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Art. 205 - Provvedimento del giudice

1. Le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento.

2. Possono essere ordinate con provvedimento successivo:

1) nel caso di condanna durante la esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena;

2) nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza (1);

3) in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 8-27 luglio 1982, n. 139, ha dichiarato, fra l’altro, l’illegittimità dell’art. 205 c.p., cpv. n. 2, nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato prosciolto per infermità psichica, al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o dell’esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura. La stessa Corte, con sentenza 5-15 luglio 1993, n. 319, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 205 c.p., in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

Rassegna di giurisprudenza

È illegittimo il provvedimento con cui il giudice della cognizione dispone la confisca in un momento successivo a quello della pronuncia della sentenza, perché alle eventuali omissioni di questa è possibile porre rimedio solo con l'impugnazione, o, in caso di formazione del giudicato, con lo strumento previsto dall'art. 676 CPP (Sez. 4, 44979/2021).

Giova puntualizzare la distribuzione della competenza in materia di misure di sicurezza. A norma dell’art. 312 CPP in relazione all’art. 279 CPP, in sede cautelare, l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza nei confronti dell’infermo di mente e delle altre persone indicate nell’art. 206, che siano riconosciute socialmente pericolose ai sensi dell’art. 203, compete, su richiesta del PM, in qualunque stato e grado del procedimento di cognizione, al giudice che procede, quando sussistono gravi indizi di commissione del fatto e non ricorrono le condizioni previste dall’art. 273, comma 2, CPP. A norma dell’art. 205, in sede di giudizio, le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento, ricorrendone le condizioni specificate nell’art. 202: commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e attuale pericolosità sociale, intesa come probabilità di commissione di nuovi fatti preveduti dalla legge come reati, da accertare, a norma dell’art. 203, secondo il canone dell’attualità, alla luce delle circostanze indicate nell’art. 133. Una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di proscioglimento e negli altri casi stabiliti dalla legge (dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere ed estinzione della pena), la competenza a ordinare le misure di sicurezza è attribuita, in via esclusiva, al magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, a norma dell’art. 679 CPP, in relazione all’art. 205, comma 2. La competenza del magistrato di sorveglianza nei casi predetti e, segnatamente, dopo la definizione del processo di cognizione con sentenza irrevocabile, ha carattere funzionale e, come tale, in caso di violazione, è sempre rilevabile, anche di ufficio, a norma dell’art. 21, comma 1, CPP (Sez. 1, 3645/2018).

L’applicazione di una misura di sicurezza in presenza di un "quasi reato" (indicandosi con tale espressione le ipotesi contemplate negli artt. 49 e 115, rispettivamente concernenti il reato "impossibile" e la istigazione a commettere un delitto, non accolta, ovvero istigazione accolta o accordo per commettere un delitto quando questo non sia commesso) richiede l’accertamento della responsabilità del prevenuto in ordine al fatto contestato e la sua pericolosità sociale ed il relativo procedimento deve concludersi con l’emanazione di una sentenza (art. 205), emessa a seguito di contraddittorio fra le parti ed assistita dagli ordinari mezzi di impugnazione; in tal caso, pertanto, il pubblico ministero è tenuto ad avviare l’azione penale chiedendo al giudice la fissazione dell’udienza preliminare, in modo da pervenire, a conclusione del procedimento, alla pronuncia di una sentenza che, nei casi di commissione di fatti costituenti "quasi-reato", non può essere altro che di proscioglimento ma che consente, essendo stata emessa a seguito di procedimento con pienezza di contraddittorio, di applicare, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 229, n. 2, la misura di sicurezza prevista dalla legge (Sez. 2, 30375/2018).

Costituiscono presupposti per l’applicazione della libertà vigilata, ai sensi dell’art. 229, n. 2, la realizzazione di un cosiddetto "quasi reato", la volontarietà del comportamento e la pericolosità del soggetto, che il giudice deve accertare secondo i parametri di cui all’art. 133, considerando, soprattutto, il reato o i reati nella loro obiettività, specie quando, per gravità e specificità, assumano connotazioni di significativo rilievo (Sez. 1, 25830/2015).

Le misure di sicurezza personali hanno presupposti sostanzialmente identici a quelli delle misure di prevenzione personali e tendono alla eliminazione della pericolosità sociale della persona cui esse si applicano e che la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare il principio secondo cui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, dovendosi distinguere tra "momento deliberativo e momento esecutivo" della misura ed attenendo unicamente all’esecuzione di questa la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto; con la conseguenza che l’esecuzione della misura di prevenzione personale può iniziare solo quando venga a cessare lo stato di detenzione, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena (SU, 6/1993).

La dichiarazione di delinquenza abituale, a cui segue l’applicazione di misure di sicurezza personali, può intervenire anche in riferimento ad un soggetto che si trovi in stato di espiazione di pena detentiva, dovendo distinguersi tra il momento deliberativo e il momento di esecuzione della misura di sicurezza, a nulla rilevando che l’esecuzione sia lontana nel tempo, essendo sempre rivalutabile il giudizio di pericolosità (Sez. 1, 2698/2011).

Occorre distinguere tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura di sicurezza: di conseguenza la misura può avere inizio quando venga a cessare uno stato di detenzione, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena (SU, 6/1993; SU, 10281/2008).

Tali principi, in materia di misure di sicurezza personali (fondate sui medesimi presupposti delle misure di prevenzione personali e tendenti al medesimo obiettivo della eliminazione della pericolosità), trovano puntuale base normativa nel disposto dell’art. 205, che espressamente prevede al primo comma che le misure di sicurezza sono ordinate dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza di condanna o di proscioglimento contestualmente alla stessa, e prevede (per quanto qui interessa) al secondo comma, n. 3, che le misure possono essere ordinate con provvedimento successivo in ogni tempo nei casi stabiliti dalla legge, tra i quali rientra il caso delle misure applicate quando interviene la dichiarazione di abitualità nel reato ai sensi dell’art. 109, comma 1; nella previsione della rivalutabilità della pericolosità sociale, che costituisce il presupposto dell’applicazione della misura di sicurezza, in sede di revoca della misura ai sensi dell’art. 207 e di riesame della pericolosità ai sensi dell’art. 208; e nel disposto dell’art. 211, che prevede l’esecuzione delle misure di sicurezza, aggiunte a una pena detentiva, dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti estinta (Sez. 1, 49976/2018).