x

x

Art. 453 - Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate

1. È punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da euro 516 a euro 3.098 (1):

1) chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

2) chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l’apparenza di un valore superiore;

3) chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

4) chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.

2. La stessa pena si applica a chi, legalmente autorizzato alla produzione, fabbrica indebitamente, abusando degli strumenti o dei materiali nella sua disponibilità, quantitativi di monete in eccesso rispetto alle prescrizioni. (2)

3. La pena è ridotta di un terzo quando le condotte di cui al primo e secondo comma hanno ad oggetto monete non aventi ancora corso legale e il termine iniziale dello stesso è determinato (2).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

(2) Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. a), DLGS 125/2016.

Rassegna di giurisprudenza

Nel caso in esame viene in rilievo il delitto di cui all’art. 453, comma 3, in relazione all’art. 458, che equipara alle monete “le carte di pubblico credito”, dovendosi intendere per tali “oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte e cedole al portatore emesse dai Governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati”; la Corte territoriale ha ritenuto che la falsificazione sia integrata dalla riproduzione grafica volta a dare conto di un’apparente autenticità dei titoli e del loro regolare corso di circolazione. Orbene, secondo la previsione normativa la falsificazione può esprimersi nelle due forme alternative della contraffazione e della alterazione, ai sensi del citato art. 453 n. 3), che punisce “chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate”.

Ed invero, come evidenziato in dottrina, la “contraffazione” si concretizza in una imitatici veri, vale a dire nella creazione non consentita, da parte, cioè, di chi non sia autorizzato, di monete (o di carte di pubblico credito) che abbiano un’apparenza di genuinità, mentre la “alterazione” presuppone la genuinità della moneta (o della carta di pubblico credito), consistendo in una modificazione dello stato preesistente della sostanza con cui la moneta è fatta e delle caratteristiche della moneta, finalizzata a creare l’apparenza di un valore superiore o inferiore (nel qual caso ricorrerà l’ipotesi di reato di cui all’art. 454) rispetto a quello effettivo.

Tale interpretazione del significato delle disposizioni normative in esame è stata fatta propria dalla tradizionale giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che in tema di falso nummario l’alterazione integra gli estremi di reato (art. 453 n. 2, art. 454) solo se vale ad attribuire alla moneta l’apparenza di un valore superiore o inferiore, mentre per contraffazione deve intendersi la creazione di cosa simile ad altra, il che avviene dì norma per imitazione, ma può avvenire anche con un’alterazione-trasformazione tale da doversi assimilare alla contraffazione (Sez. 5, 1416/1985).

Orbene non appare revocabile in dubbio che l’attività di falsificazione definita nelle due forme della “contraffazione” e della “alterazione” presuppone necessariamente l’esistenza, nella realtà fenomenica del mondo degli scambi economici, commerciali e finanziari, di beni, rappresentati da monete o da carte di pubblico credito, effettivamente esistenti, rispetto ai quali la falsificazione opera nel senso di creare un’apparenza di genuinità o dì un valore diverso da quello effettivo, idonea a trarre in inganno i terzi.

Ciò appare ancor più evidente ove si rammenti che il bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici in tema di falso nummario, è la fede pubblica, da intendere, tuttavia, in questo caso, specificamente, come la fiducia riposta dal pubblico nella sicurezza della circolazione delle monete ovvero di quei titoli cartolari rappresentati dalle carte di pubblico credito, utilizzati come strumento di pagamento alla stregua delle monete, che fondano il loro valore, in ultima istanza, sulla solvibilità degli Stati che ne autorizzano l’emissione da parte dei rispettivi governi o degli istituti a ciò autorizzati.

Solo un’attività di falsificazione che determini la circolazione di monete o di carte di pubblico credito che hanno l’apparenza di quelle realmente esistenti, infatti, è in grado di ledere il bene giuridico protetto della fede pubblica nel senso in precedenza indicato, mentre quando la suddetta attività si sostanzi nella creazione di una moneta o dì una carta di pubblico credito sconosciuta alla realtà fenomenica ed alla storia degli scambi economici, commerciali e finanziari (anche le monete ed i titoli fuori corso, infatti, sono dotati di valore nel mercato numismatico e possono formare oggetto di contrattazioni) tale, cioè, da risultare del tutto inesistente, è altrove che va ricercata la eventuale rilevanza penale di tale condotta (che, ad esempio, potrebbe integrare gli estremi degli artifizi o dei raggiri di cui al reato di truffa previsto dall’art. 640).

