri di funzionario dell'AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) aveva sottratto temporaneamente gli originali di documenti riservati facenti capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, li aveva fotocopiati e ne deteneva le copie presso la sua abitazione, dove erano state rinvenute nel corso di una perquisizione; i Giudici del merito lo avevano assolto definendo ‘declassificati’ i documenti essendo decorso il quinquennio dall'apposizione del vincolo. Ma, evidenzia la Corte, si tratta di interpretazione che combina insieme due fenomeni differenti: tutti i documenti cui sono attribuite classifiche di sicurezza perdono ogni vincolo di classifica (in mancanza di proroghe) dieci anni dopo l'apposizione del vincolo (i cinque anni previsti dal primo periodo del quinto comma cui si sommano gli ulteriori cinque anni previsti dal secondo periodo). Quindi anche i documenti cui è stata apposta la classifica di segretezza di "riservato" (in mancanza di proroga) perdono il vincolo di classifica dopo dieci anni all'apposizione del vincolo; in mancanza di un livello inferiore, restano per dieci anni con il vincolo di "riservato". In definitiva, è errato affermare che il livello "inferiore" di "riservato" sia costituito dalla mancanza di ogni vincolo di classificazione: non si tratta di un livello "inferiore", ma di condizione differente del documento rispetto al segreto) (Sez. 1, 24959/2022).

Qualora sia tale da determinare un pericolo di pregiudizio per la pubblica amministrazione o per un terzo, la divulgazione o la comunicazione a terzi di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici integra il delitto di cui all'art. 326 c.p., anche quando abbia ad oggetto atti diversi da quelli specificamente previsti dall'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 (attualmente dall'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016), per i quali l'applicazione del medesimo art. 326 è espressamente prevista dal successivo comma 4 dello stesso art. 13 (ora comma 4 dell'art. 53, d.lgs. n. 50 del 2016) (Sez. 6, 4194/2022).

Il delitto di cui all’art. 326 risulta integrato dalla condotta del collaboratore di cancelleria che fornisca a terzi non autorizzati a riceverla, e senza rispettare la procedura prevista dall’art. 110-bis ATT. CPP, la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di una determinata persona (Sez. 5, 44403/2015).

Le informazioni concernenti precedenti di polizia estrapolati dal Sistema d’indagine interforze (SDI), cioè procedimenti penali pendenti in fase d’indagine, e dunque di notizie coperte da segreto a norma dell’art. 329 CPP, rientrano a pieno titolo nel novero dei dati tutelati dall’incriminazione di cui all’art. 326 (Sez. 2, 30838/2013).

Il reato di cui all’art. 12 comma 2 L. 121/1981 dispone che "il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi". La fattispecie si pone in rapporto di specialità reciproca o bilaterale rispetto all’incriminazione di cui all’art. 326, là dove, accanto ad un nucleo centrale di elementi comuni (segnatamente la condotta di rivelazione e/o di utilizzo delle notizie protette), la prima prevede un ulteriore elemento specializzante in relazione all’oggetto della condotta divulgativa o di impiego (dovendosi trattare di dati ed informazioni acquisite in violazione della L. 121/1981), mentre la seconda prevede una specifica connotazione della condotta (richiedendo che l’agente abbia agito "violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità").

Rapporto di specialità del resto palesato dalla espressa clausola di riserva contenuta nell’art. 12 ("salvo che il fatto costituisca più grave reato"). In caso di rivelazione di dati estrapolati dallo SDI, il discrimine tra la fattispecie incriminatrice di legge speciale (nella forma dolosa come in quella colposa) ed il delitto previsto dall’art. 326, commi primo e secondo, non può non imperniarsi sull’unico elemento differenziale fra le due ipotesi  dunque specializzante  rappresentato dalla violazione dei "doveri inerenti alle funzioni al servizio" ovvero dall’abuso "della sua qualità".

Elemento specializzante che, non potendo riferirsi alla condotta di diffusione o di impiego dei dati  per definizione illegittima in entrambe le fattispecie (là dove anche l’art. 12 prevede che detta condotta debba essere commessa "in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa") , non può che riguardare la fase di acquisizione delle informazioni estrapolate dal Sistema d’indagine (SDI), appunto oggetto di (successiva/o) comunicazione o utilizzo.

L’integrazione del reato previsto dall’art. 12, in luogo della più grave ipotesi delittuosa, postula dunque che l’operatore sia stato autorizzato dal titolare del sistema ad accedere nella banca dati SDI ed abbia eseguito la consultazione nei limiti e nelle forme consentite, ma abbia poi illegittimamente divulgato o utilizzato dette informazioni lecitamente acquisite (Sez. 3, 50438/2015).

Diversamente, ricorre il delitto di cui all’art. 326 allorché il pubblico ufficiale abbia rivelato, anche solo per colpa, notizie d’ufficio che debbano rimanere segrete ovvero ne abbia agevolato la conoscenza "violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità", dunque allorché l’operatore abbia fatto accesso alla banca dati senza autorizzazione o abbia eseguito la consultazione al di fuori dei limiti ovvero senza le forme consentite dal titolare dello ius excludendi alios. In altri termini, alle condotte di rivelazione e di utilizzo di informazioni estratte dal Sistema d’indagine (SDI) sono astrattamente applicabili entrambe le norme de quibus, le quali sanzionano la (stessa) condotta del pubblico ufficiale che comunichi (con dolo o con colpa) dati ed informazioni che devono rimanere segreti ad altri soggetti non autorizzati ovvero che utilizzi tali dati ed informazioni in violazione delle norme stabilite dalla legge.

Il distinguo fra le due incriminazioni va dunque apprezzato nella fase "a monte" della rivelazione o dell’utilizzo delle notizie, in relazione alle modalità  lecite ovvero illecite  di acquisizione dell’informazione, in cui appunto può o meno realizzarsi la violazione ai "doveri inerenti alle funzioni o al servizio "o comunque l’abuso "della sua qualità" richiesta dall’art. 326.

Ne discende che sussiste il reato di cui all’art. 12 qualora sia connotato da illiceità soltanto il segmento di condotta successivo all’acquisizione del dato avvenuta conformemente alla legge, mentre è integrato il delitto previsto dal codice penale allorquando l’illiceità colori anche il segmento di condotta concernente l’acquisizione della notizia, in quanto avvenuta da parte dell’agente qualificato in violazione dei "doveri inerenti alle funzioni o al servizio" o "abusando della sua qualità", dunque senza autorizzazione ad operare su quella banca dati ovvero, come nella specie, contravvenendo alle regole, ai limiti ed alle forme consentite dalla legge (Sez. 6, 14931/2018).

Solo la segreteria della competente Procura della Repubblica può fornire notizia circa eventuali iscrizioni a carico, sempre se il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato del PM, e che, quindi, fino al rilascio di tale autorizzazione, la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico è segreta anche nei confronti del diretto interessato (Sez. 6, 49526/2017).