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Art. 564 Incesto

1. Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

2. La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.

3. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.

4. La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della responsabilità genitoriale [o della tutela legale] (1)(2).

(1) Comma così modificato dall’art. 93, comma 1, lettera l), DLGS 154/2013, a decorrere dal 7 febbraio 2014 ai sensi di quanto disposto dall’art. 108, comma 1 dello stesso DLGS n. 154/2013.

(2) Il richiamo alla tutela legale deve ritenersi non più operante, perché l’istituto è stato soppresso (art. 260 c.c.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. La Corte costituzionale, con sentenza 15-21 novembre 2000, n. 518, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di reati in ambito familiare, ai fini dell’integrazione dell’elemento costitutivo del reato di incesto, deve escludersi che la situazione di «pubblico scandalo» consista nelle informazioni ricevute dalla PG a seguito delle denunce dei familiari circa l’esistenza della relazione incestuosa (Sez. 3, 9109/2008).

In tema di reati in ambito familiare, è configurabile il concorso formale tra il delitto di incesto e quello di violenza sessuale e non rileva in senso contrario la circostanza che la condotta incestuosa sia caratterizzata dagli estremi della violenza (Sez. 3, 9109/2008).

Il pubblico scandalo, che l’art. 564 richiede per la perfezione del reato di incesto e che deve individuarsi nel profondo senso di turbamento e disgusto diffusosi in un numero indeterminato di persone e nella connessa reazione morale per il cattivo esempio ricevuto, è un effetto così costante, secondo la generale esperienza, della conoscenza della turpe relazione da non esigere specifica dimostrazione per potersene affermare l’esistenza.

L’art. 564, che tutela la moralità sessuale della famiglia, pur richiedendo un nesso obiettivo di causalità, come è desumibile dalla formulazione letterale della norma, tra il modo di comportarsi degli incestuosi o di uno di essi e il pubblico scandalo, non esige che tale comportamento, ostentato o imprudente, venga manifestato direttamente in pubblico.

Pertanto non viene meno il suddetto vincolo causale quando l’obbrobrioso contegno sia tenuto nell’ambiente domestico senza alcuna cautela e particolari circostanze e situazioni di fatto, note all’agente, siano suscettibili di portare e portino in concreto alla facile divulgazione della tresca fuori del ristretto ambito familiare (Sez. 1, 1121/1968).

Il pubblico scandalo costituisce una condizione obiettiva di punibilità dell’incesto, indipendente dalla volontà dei colpevoli. Volontario deve essere il modo con cui è commesso l’incesto, e cioè il comportamento, anche incauto, dei soggetti, dal quale deve derivare, con nesso di causalità, il pubblico scandalo.

I colpevoli devono, pertanto, comportarsi in modo che il loro fatto sia palese, con la possibilità di essere appreso da un numero indeterminato di persone, che possono anche averne notizia dalle conseguenze dei turpi rapporti, collegate con altre circostanze indizianti al comportamento dei soggetti, come nell’ipotesi in cui la gravidanza e la filiazione siano state rese ostensibili e abbiano potuto essere univocamente apprese dal pubblico come conseguenza dei rapporti incestuosi (Sez. 1, 1076/1967).