Si è affermato a tal proposito, in relazione alla emissione di “bond” del valore nominale ciascuno di 500 milioni di dollari U.S.A., risultanti emessi dalla “Federal Reserve Bank di Chicago, Stato dell’Illinois (U.S.A.)”, nonché di ulteriori “bond”, del valore nominale ciascuno di un miliardo di dollari americani, apparentemente emessi nel 1934 dalla “U.S. Federal Reserve”, il seguente principio di diritto (Sez. 5, 4261/2013): “non integra l’elemento oggettivo del delitto di cui agli artt. 453 e 458 l’attività di falsificazione che non consiste nella contraffazione o nella falsificazione di monete o di carte di pubblico credito effettivamente esistenti, ma nella semplice creazione di monete o carte di pubblico credito del tutto sconosciute alla storia ed alla realtà degli scambi economici, commerciali e finanziari, per non essere mai esistite”. Il principio è stato ripreso anche da altra decisione (Sez. 5, 15962/2015) resa rispetto alla condotta di detenzione a fini di circolazione di titoli e banconote USA di tipologie mai emesse dalla “Federal Reserve”, evidenziando che non assume rilievo la circostanza che il titolo di credito possa ingenerare il convincimento della effettiva sua adozione da parte dell’Istituto apparentemente emittente (Sez. 5, 19441/2016).

In tema di falso nummario, il numero, ancorché rilevante, di banconote, non è sufficiente ad integrare da solo la prova del previo concerto, anche mediato, dell’agente con colui che ha eseguito la falsificazione, costitutivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 453, ma è necessaria la presenza di più indizi sintomatici del concerto e, quindi, ad esempio, oltre al numero delle banconote, la frequenza e ripetitività delle forniture (Sez. 5, 12192/2015).

Il reato previsto e punito dagli artt. 459 e 453 comma 1 n. 1 presuppone la detenzione e messa in circolazione di valori bollati alterati nel loro valore facciale (Sez. 5, 41010/2014). L’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 468 è rappresentato dalla contraffazione di pubblici sigilli o di strumenti destinati alla pubblica autenticazione, sicché la condotta sanzionata implica che si abbia la disponibilità di uno strumento idoneo non ad una sola ma a tante riproduzioni della stessa impronta. Evidente, quindi, la diversità della condotta e del bene giuridico tutelato.

Nel secondo caso, oggetto della tutela penale è l’interesse a garantire il bene giuridico della pubblica fede attribuito a particolari mezzi simbolici mentre il reato di falsificazione di valori bollati tutela la legalità della circolazione delle monete e di altri mezzi di pagamento. Sotto un profilo generale ed astratto, non si verte in un’ipotesi di concorso apparente di norme e non è in questione l’applicazione del principio di specialità (Sez. 5, 2954/2019).

Non è necessaria, ai fini della configurazione del delitto di spendita di monete falsificate, l’identificazione dei falsificatori e dei loro intermediari, essendo sufficiente desumere, anche in via indiziaria, una qualsiasi intesa (Sez. 5, 26189/2010).

Ai fini della configurazione del delitto di spendita di monete falsificate, nella specie buoni del Tesoro, (art. 453, comma terzo), previo concerto con colui che ha eseguito la falsificazione o con un intermediario, è sufficiente una qualsiasi intesa, anche mediata attraverso più soggetti, a nulla rilevando che gli intermediari possono essere più o meno vicini ai falsificatori e che questi ultimi e altri precedenti intermediari siano rimasti ignoti. Il “previo concerto”, d’altro canto, può desumersi in via indiziaria dalla quantità delle banconote oggetto dell’azione, dalla frequenza e dalla ripetitività dei rapporti di fornitura.

Né, in tal caso, ricorre la più lieve ipotesi di cui all’art. 455 (spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate), per l’integrazione della quale non si richiede l’intesa fra il falsificatore e lo spenditore, ancorché realizzata attraverso l’opera di uno o più mediatori, essendo sufficiente la scienza della falsità al momento dell’acquisto (Sez. 5, 26189/2010).

Per l’integrazione del delitto di cui all’art. 453 n. 4, è sufficiente la presenza di un intermediario tra l’acquirente o comunque il ricettore delle banconote falsificate e il falsificatore (Sez. 5, 54482/2018).

Il concerto  che caratterizza il reato di cui all’art. 453, comma primo, n. 3, distinguendolo dall’ipotesi più lieve di cui all’art. 455  può essere desunto dalle modalità di confezionamento delle banconote detenute, dal luogo di rinvenimento delle stesse nonché dalle inverosimili spiegazioni fornite dall’imputato (Sez. 5, 11092/2015).

L’alterazione delle banconote non può essere ritenuta grossolana allorché non sia agevolmente percepibile da chiunque ma solo da tecnici qualificati, dotati di speciale competenza ed attrezzati con strumenti adeguati alla verifica della falsità (Sez. 5, 6873/2016).