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Art. 699 - Porto abusivo di armi

1. Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi.

2. Soggiace all’arresto da diciotto mesi a tre anni chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza.

3. Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso in un luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate.

Rassegna di giurisprudenza

Per ciò che concerne le bombolette contenenti l’oleoresin capsicum, l’entrata in vigore della legge suindicata e poi del DM 103/2011 ha comportato l’enucleazione di tale sostanza come idonea, in linea di principio, a garantire l’autodifesa, però stabilendo in pari tempo le caratteristiche tecniche che debbono possedere i relativi contenitori finalizzati a nebulizzare il principio attivo naturale a base di detta sostanza per escludere ogni loro attitudine a recare offesa alla persona.

È per tale attrazione, sia pure circondata da precise specificazioni relativamente alle loro caratteristiche, che il porto in luogo pubblico di una bomboletta contenente spray urticante ad esclusiva base di oleoresin capsicum, principio estratto dalle piante di peperoncino, quando non sia del tutto conforme alle caratteristiche succitate, è stato ritenuto integrare gli estremi della contravvenzione di porto abusivo di armi di cui all’art. 699, e non, invece, del delitto previsto dall’art. 4 L. 895/1967 e successive modifiche.; ciò, beninteso, fin dove possa ritenersi che si tratta di oggetto non ricompreso né tra le armi da guerra o tipo guerra, né tra le armi comuni da sparo (Sez. 1, 8624/2018).

In tema di reati concernenti le armi, per arma in senso proprio deve intendersi quella la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, e che rientrano in tale categoria, secondo l’art. 30 TULPS e l’art. 45 comma primo, del relativo regolamento, sia le armi da sparo sia quelle cosiddette bianche, mentre non sono da ritenersi armi, e non è quindi loro applicabile, in caso di detenzione o porto, la relativa disciplina, quegli strumenti, che, pur avendo una specifica diversa destinazione (domestica, agricola, scientifica, sportiva, industriale e simili), possono tuttavia servire occasionalmente all’offesa personale, ed essere ritenuti strumenti atti a offendere, secondo le indicazioni date dall’art. 4 L.110/1975.

Delle armi proprie in genere è vietata la detenzione non previamente denunciata all’autorità di pubblica sicurezza); delle armi improprie è vietato solo il porto, non anche la detenzione, e non è, quindi, ipotizzabile la detenzione abusiva di cui all’art. 697.

Nella giurisprudenza di legittimità, si è anche affermato che il baricentro della distinzione tra la categoria delle armi proprie e quella delle armi improprie risiede non tanto nelle caratteristiche costruttive e strutturali dei singoli strumenti e nella idoneità all’offesa alla persona, comune sia all’una sia all’altra categoria, quanto nella individuazione, tra tutte le possibili destinazioni, di quella principale corrispondente all’uso normale da accertare con specifico riferimento a quello che rappresenta l’impiego naturale dei singoli strumenti in un determinato ambiente sociale alla stregua dei costumi, delle usanze, delle esperienze affermatisi in un dato momento e, con riferimento alle fattispecie concrete analizzate e tra l’altro, si è ritenuto non rientrare nel novero delle armi proprie e il loro porto ingiustificato integrare il reato di cui all’art. 4, comma 2, L. 110/1975 e non quello previsto dall’art. 699, il cosiddetto machete, che, in quanto strumento elettivamente concepito per impieghi agricoli o boschivi, non può essere considerato come naturalmente ed esclusivamente destinato all’offesa della persona e il coltello da lancio, normalmente destinato a uso sportivo per il tiro al bersaglio; si sono considerate armi proprie non da sparo o bianche, il cui porto senza licenza al di fuori della propria abitazione integra il reato di cui all’art. 699, la sciabola da samurai, il pugnale, il coltello a scatto, detto “molletta”, la “katana”, tipica spada utilizzata dai samurai giapponesi, il coltello a serramanico dotato di un sistema di blocco della lama; si sono ritenuti rientrare nel novero delle armi bianche proprie, la cui importazione senza licenza integra il reato di cui all’art. 695 le “katane” giapponesi, le spade, i pugnali, le scimitarre e le tesserine rettangolari taglienti e appuntite, che nascono come armi e sono destinate all’offesa; si è ricondotto alla categoria delle armi improprie l’attrezzo sportivo denominato “long chang”, utilizzato nelle arti marziali, il cui uso integra la circostanza aggravante prevista dall’art. 585, comma 2, n. 2 (lesione personale procurata con l’uso di strumenti atti a offendere) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 37208/2014).

La giurisprudenza di legittimità è prevalentemente l’orientata ad affermare che il comune coltello a serramanico (cioè l’utensile dotato di lama pieghevole nella cavità della impugnatura la quale, così, funge anche da guaina) costituisce strumento da punta e/o da taglio, ovverosia «arma bianca impropria», il cui porto ingiustificato, fuori della abitazione o delle relative appartenenze, è sanzionato dall’art. 4 L. 110/1975 (Sez. 1, 46264/2012).

Secondo la medesima giurisprudenza è, invece, arma propria (cd «arma bianca»), sicché il porto abusivo è punito ai sensi dell’art. 699, quella particolare specie di coltello, detto coltello a molla o molletta (anche: coltello a scatto o coltello a scrocco), dotato di congegni che consentono la fuoriuscita della lama dal manico (senza la manovra della estrazione manuale) e il successivo bloccaggio della lama stessa in assetto col manico (Sez. 1, 16785/2010), come pure, secondo altro orientamento, costituisce arma propria anche il coltello a serramanico privo di «congegno di scatto» che, tuttavia, assicura il blocco della lama - una volta snudata e in linea con la impugnatura-sicché la «successiva chiusura necessita di un meccanismo di disincaglio» (Sez. 1, 29483/2013). In tutte le sopra ricordate sentenze, relative alla qualificazione del coltello a scatto o a molla come arma propria, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di correlare la qualificazione del coltello come arma propria alla attitudine ad «assumere le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto» (Sez. 1, 4938/1996).

In definitiva, quali che siano le particolari caratteristiche di costruzione del coltello, il discrimine tra l’arma impropria (cioè lo strumento da punta e/o da taglio atto ad offendere) e l’arma propria è costituito dalla presenza delle caratteristiche tipiche delle armi bianche corte, quali, appunto, i pugnali o gli stiletti, e, cioè, la punta acuta e la lama a due tagli (Sez. 1, 19927/2014).

Deve, quindi, concludersi che, salvo che si tratti di una «arma bianca propria» nel senso sopra ricordato, il coltello è di regola una «arma bianca impropria», cioè si tratta di uno strumento da punta e da taglio (Sez. 1. 44430/2017).

Il porto ingiustificato fuori dalla propria abitazione o dalle appartenenze di essa di un coltello marca “Opinel” non integra la contravvenzione di cui all’art. 699 ma quella prevista dall’art. 4, comma secondo, L. 110/1975, trattandosi di un coltello di notissima tipologia merceologica, non rientrante nella categoria delle “armi bianche” (Sez. 1, 10696/2013).